Il Tempo 15 giugno 2001

L’imminente viaggio di Wojtyla e i rancori storico-politici della gerarchia ecclesiastica russa

L’ombra lunga dell’Unione sovietica sull’Ucraina cattolica

Cinquant’anni fa la repressione istigata da Stalin Oggi l’ostilità degli ortodossi ai fedeli del Papa

di Gianfranco Svidercoschi

 

Si chiamava Alessio, il capo del patriarcato ortodosso di Mosca, che ebbe un ruolo determinante nella liquidazione della Chiesa greco-cattolica ucraina.

Era la primavera del 1945, e stava finalmente per terminare la seconda guerra mondiale. La Galizia, com’era chiamata allora l’Ucraina occidentale, si trovava sotto il giogo straniero. In cinque anni era stata occupata tre volte. Prima dai sovietici, all’inizio del conflitto, poi dai nazisti, quindi nuovamente dall’Armata Rossa.

Alla guida della Chiesa cattolica di rito orientale si era appena insediato monsignor Josyf Slipyj, e improvvisamente partì l’attacco ortodosso. Era firmato in prima persona da Alessio, anche lui nominatoda poco alla testa del patriarcato di Mosca. In passato si era occupato dell’assistenza alla popolazione affamata di Leningrado, durante l’assedio, ma era noto soprattutto per il suo costante allineamento alle direttive del Cremlino.

Alessio scrisse una lettera aperta ai preti e fedeli greco-cattolici.

«Unitevi a noi, rompete i legami col Vaticano, che con i suoi errori religiosi vi sta portando alla rovina spirituale».

Quell’inconcepibile invito all’apostasia, giustificato ufficialmente con le accuse alla gerarchia ecclesiastica cattolica di collusione con i tedeschi, sembrava però avere motivazioni molto più antiche, più profonde.

L’ortodossia russa infatti non aveva mai digerito l’accordo di Brest nel 1596, quando alcune diocesi ortodosse ucraine, sotto le pressioni politiche della Polonia, avevano deciso di unirsi a Roma. E fu allora che venne coniato il termine di «Chiesa uniate», usato in tutta l’Europa dell’Est in senso dispregiativo, cioè come sinonimo di «traditrice».

Forse era anche così. Forse quei rancori pesavano ancora.

Ma ci volle poco a capire, malauguratamente, che la vera ragione di quell’intervento era un’altra: il patriarcato di Mosca aveva sposato in pieno – difendendo così i propri «interessi», naturalmente – la politica religiosa del regime sovietico. Per il quale era a dir poco intollerabile avere sul proprio territorio un «potere» estraneo, collegato per giunta con una entità soprannazionale, com’era la Santa Sede.

Pochi giorni dopo la clamorosa uscita di Alessio, il 12 aprile, venne arrestato monsignor Slipyj con altri quattro vescovi. L’atto d’accusa, reso pubblico solamente un anno più tardi, parlava di collaborazionismo con gli occupanti tedeschi. Ma, in realtà, era la vendetta delle autorità sovietiche dopo il rifiuto di Slipyj di confluire con il suo popolo nell’ortodossia o almeno di creare una Chiesa nazionale, staccata da Roma, e dunque facile da manovrare, da controllare. Fu questo l’inizio della durissima repressione contro le comunità cattoliche nell’impero dell’Urss.

E in Ucraina non era finita. Slipyj e gli altri vescovi furono processati e condannati a vari anni di lavori forzati. Mentre la Chiesa greco-cattolica venne letteralmente cancellata.

Dall’8 al 10 marzo del 1946, a Leopoli, uno pseudo-sinodo, composto da preti e laici filo-russi, decretò la «riunificazione» della Chiesa cattolica di rito orientale con quella ortodossa russa. Dietro, ovviamente, c’era la sapiente regia dei dirigenti dei dirigenti del Partito comunista. Anzi, si dice, dello stesso Stalin.

Senza più chiese, che erano state consegnate agli ortodossi, quasi senza preti, perché molti erano stati deportati in Siberia, i greco-cattolici rimasero comunque fedeli al Papa e a Roma. Anche perché, liberato nel 1963 ma obbligato all’esilio, Slipyj fece in tempo, proprio a Mosca, a ordinare un nuovo vescovo, e questo a sua volta moltiplicò successivamente le consacrazioni episcopali; e così, pur nella clandestinità, pur nel martirio quella Chiesa riuscì a sopravvivere.

Passarono gli anni, cade il Muro, tramontò il marxismo, l’Unione sovietica si disgregò, e anche l’Ucraina tornò libera, indipendente.

Anche i greco-cattolici poterono di nuovo vivere la loro fede alla luce del sole. E a quel punto, pretendendo dagli ortodossi la restituzione degli edifici di culto, innescarono – con le loro richiesta legittima ma sostenuta spesso da modi aggressivi – una nuova lunga contesa, che non è stata ancora completamente sanata.

E qui arriviamo ai nostri giorni, alla visita che Giovanni Paolo II compirà in Ucraina alla fine della prossima settimana.

Una visita che - dopo quelle in Romania, in Georgia, e specialmente quella recente in Grecia – potrebbe avere ripercussioni estremamente positive sul piano ecumenico, e in particolare sui rapporti tra Santa Sede e ortodossia, rapporti che da tempo si sono come congelati.

E invece, anche questo grande evento rischia  di fallire, o quanto meno di non conseguire i risultati sperati, per colpa – guarda un po’ i paradossi della storia! – di un altro patriarca ortodosso di Mosca di nome Alessio, Alessio II. Per la verità, ui non è così intransigente come il predecessore, anzi, crede sinceramente nella causa dell’unità cristiana. Ma è, di fatto, prigioniero degli elementi più duri, più anticattolici del Santo Sinodo.

E così, anche se spesso per interposta persona, attraverso l’esarca metropolita di Kiev, Alessio ha fatto di tutto perché il viaggio del Papa in Ucraina non avvenisse. Prima ha tirato fuori le solite accuse a Roma, contro l’uniatismo e contro il proselitismo dei missionari cattolici in Russia. Poi ha sostenuto che il Pontefice avrebbe dovuto chiedere «permesso», per andare in territorio ortodosso, infine ha diffidato il Papa dall’incontrare il patriarca Filarete, separatori da Mosca, perché in tal modo il «ribelle» ne verrebbe  legittimato.

Ma forse, il vero timore  di Alessio è che la visita di Giovanni Paolo II in Ucraina possa alla fine risultare – come, del resto, già sembrerebbe – una tappa di avvicinamento alla Russia, a Mosca. E allora, dopo aver detto no tante volte, dopo aver cancellato gli inviti portati in Vaticano da Gorbaciov, da Eltsin e da Putin, che cosa potrebbe fare Alessio di fronte a un viaggio del Papa coronato da un grande successo popolare?