Il Timone N.13 maggio/giugno 2001
Il 19 gennaio 2001 è morto Gustave Thibon, cattolico, filosofo-contadino autodidatta. L’amore a Dio e la fede genuina furono i suoi strumenti per comprendere il reale. Un autentico maestro
di Marco Respinti
Dialogando con Gustave Thibon nel suo volume Au soir de ma vie. Mèmoires recueillis et
prèsentés par Daniéle masson, del 1993, una biografa ne sigilla così la
vita e l’opera: “Thibon voleva riconciliare l’uomo con sé stesso” e questo fece
militando per la causa del Signore
della storia. Thibon – “filosofo contadino” figlio e nipote di contadini,
discepolo o amico di filosofi antichi e contemporanei – è scomparso il 19
gennaio scorso nel paesino di Saint-Marcel-d’Ardéche, nel Midi di Francia, dove
nacque novantotto anni fa, il 2 settembre 1903. La cultura coincide solo con i
libri esclusivamente in un’ottica di riduzionismo illuministico e di ciò
Thibon, che oltre la carta stampata sapeva dialogare con gli autori e con le
epoche storiche, è una testimonianza di primo piano: ex “ribelle” agnostico,
autodidatta e agricoltore sin dall’adolescenza invece che studente, mise per
iscritto e pubblicò le proprie prime riflessioni filosofiche su richiesta di
Jacques Maritain, dopo aver riguadagnato la fede cattolica a venticinque anni.
Quasi che il famoso filosofo neotomista trovasse sapide come mai e puntuali più
di altre le intuizioni thiboniane sulla fede che converte anche l’intelletto.
Il “filosofo contadino” dell’Ardèche, l’uomo che ha fatto conoscere Simone Weil
al mondo, è per certo stato, seppur piuttosto negletto, un grande campione del
cattolicesimo contemporaneo francese (ammesso che, pur determinanti, le
connotazioni geografiche siano, in questo ambito, discriminanti), capace di
osservazioni incisive che, a partire dalla fede in Cristo, investono anche
quella morale sociale che costituisce il campo d’insegnamento specifico della
dottrina sociale della Chiesa cattolica. Per Thibon, infatti, la realtà
possiede una norma oggettiva di verità che, istillata dal Creatore, ne
determina l’ordine. Per questo motivo è possibile – il termine di paragone è il
funzionamento dell’organismo umano
governato da leggi che lo precedono ontologicamente – anche distinguerne
e di esporne una fisiologia possibile di patologia. Innamorato dell’ordine del
creato che anzitutto e soprattutto
evoca e rivela il suo Creatore, quindi il suo strenuo difensore nell’attuale
grande battaglia apologetica per la cultura basata sulla verità, Thibon ha
indefessamente predicato quel “ritorno al reale” (così il titolo di una sua
importante opera uscita in versione integrale nel 1943 e ripubblicata, assieme
ad altro, nel volume, a mia cura, Ritorno
al reale. Prime e seconde diagnosi in tema di fisiologia sociale, trad. it.
con una prefazione di Gabriel Marcel, Effedieffe, Milano 1998) capace di
neutralizzare la lente distorcente dell’ideologia, figlia del gran rifiuto
luciferino del giogo dolce del Padre celeste.
Nel corso della sua lunga esistenza, il “filosofo-contadino”
ha pubblicato decine di volumi e di saggi traboccanti amore per Dio incarnato e
per la Sua creazione.
Poco di suo è purtroppo disponibile oggi in lingua
italiana., ma ritornare al reale oltre ogni prospettiva ideologica significa
certamente anche riappropriarsi di
Thibon. Infatti, come egli scrisse in Au soir de ma vie, ogni cattolico può
ripetere: “Porto in me dei morti più viventi dei viventi. Il mio più grande
desiderio è di reincontrarli”. Uno di loro è Thibon.