Tempi, n. 22, 31 maggio-5 giugno 2002
INTERVISTA
di Emanuele Boffi
Ruini? Ha parlato di “questione antropologica”. I no-global? Veteromarxisti.
I cristiani perseguitati? Dimenticati dall’Occidente. Parola di Sandro Magister
Il vaticanista più informato e “fuori dagli schemi” del panorama giornalistico italiano, firma di punta dell’Espresso dalla fine degli anni Sessanta ad oggi è l’autore dell’ultimo (e più attendibile) “totopapa” comparso sulle colonne del settimanale per cui collabora. La sua newsletter si rivela sempre pungente andando a scovare e segnalare “fatti di Chiesa” che normalmente non trovano spazio stilla carta stampata o nei servizi televisivi.
Sul sito dell’Espresso segnali che «Dalla prolusione del cardinale Camillo Ruini all’assemblea generale della Cei del 20-24 maggio 2002, la stampa ha riportato solo i passaggi dedicati all’esame della politica italiana». Rileggiamo i titoli delle principali testate italiane: “Concordia sociale per l’Italia” (Repubblica), “Basta tensioni politiche e sociali” (Corrierre). “Ruini ai politici: serve più concordia” (La Stampa). E dalle cronache il messaggio del cardinale sembra tutto incentrato su scuola, scioperi, immigrazione. Ma, come fai notare «il cuore del discorso del cardinale e un altro. Dedicato alla “questione antropologica” d’oggi». Perché si tratta la Chiesa come una lobby che difende i propri interessi politici? E se ne “dimentica” quel che effettivamente comunica?
Secondo un’interpretazione più indulgente, bisognerebbe dire che, prendendo atto della difficoltà che si ha a masticare il tema “questione antropologica”, si rende diffide dare notizia del discorso del presidente della Cei. Ma una lettura più severa di questa dimenticanza noterebbe che il fatto non è qualcosa di episodico ma è costante. La stampa salta sempre la parte dei discorsi con i quali il cardinale introduce l’assemblea riprendendo solo la sezione “politica”. Questa costanza di comportamento fa pensare che esista proprio una lettura pregiudiziale. La stessa figura del cardinal Ruini è letta come se fosse lo stratega politico della Chiesa in Italia, una sorta di cardinal Richelieu. Così sempre, in modo precostituito, di Ruini si riferiscono soltanto le note dedicate alla situazione italiana. Ma, in realtà, questi stessi elementi di lettura politica sono nel cardinal Ruini innervati proprio in una visone complessiva che egli ha della società italiana, europea, occidentale. Ed è proprio lì che si coglie anche il perché del suo agire politico e del suo giudicare la polis.
Se sì toglie la radice al suo discorso politico non sì riesce nemmeno più a comprenderlo. È un’insufficienza analitica che viene alla luce ogni volta che si dà notizia della Chiesa.
Ruini ha sottolineato il fatto che la Chiesa lancia una sfida che tocca «tutti coloro che condividono i fondamenti della nostra civiltà e ritengono di non poter rinunciare alla centralità della persona umana». E la risposta esige «un’impresa comune» tra cattolici e laici.
Ruini mostra come le tendenze culturali prevalenti nel mondo d’oggi sono una sfida non soltanto per il credente ma anche per tutti coloro che hanno a cuore la dignità della persona umana tout court. E afferma che la risposta deve essere «un’impresa comune» tra il credente e il laico che ha cura dell’uomo.
La Repubblica di mercoledì 22 titolava “La Cei: la pedofilia non ci riguarda” riferendo, in un articolo a tutta pagina. di una risposta di un minuto e mezzo di monsignor Betori alla conferenza stampa in cui si chiedeva quanto fosse diffuso il fenomeno fra i preti italiani. Ma dell’incontro durato un’ora e mezzo, poche righe. Si puntava tutto sulla risposta del monsignore, tra l’altro di condanna per il fenomeno ma chiara nel testimoniare che nel nostro Paese i casi sono rarissimi. Questo è un caso di selezione nella gamma dei temi a disposizione che privilegia quelli che in qualche modo vengono ritenuti più vendibili. È una lettura di mercato, di odiens. Si crede cosi di isolare gli elementi che più possono richiamare l’attenzione del lettore.
Molti si stupiscono del fatto che il Papa abbia compiuto recentemente un viaggio in Azerbaigian dove i cattolici sono solo 120.
Mi stupisce lo stupore di chi dice che il Papa va in un luogo dove i cristiani sono appena 120. La missione della Chiesa è andare sulla frontiera, dove l’annuncio deve essere fatto. L’andare di quest’uomo così visibile, che dove arriva fa mobilitare un paese, ha alla propria radice l’intenzione di far passare attraverso questa immagine la domanda sulla persona Gesù Cristo, per la quale il Papa dà la vita.
Il viaggio in Bulgaria viene letto
come una tappa di avvicinamento a Mosca. Nella sua prolusione Ruini si mostrava
soddisfano per l’avvicinamento della Russia alla Nato ma ricordava anche le
recenti espulsioni del vescovo Jerzy Mazur e del sacerdote Stefano Caprio.
La situazione tra Roma e il patriarcato di Mosca è critica. Per lanciare un ponte il Papa ha pensato al viaggio in Bulgaria. C’è una sorta dì “strategia dell’accerchiamento” che è passata soprattutto attraverso il viaggio in Ucraina. Anche quello fu paventato come foriero di disastri; in realtà, poi, ci si è accorti che di disastri non cene sono stati e che la parte ortodossa ucraina ha accettato il fatto in modo non conflittuale, Questo è avvenuto anche in Grecia o in Romania, dove quasi sempre i governi sono favorevoli all’arrivo del Papa mentre cosi non è per le Chiese ortodosse locali. Anche per la Bulgaria è avvenuta la stessa cosa: è stato il ministro degli esteri a premere perché questo viaggio si compisse, mentre il patriarcato bulgaro, ancora agli inizi di quest’anno, aveva forti riserve. Ciò non toglie che il Papa è convinto che con questi gesti si possa dar prova che la riappacificazione non è così lontana come si teme.
Le cronache del viaggio riferiscono che bambini musulmani hanno cantato
l’Ave Maria di Schubert
Sono
fatti curiosi che avvengono in occasioni del genere. D’altra parte, in
Azerbaìgian alla messa del Papa, pare ci fossero alcune migliaia di persone al
Palazzo dello sport di Baku e di queste solo poche centinaia erano cattoliche,
la grande maggioranza erano musulmane. L’Ave Maria di Schubert cantata dai
musulmani è un’altra di queste manifestazioni dell’incrocio di interesse da
parte di ceppi di fede differenti che questo Papa evoca.
Come spieghi il suo fascino? Se ne parla spesso come figura televisiva, però poi succedono anche vicende che non sono riconducibili solo a questo aspetto.
lo
credo che il Papa è la più forte e visibile autorità morale e religiosa al
mondo. In questi termini mediatici viene letto e filtrato agli occhi di chi lo
guarda. E chi lo guarda con occhi non cristiani vede in lui qualcosa dir
facilmente rinchiudibile in una etichetta, non facilmente confinabile dentro un
solo mondo religioso ma qualcosa di planetario, una sorta di immagine
interreligiosa.
Tuttavia Giovanni Paolo II ha sempre ribadito l’originalità cattolica, evitando qualsiasi tentazione sincretistica…
Assolutamente.
Il Papa si avvale di questa straordinaria capacità di superare i confini proprio
perché, una volta superatili, riesce. far capire quel è lo scopo per ali spende
la sua vita: l’annuncio di Cristo.
Sull’ultimo numero di Tempi monsignor Macram Max Gassis
racconta che «Non esiste libertà religiosa in Sudan. C’è libertà religiosa solo
nelle zone controllate dagli oppositori del regime. Recentemente è uscito in
libreria I nuovi perseguitati di
Antonio Socci dove si dà ampia documentazione delle persecuzioni contro i
cristiani, sul tuo sito dai spesso notizia di soprusi subiti dai cristiani.
Eppure, come ha scritto Paolo Mieli. «se ne parla poco». Perché?
Questo
silenzio, da parte in particolare dei cristiani del vecchio mondo europeo e
nordamericano occidentale, è congiunto a una perdi di consapevolezza
identitaria. L’uomo occidentale oggi non si identifica come uomo cristiano; le
vittime sono viste in modo indifferenziato. Gli eccidi che avvengono da qualche
tempo nelle Molucche, non sono percepiti come una persecuzione anticristiana. I
200mila morti calcolati su 600mila persone di Timor Est non sono stati visti
come caduti cristiani. La guerra dei Balcani, connotata da matrici religiose e
storiche precise, è stata letta come una guerra civile. E’ questo un modo di
fare dell’occidente che legge le vicende al di fuori della loro connotazione
cristiana. E quindi si piangono i morti solo per il fatto che sono morti, senza
sapere perché sono caduti sotto gli spari o le lame dei nemici.