Avvenire, 13 giugno 2002
di Giuseppe Anzani
Quanta fretta hanno avuto gli esponenti del “pensiero laico” nel titolare come vittoria cattolica l’approvazione della norma per cui “la procreazione assistita medicalmente assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”. Non sarò io a dire che quella formula, di fronte al silenzio totale del testo originario, non sia stata accolta con soddisfazione da quanti hanno a cuore la vita e il diritto alla vita; e che tra questi, ci sono cattolici fedeli al Vangelo e al comandamento dell’amore.
Ma se si parla di vittoria cattolica come per segnare d’un marchio confessionale una regola di diritto così elementare, che ogni nuovo essere umano chiamato alla vita invoca di perse stesso la tutela che gli spetta, allora l’enfasi di bocca laica mi sembra penosa. Non vorrei che insinuasse il pensiero che i diritti del concepito riposano ora su una sorta di sharia religiosa, anziché sulla giustizia che lo Stato laico ha il compito e la fatica di conoscere, proclamare e applicare.
Ma no, non è per concessione dei cattolici o dei laici che il concepito è un essere umano. Non è per voglia di padroni o capriccio di governanti che il catalogo dei diritti degli esseri umani si allunga o si accorcia, rispetto alla verità della natura. È la natura infatti che segna da prima il passaggio dal nulla all’esistenza, l’istantaneo e definitivo approdo di un‘altro essere alla frontiera della vita, la sua presenza fra noi. Noi tutti, che costruiamo villaggi e polis, e ci diamo leggi sforzandoci di copiare dal vero le regole acconce alla nostra dignità e libertà e socialità, noi tutti, singolarmente, siamo venuti alla vita così. Ciascuno con la sua identità originaria, inconfondibile, mai mutata.
Questo voto della Camera dei deputati è, laicamente, una riflessione sulla vita, a contatto con quattro istanze, provocate dalla realtà selvaggia della provetta senza legge. La prima istanza è la scienza, che descrive il prodigio della vita “individua” secondo la meraviglia del ciclo progettuale segnato da coordinazione, continuità, gradualità (protagonismo biologico dell’embrione). La seconda è quella della coscienza, di fronte al mistero dell’altro; che resta indescrivibile quando pur lo teniamo frutto del nostro seme, del nostro sangue, della nostra volontà, perché resta “unico” nel Cosmo.
La terza istanza è quella etica:neppure il dubbio artificioso che contrappone l’individuo all’ammasso cellulare fa leciti gli azzardi. E a chi vuole ignorare il “chi è” dell’embrione deve far regola il “come se” di quel processo di vita da non manomettere. La quarta istanza è quella propriamente giuridica, storicamente cruciale in un mondo dove forza e debolezza hanno peso disuguale sulla bilancia del giusto. L’essere umano vivente ha, almeno, il diritto alla vita (“inerente”; come dice la Dichiarazione dell’Onu del 1948); e dunque il diritto di non essere manipolato, alterato, soppresso. La norma votata dalla Camera è semplicemente “umana”.