CorrierEconomia 11 giugno 2001

AMMINISTRAZIONE –2    Chi va, chi resta

Solo in 50 sotto la scure

Il governo può cambiare i vertici dei ministeri. Ma non le oltre mille nomine dell’Ulivo (cento a Camere chiuse)

 

La teoria dice che Mario Draghi  e Andrea Monorchio potrebbero essere i primi disoccupati di lusso della quattordicesima legislatura. Quasi certamente non sarà così. Ma sia il direttore generale del tesoro, sia il ragioniere generale del tesoro sia il ragioniere generale dello Stato fanno parte di quella prima linea di manager pubblici che potrebbero cadere sotto la scure dello spoils system. In base al dettato del comma 8 dell’articolo 13 della legge 98 (la Bassanini) l’esecutivo entrante ha 90 giorni di tempo per confermare, revocare o modificare gli incarichi dei dirigenti dei ministeri. In tutto sono in ballo una cinquantina di posti tra segretari generali e capi dipartimento. Quelli in bilico sono ruoli chiave, trait d’union tra i ministri e i relativi staff di fiducia (consulenti e capi di gabinetto) e la pubblica amministrazione. Per un ministro entrante cambiare i tecnici in queste caselle può significare garantire o compromettere l’efficacia e il buon funzionamento del proprio dicastero.

«Di solito nei primi mesi dopo l’incarico – racconta il consigliere di Stato Luigi Tivelli – i ministri si dedicano ad individuare i dirigenti  che remano contro, a vagliare tra tecnici capaci e incapaci e, in generale, a orientarsi nel labirinto  della burocrazia pubblica» Lo spoils system, in teoria, dovrebbe accorciare, se non eliminare, questa fase di assestamento. «Il termine però viene usato spesso in modo improprio – spiega Giovanna Endrici docente di pubblica amministrazione – Il ricambio disciplinato dalla legge riguarda solo ruoli apicali, cioè una cinquantina di dirigenti, come i capi dipartimento delle Finanze e del Tesoro e i segretari generali degli Esteri, dei Beni Culturali e della Difesa che cambiano con il governo. Il ricambio ai vertici della Rai, per esempio, è al di fuori di questi schemi».

Sull’opportunità o meno di un avvicendamento  nella pubblica amministrazione ci sono posizioni diverse, trasversali agli schieramenti politici: da un lato chi sostiene la necessità dell’assoluta stabilità nella burocrazia statale sul modello della Francia, dall’altro chi opta  per l’avvicendamento dei dirigenti per poter contare su strutture più collaborative. «Ambedue le posizioni hanno un fondamento di ragionevolezza – prosegue Endrici – ma credo che la risposta giusta  stia semplicemente nel buon uso dello strumento dello spoils system. La scelta dei dirigenti dovrebbe essere funzionale alle politiche che si vogliono fare, in alcuni casi si sono viste nomine rispettate anche dalla controparte».

Peccato che la discussione sulle regole sia resa accademica da un’anomalia tutta italiana: lo sfasamento tra il ricambio dei dirigenti  pubblici di primo e di secondo livello. Mentre i primi sono rinnovabili, con il sistema delle spoglie, in occasione dell’avvicendamento politico, i secondi sono destituibili soltanto alla scadenza  dei rispettivi contratti a termine (di durata tra i 3 e i 7 anni). Il problema è che questa scadenza non coincide con l’inizio della nuova legislatura. Anzi. La maggior parte degli attuali manager  pubblici sono stati incaricati negli ultimi mesi dall’esecutivo ulivista nonostante le proteste del Polo.

«Nell’ultimo anno di governo – spiega il politologo Angelo Panebianco – c’è stata un’infornata di nomine del tutto anomala che non sarebbe dovuta avvenire. I dirigenti pubblici  andrebbero indicati  all’inizio di una legislatura, non alla fine. E’ ovvio che i manager incaricati dal precedente governo, di colore politico opposto a quello che ha vinto le elezioni, tendenzialmente remano contro». Durante l’esecutivo Amato, a cominciare dal 30 aprile, sono state fatte complessivamente più di un migliaio di nomine, oltre un centinaio delle quali  nel periodo successivo allo scioglimento delle Camere che ha posto fine alla tredicesima legislatura.

Ma per il Polo non è una partita chiusa. Gli esperti della casa delle Libertà  stanno studiando tutte le vie giuridiche possibili per liberarsi dei direttori generali nominati dall’Ulivo con chiara colorazione politica. E, sulla legittimità delle scelte effettuate dal precedente governo, hanno già programmato la richiesta di un parere al Consiglio di Stato. I giuristi del Polo si stanno arrovellando sulla possibilità di procedere alla rimozione dei burocrati più scomodi facendo leva  sul mancato rispetto  dei parametri di designazione meritocratici. «Il governo Amato – spiega Tivelli -  in base al decreto legge 29 sui dirigenti pubblici doveva scegliere i nuovi direttori generali  sulla base della valutazione delle prestazioni, invece ha privilegiato  meccanismi diversi, basati sulla fiducia personale o, peggio, sulla vicinanza politica».

La rimozione dei burocrati scelti dall’Ulivo non si presenta comunque semplice perché i loro contratti ricadono nella sfera del diritto privato. «Se lo spoils system  fosse reale – spiega Panebianco – i dirigenti della pubblica amministrazione non dovrebbero avere la possibilità  di fare ricorso in caso di destituzione. Il sistema dovrebbe prevedere la totale discrezionalità delle nomine  su un certo numero di posti, non tutti ovviamente della burocrazia statale. Le designazioni politiche devono poter essere arbitrarie, non contestabili. Altrimenti non si tratta di nomine politiche. In ogni caso non spetta agli esecutivi uscenti farle»

 

R.Sc.