Avvenire, 15 giugno 2002
LE STRATEGIE DELLA FAO E QUELLE DEI MISSIONARI
di Piero Gheddo
Girando per l’Italia invitato a parlare per lo più sul tema dei cattolici dinanzi alla sfida della globalizzazione, mi rendo conto che vi sono vaste platee, soprattutto di giovani, che hanno fame e sete di proposte concrete su come essere solidali con i poveri del mondo: la spaccatura dell’umanità fra chi ha troppo e chi troppo poco è divenuta intollerabile per le persone più sensibili.
Mi chiedo: cosa offriamo a questa popolazione giovanile desiderosa di fare qualcosa eppure priva di proposte forti, coinvolgenti, appassionanti? Spesso ci limitiamo a strumenti buoni ma parziali. La vulgata corrente del “pensiero unico” d’impostazione materialista (di destra o di sinistra non importa), come dimostra il recente convegno mondiale della Fao, porta anche noi cristiani a pensare che lo sviluppo dei popoli viene dal denaro e dalle macchine.
Ma questa non è l’esperienza dei missionari, i quali sperimentano che lo sviluppo viene piuttosto dall’evoluzione delle culture e dall’educazione delle persone e dei popoli: non è una torta da distribuire, bensì una ricchezza da produrre e ciascun popolo dev’essere capace di mantenersi: l’Africa nera importa circa il 30% del cibo che consuma. A Vercelli produciamo 75 quintali di riso all’ettaro, nell’agricoltura tradizionale africana solo quattro; le vacche italiane producono 25-30 litri di latte al giorno, quelle africane non producono normalmente latte, salvo un litro al giorno quando hanno il vitello: questa scarsa produttività poteva bastare forse quando nel 1960 l’Africa contava 280 milioni di abitanti, ma è del tutto insufficiente oggi che ne ha più di 700. Un famoso proverbio cinese dice: “Se incontri un affamato non dargli un pesce, ma insegnagli a pescare”. E però: quanti sono i giovani che vanno a condividere con i poveri, ad insegnare, ad educare? In Africa si contano 7.000 missionari cattolici e circa 400 volontari laici italiani.
Ecco la sfida d’oggi: l’abisso tra ricchi e poveri non si supera mandando soldi, che ci vogliono ma non bastano (senza educazione a usarli bene, i soldi producono corruzione!). Occorre gettare ponti di incontro, di comprensione, di educazione vicendevole Fra il Nord e Sud del mondo. Questo il grande ideale che noi cattolici dovremmo lanciare: ma di vocazioni missionarie e al volontariato internazionale non si parla quasi mai. Giovanni Paolo li scrive nella “Redenptoris Missio” (n. 58-59): “Lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. E’ l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica. La Chiesa educa le coscienze rivelando ai popoli quel Dio che cercano ma non conoscono... Ecco perché tra annunzio evangelico e promozione dell’uomo c’è una stretta connessione...”
Ricordo che nell’ultimo dopoguerra, con l’Italia attraversata da odio, violenze, distruzioni, l’Azione cattolica lanciava a noi giovani questo messaggio impegnativo: per ricostruire il nostro Paese testimoniamo e annunziamo il Signore Gesù, Era un messaggio che suscitava entusiasmo della fede e capacità di rinunzie per costruire un mondo nuovo: anche oggi, per aiutare veramente il sud del mondo ci vogliono giovani uomini e donne che diano la vita per il prossimo, come ha fatto il Signore Gesù, Diciamo ai No Global che gridano “Un mondo diverso è possibile!”: certo, è possibile e lo vogliamo tutti, il sistema di vita attuale non soddisfa nessuno. Ma è possibile solo a partire da Cristo e dalla nostra conversione a Cristo.