Il Timone n.13 maggio-giugno 2001
Sinistra, sindacati e lobby dei pedagogisti mandano in pensione la scuola italiana. Smantellata per legge nell’indifferenza generale. Ecco qualche proposta per una “controriforma” della scuola
di Marco Tangheroni
Una catastrofe si sta abbattendo sull’Italia, purtroppo
nell’indifferenza di gran parte
dell’opinione pubblica: la riforma della scuola. Riforma dei cicli scolastici,
con l’abbreviazione di un anno della durata complessiva degli studi, l’abolizione
della scuola media (ora per legge fusa con la scuola elementare in un’unica
“scuola primaria”), la soppressione di fatto dei licei, l’introduzione - dopo
la “primaria” – di un ulteriore biennio comune, la riduzione dell’ultimo
triennio a quattro aree. Riforma dei contenuti
e dei metodi, con la guerra alle discipline da sostituire con i “nuovi
saperi”, l’eliminazione di teorie e concetti astratti dagli insegnamenti
scientifici come da quelli linguistici e letterari, l’appiattimento sul
presente dell’insegnamento della storia e la fine dell’attenzione al tema
dell’identità nazionale in nome insieme del localismo e del mondialismo.
Voluta e sponsorizzata dalla maggioranza di sinistra, dalle
organizzazioni sindacali “ufficiali” e dalle lobby dei pedagogisti, questa
riforma smantellerà definitivamente la scuola italiana, completando un’opera
già avviata con le sperimentazione selvagge mai sottoposte a verifica, con
l’abolizione degli esami di riparazione, del sette in condotta e, nei fatti, di
ogni selezione con la nuova periodizzazione, per decreto, dei programmi di
storia, con la progressiva introduzione di nuovi metodi didattici, con
l’umiliazione (anche economica) e burocratizzazione dei docenti, con la
riduzione dei presidi a manager. Né essa ha trovato serie alternative
nell’opposizione di centro-destra che pare sensibile al tema – certo
importante, ma non sufficiente – della libertà di scelta della scuola da parte
delle famiglie. Peccato per la casa delle Libertà, che avrebbe potuto farsi
interprete della crescente reazione degli insegnanti e degli intellettuali dei
più diversi orientamenti politici. Non basta dichiarare una generica volontà di
cancellare la riforma. Occorre avere un’idea chiara di quanto sta accadendo ed
una precisa, consapevole, alternativa.
Fedele alla tradizione della cristianità medievale,
costruita ex-novo, pur se sulle basi degli schemi educativi propri del mondo
greco-romano, erede inconsapevole anche della raffinata e “moderna” esperienza
educativa dei gesuiti, la scuola italiana, con i licei, mirava alla formazione
di una classe dirigente matura e critica. L’utilità pratica degli insegnamenti
non costituiva il criterio per la scelta delle discipline e dei loro contenuti;
la scelta si basava, invece, sul loro potenziale formativo in vista di tale
formazione.
Recependo, talora esplicitamente, il modello americano, si
vorrebbe sostituire questo tipo di formazione con contenuti pratici e metodi
ispirati alle nuove tecniche di comunicazione, videogiochi compresi, per
fornire prodotti adatti al mercato del lavoro. Ci si muove sulla base della
convinzione – non infondata – che l’economia contemporanea, come la società
contemporanea, non hanno più bisogno di una classe dirigente abbastanza spessa
come consistenza, dotata di una cultura generale, allenata all’esercizio
proprio di una ragione critica. Anzi, la possibile non controllabilità di una
classe dirigente di questo tipo viene considerata come non funzionale al
sistema, che ha bisogno di consumatori, di venditori, di comunicatori, non già
(anzi) di persone libere, dotate di capacità critiche e, quindi, di autonomia
di giudizio.
Senza dubbio, la sinistra è stata portata ad aggravare la
situazione agendo conseguentemente alla terribile confusione tra uguaglianza di
possibilità ed uniformità che ne caratterizzò l’ideologia.
L’ugualitarismo si è così diffuso, producendo l’assenza di
selezione tanto tra gli studenti quanto tra i docenti. Ma contrapporre un
criterio meritocratico all’appiattimento verso il basso non può essere sufficiente.
La contro-riforma dovrebbe avere chiarissima la finalità educativa, da
assolvere insieme alle famiglie, nei casi sempre più rari, in cui esse
sussistono: la formazione di donne ed uomini maturi e capaci di scegliere
criticamente ed autonomamente; di persone, si potrebbe anche dire, e non di
venditori/consumatori. Con la finalità ben chiara, andranno difesi e restaurati
vecchi metodi e vecchie discipline, scelti, gli uni e le altre, sulla base della loro ricchezza formativa,
non già dell’illusoria ricerca delle esigenze di mercato. Tra i vecchi metodi
da ripristinare c’è certamente lo studio a memoria, essendo necessario
l’allenamento per lo sviluppo di questa
facoltà.
L’analisi logica, abbandonata a favore di scomposizioni del
discorso utili, al più, per apprendere a fare banali slogan simil-pubblicitari,
è ugualmente da recuperare.
Nell’insegnamento delle lingue, morte o vive, la traduzione,
anche per il suo utile fare ricorso astrazioni, deve ritrovare la sua
centralità. Altra attività abbandonata quasi sempre da tempo è il riassunto,
esercizio decisivo per imparare a cogliere la sostanza di un testo. Vanno
difese la storia letteraria e le letture dei classici.
Quanto alle discipline il primo punto consiste proprio nella
difesa delle discipline contro la
volontà di sostituirle con confusi “saperi”, mai scelti in base alla loro
capacità formativa, bensì ad una loro presunta utilità pratica e al primato del saper fare, donde, fra
l’altro la previsione di addestrare alla manualità (?!), di fatto, come è stato
detto, ridurre la conoscenza da smettere mediante la scuola a “istruzioni per
l’uso”.
Va combattuta l’abolizione, di fatto, di due discipline
assolutamente indispensabili come la geografia e la storia dell’arte, cui
andrebbe accompagnata una seria educazione musicale.
Quanto alla storia, appiattita sul Novecento e, pare,
limitata, come studio cronologico, alla sola scuola primaria, va restaurata la
sua centralità formativa, privilegiando i temi
dell’identità nazionale e di quella europea. Essa giova alla
comprensione tra culture in quanto abitua
all’incontro con l’altro da sé, non perché in una folle cavalcata, dalla
preistoria all’impero romano, fatta compiere a bambini di nove anni, si preveda
anche qualche pagina sulle migrazioni bantù. Da difendere è lo studio della
civiltà classica, a proposito della quale mi limiterò a questa citazione di un
celebre biologo, Luca Cavalli Sforza: «Posso dire che, fra tutte le mie
esperienze scolastiche, la traduzione dal latino è stata l’attività più vicina
alla ricerca scientifica, cioè alla comprensione di ciò che è sconosciuto».
Il tutto nel quadro di una più generale e più ampia
strategia volta a recuperare la dimensione interpersonale del rapporto tra
docente e allievo, tra un docente motivato ed uno studente stimolato a dare il
meglio.
Lucio Russo, Segmenti e bastoncini. Dove sta andando la
scuola?, nuova edizione,
Universale Economica feltrinelli, Milano 2000.
Alberto
Giovanni Biuso, contro il Sessantotto, Guida, Napoli 1999.
Antonio La
Penna, Sulla scuola, Laterza, Roma-Bari 1999.
Fabrizio
Polacco, la cultura a picco, Marsilio, Venezia 1998.