Il Sole 24 Ore 13 maggio 2001

Cautela nelle previsioni sul clima

di Gianni Fochi

 

Attenti ai modelli: la cautela, d’obbligo quando si ricorre alla matematica per prevedere come s’evolverà un sistema molto complesso, è stata invocata, in tema di cambiamenti del clima da Fabrizio Antonioli dell’Enea. A un convegno internazionale svoltosi a Roma presso l’Accademia dei Lincei, Antonioli ha insistito sul fatto che le previsioni d’innalzamento dei mari sono andate ridimensionandosi notevolmente nel corso degli ultimi vent’anni. Uno degli organizzatori del convegno, il geologo linceo  Antonio Brambati, dell’università di Trieste, ha ricordato che oggi nessuno prevede più che nel secolo appena cominciato i mari salgano d’un metro, come si dice3va nel 1985, ma piuttosto d’una ventina di centimetri. Nel 1980 qualcuno prevedeva che le calotte polari si sciogliessero e le acque salissero di ben sette metri e mezzo. Antonioli ha citato i satelliti che lungo le coste sarde  dal ’93 al 2000 hanno rilevato addirittura un calo di dieci centimetri.

Poco prima lo svedese Nils-Axel Mörner aveva accusato l’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) di basare le sue previsioni su dati scelti, ignorandone altri. Per esempio alle Maldive era stato pronosticato di finir sommerse entro il 2100; invece negli ultimi anni le acque sono scese anche lì d’una decina di centimetri.

La sfiducia nei modelli era prevalente al convegno linceo, ma non mancavano inviti alla moderazione. Giuseppe Orombell, partecipante alle ricerche in Antartide, ritiene che gli studi paleoclimatici permessi dall’analisi delle “carote” estratte dai ghiacci, offrano spunti per capire i meccanismi dell’alterazione del clima. Nelle coste toscane e laziali  - spiegava Roberto Mortari dell’Università “La Sapienza” di Roma – il mare si è innalzato di mezzo metro dall’inizio della rivoluzione industriale. Insomma il problema dei cambiamenti climatici esiste davvero, come da anni sta facendo presente agl’italiani l’ottimo divulgatore Luca Mercalli, presidente della Società metereologica italiana.

Si sono voluti invitare relatori capaci di far sorgere un dibattito equilibrato, spiegava un altro organizzatore del convegno, il linceo Forese Wezel dell’università d’ Urbino. Intenzione senz’altro da applaudire, poiché il problema è un poliedro sfaccettatissimo, la cui essenza non piò essere colta da un punto di vista solo. L’inglese Frank Oldfield ha infatti definito ridicolo contrapporre cause naturali e umane, perché esse interagiscono, anche se non si sa quanto e in che maniera. Per valutare l’effetto futuro dell’aumentata concentrazione del biossido di carbonio, non si possono cercare analogie nel passato. Secondo Oldfield i gas serra non sono all’origine di certi fenomeni, ma potrebbero amplificarli. Per avere le idee chiare, occorrerebbe comprendere meglio il ruolo dei cicli solari e il modo di reagire dell’ambiente a questi e alle attività umane.

George Kukla dell’università Columbia di New York ha ironizzato  sulla fiducia con cui molti prevedono il clima futuro, mentre restano ancora da spiegare  i dati di fatto del passato. Per Dario Camuffo del Cnr di Padova, le misure della temperatura sono mosaici di serie succedutesi  nel tempo, secondo il progresso degli strumenti, ciascuna con errori diversi. Sicché, quando si dice che la temperatura media nell’ultimo secolo è aumentata di mezzo grado, sarebbe onesto aggiungere «più o meno due gradi», incertezza quadrupla del valore stesso. Più sensato – ha detto Camuffo – è riflettere sull’aumento di frequenza delle massime e minime molto pronunciate: si può dire, in effetti, che l’aumento dei giorni molto caldi è stato più sensibile di quello delle gelate. Inoltre in confronto a ciò che si vede nei dettagliatissimi dipinti del Canaletto, sappiamo che nella laguna veneta dal 1872 al 1990 l'acqua è salita di circa trenta centimetri. In seguito però, stando alle dichiarazioni d’Antognoli, già riportate, nel Mediterraneo il fenomeno s’è fermato o invertito.

Due studiosi di dendroclimatologia, la scienza che cerca di ricostruire il clima del passato dagli anelli di crescita dei tronchi d’albero, hanno illustrato i contributi che essa può portare su scala regionale. L’inglese Keith Briffa ha però concluso che quel tipo di studi non può fornire sostegno alla tesi d’un recente riscaldamento planetario eccezionale. Nicoletta Martinelli della Dendrodata di Verona ha segnalato come per le Alpi e l’Appennino settentrionale si possa pensare a una crescita arborea accelerata dal biossido di carbonio divenuto più abbondante (insieme con l’acqua esso è la materia prima da cui deriva la cellulosa), senza che il fenomeno possa essere fatto risalire a un aumento di temperatura.

La tavola rotonda finale ha preso spunto da una  sollecitazione del pubblico: quando si parla di riscaldamento – fa rilevare l’opuscolo A guide to global warming, pubblicato dal G.C. Marshall Institute di Washington – si riportano temperature della superficie terrestre , mentre per l’ultimo ventennio sarebbe molto più utile riferirsi a quelle misurate per la bassa atmosfera  dai satelliti  e dalle radiosonde. Le misure superficiali sono infatti assai scarse sugli oceani, e per giunta molte stazioni, costruite in campagna, sono poi state inglobate dalle città in espansione, e quindi negli ultimi decenni hanno risentito dell’effetto “isola di calore”.

Ebbene: dal 1979 le misure dell’aria in quota indicano temperatura praticamente stabile o in leggerissimo calo. Comunque sia, negli ultimi 140 anni la stessa temperatura della superficie è sfasata rispetto a ciò che secondo l’Ipcc ne avrebbe provocato l’aumento. La maggior parte della famosa crescita di mezzo grado risale infatti a prima del 1940. Poi la crescita di concentrazione  del biossido di carbonio nell’aria accelerò, aggiungendo nel resto del Novecento ben quattro quinti della quota in più rispetto all’era preindustriale. La temperatura, secondo i modelli in voga, avrebbe dovuto seguire lo stesso andamento: al contrario ci fu un leggero calo fino al 1970, seguito da un aumento modesto (se s’eccettua un effetto occasionalmente alto del Niño nel 1997-’98).

William Ruddiman (università della Virginia) ha risposto che le misure fatte dai satelliti vanno in parte corrette, perché la loro orbita si restringe nel tempo, mentre Camuffo ha sostenuto che non si può fare un paragone diretto fra i classici termometri a mercurio e gli strumenti a bordo dei satelliti. Sabino Palmieri, meteorologo dell’università “La Sapienza” di Roma, ha invece sostenuto che almeno per gli andamenti locali i satelliti funzionano bene, e che effettivamente la temperatura s’è impennata verso il 1925 e ha avuto un calo dopo il 1970. Un fisico della stessa università, Alfonso Sutera, ha convenuto che per i mutamenti climatici non sono da considerare le temperature della superficie terrestre.