Il Corriere della Sera, 24 giugno 2002
CINA
Per Pechino, le biotecnologie sono quello che la conquista dello spazio fu per Mosca: il campo nel quale essere primi
Un boom incredibile di centri di ricerca sulle cellule staminali. Grazie alla grande disponibilità di feti e alla libertà di clonare. Per favorire il settore, il governo regala un milione di dollari a ogni scienziato di rango che rientri in patria
Elena Comelli
La nuova rivoluzione cinese non verrà da un libretto rosso, ma dal libro della vita. Mentre l’opinione pubblica occidentale è convinta che la medicina cinese si basi ancora sull’agopuntura e l’equilibrio fra yin e yang, Pechino punta dritta il ruolo di prima potenza mondiale nelle biotecnologie: i cinesi si aspettano dal biotech quel che lo Sputnik ha fatto per i sovietici. «Dobbiamo creare un ambiente stimolante, in cui la creatività scientifica prosperi insieme a una valorizzazione commerciale innovativa» ha raccomandato recentemente Jiang Zemin, che chiede ai ricercatori, la nuova élite cinese, di lavorare per un «rinnovamento» del Paese.
E i ricercatori rispondono: Lu Guangxiu, direttrice di una clinica per la riproduzione assistita a Changsha e docente nella locale università, ha già annunciato di avere clonato decine di embrioni umani per impadronirsi delle loro ambite cellule staminali, li materiale originario usato per la donazione arriva direttamente dalle pattumiere della sua clinica, dove embrioni di scarto certo non mancano. «Molti ricercatori in Occidente non hanno a disposizione embrioni su cui operare, ma io si» commenta trionfante Lu. La differenza. rispetto all’Occidente, è culturale: mentre da noi si afferma il concetto che la vita umana cominci già al momento del concepimento, per il confucianesimo l’uomo ha valore solo come essere sociale, quindi dopo a nascita.
Li Lingsong, direttore del Centro di ricerca sulle cellule staminali dell’Università di Pechino, è tornato in patria dagli Stati Uniti, dove insegnava all’università di Stanford, proprio per inserirsi in questo terreno di coltura favorevole. Li, che ha lasciato in California moglie e due figli, è entusiasta delle nuove condizioni che si stanno sviluppando: «Non ci sono altri posti al mondo dove si lavori meglio di qui», commenta. Con questa convinzione, Li viaggia in lungo e in largo nei centri di eccellenza mondiali, soprattutto in America e in Europa, per convincere i suoi colleghi compatrioti a tornare in Cina. «A ogni scienziato di rango che ritorna, lo Stato regala un milione di dollari», spiega. E il suo centro di ricerca in due anni ha già ricevuto 17 milioni di euro di contributi statali per lo sviluppo. Ma Li non passa tutto il suo tempo ai microscopio: insieme al collega Tony Yang ha già fondato un’azienda privata, la Sinocels Bio Technologies, che sta raccogliendo una prima ondata di capitali di rischio. I due contano di sfruttare la più grande banca di cellule staminali cinese, già nata nei laboratori dell’università di Pechino, per sviluppare a livello industriale cellule in grado di produrre insulina, una novità che potrebbe avere grande successo fra i diabetici di tutto il mondo. E a giudicare dall’euforia borsistica che regna sui mercati asiatici nei confronti del biotech, di qui alla quotazione il passo è breve.
Oltre agli embrioni di scarto provenienti dalla clinica universitaria che si occupa d’inseminazione artificiale, Li può permettersi di usare per i suoi studi anche tessuti fetali relativamente sviluppati, che gli arrivano dai colleghi impegnati nelle interruzioni di gravidanza, molto diffuse in Cina, dove la politica di un figlio per famiglia viene applicata con grande severità. Ogni gravidanza dev’essere registrata alle autorità competenti e se la madre di un bimbo sano resta di nuovo incinta, viene costretta ad abortire. L’aborto è diventato così una routine per molte madri che, specialmente in campagna, vi si sottopongono volentieri soprattutto se sanno che il nascituro è una bambina. Sulle antiche tradizioni etiche secondo cui solo la capacità di comunicare con la società circostante dà valore umano a un essere vivente, si innesta così la nuova filosofia del renkou suzhi, cioè il concetto di «qualità della popolazione». Dietro queste due paroline si nasconde la volontà di affidare alla medicina statale il compito di produrre cinesi sani fin dal concepimento. Così, ogni cittadino che vuole sposarsi deve procurarsi un’autorizzazione, che dal 95 presuppone anche un’approfondita visita medica. Arrivati poi al concepimento, spesso la volontà statale d’indagare sullo stato di salute del futuro cittadino non ha nemmeno bisogno di esercitare troppe pressioni: è naturale che i genitori stessi vogliano essere sicuri della perfezione fisica dell’unico bambino che gli spetta. Alcuni, soprattutto nella crescente categoria dei nuovi ricchi, preferiscono addirittura partire da un figlio in provetta per essere sicuri di non fallire il bersaglio.
La Shaanxi Chaoqun Science & Technology, una delle aziende di punta del biotech cinese, è stata incaricata dalla commissione di sviluppare dei biochip (laboratori in miniatura usati soprattutto nella ricerca genetica, non più grandi dell’unghia di un mignolo, che permettono dì condurre molti test allo stesso tempo) adatti alle esigenze della società cinese e sta già costruendo con i soldi dello Stato dieci diversi centri di analisi dove si userà il nuovo sistema, rapido ed efficace,
E’ con questo metodo che il piccolo Longwei, di Chengdu, ha ricevuto la prima carta d’identità genetica del mondo, che fissa in un codice di dieci numeri il suo patrimonio ereditario. Se si è salvato, devono essere dieci numeri fortunati.