Il Giornale 21 maggio 2001
di Giuseppe Sermonti
Ai primi di maggio la notizia era finita in prima pagina sui giornali di tutto il mondo: «World’s First Genetically Altered babies» (i primi bambini al mondo alterati geneticamente). La fonte era l’istituto per la medicina e la Scienza della Riproduzione del «St. Barnabas Medical Center» nel West Orange, New Jersey. Il Dr. Jaques Cohen rivelava di aver prodotto 15 bambini sani e paffuti, usando una tecnica di manipolazione che un po’ impropriamente, era stata battezzata «metodo a tre Dna». Il più grande dei bimbi compie in questi giorni quattro anni. E’ di ieri la rivelazione del Washington Post che i bambini erano in realtà 17, ma due erano morti per mancanza di un cromosoma X (sindrome di Turner).
La condizione che il Dr. Cohen ha realizzato è molto simile a quella che si produce quando si prepara una clonazione. Per «clonare» un animale si prende il nucleo da una sua cellula adulta e depotenziata e lo si trasferisce nel citoplasma di una cellula uovo, giovane e totipotente (al posto del nucleo locale). Il nucleo «ringiovanisce» e riprende a riprodursi, la cellula si moltiplica e si forma il nuovo organismo, il cosiddetto «clone». Cohen parte da un uovo sterile restio a riprodursi, e, con un ago di vetro, gli inietta una goccia di citoplasma giovane. E l’uovo si riattiva e comincia a moltiplicarsi. Né nel caso della clonazione né in quello della riattivazione si ha una vera alterazione genetica, un trasferimento di geni. I geni rimangono quelli che erano, solo sono risvegliati, riattivati. Nulla di male dunque?
Tragicamente male, invece. Non si gioca con l’ovocellula umana come se fosse un preparato da esercitazione o un uovo al tegamino. Essa ha una struttura complessa e delicata, è un vero organismo inespresso. I nostri ricercatori del New Jersey si sono messi a operare senza essersi accertati dell’assenza di pericoli per i nascituri, senza neppure aver sperimentato la tecnica sui maialini. Essi ci raccontano i loro esperimenti, che hanno condotto direttamente sull’ovocellula umana, e i cui rischi possono manifestarsi ben oltre quei quattro anni che il primo neonato ha raggiunto in questi giorni. Peraltro la ricerca sui cloni, da cui i nuovi esperimenti prendono spunto, è stata un vero fallimento. «I cloni non hanno una grande probabilità di successo – scrive New Scientist di Londra -. Gli animali nascono spesso malati o insolitamente grossi e molti non vivono a lungo». Queste prospettive hanno praticamente segnato la fine della clonazione umana, e lascia sbalorditi la la sfrontataggine con cui i camici bianchi d’oltre oceano inaugurano un altro campo di sperimentazione sotto quei sinistri auspici.
Queste ricerche non vanno, come è stato suggerito riprese con più cautela. Vanno escluse dal principio. Il loro primo obiettivo è la ripresa di possesso di un territorio da cui la tecnologia deve restare fuori, per sempre. Questo territorio è la fondazione della persona umana, e va rispettato non solo perché è di una enorme complessità, ma perché in quell’ambito un’insignificante modifica può produrre esiti finali sproporzionati, non foss’altro la ricordata sindrome dei figli ingrossati (large offspring syndrome). Lo scientismo moderno vuole guadagnare terreno proprio nei campi proibiti della generazione umana, nei luoghi dove sono fissati i destini della persona. Vuole questo perché non vi siano più «destini», ma solo progetti biotech e l’uomo non pretenda di essere figlio di qualcuno che non sia il manipolatore genetico. Questa è la grande scommessa, per cui alcuni scienziati sono pronti a farci pagare il prezzo della sofferenza umana. Essi sono impegnati a dimostrare che non c’è altra verità che la scienza, che tutto ciò che avevamo sinora accettato per verità era solo conoscenza approssimativa e non si preoccuperanno davvero per qualche bambino nato grosso o malaticcio. Quelli sono destinati a essere pionieri di un’umanità «liberata», finalmente controllata sin dalla nascita dalla biotech del 2000.
So che mi si dirà che nonostante le preoccupazioni di certi moralisti , la tecnologia finirà col prevalere. Ma le antiche consuetudini umane e la medicina tradizionale non sono avanzi di cucina: sono tecnologie raffinatissime e insuperabili. L’amore, e la passione, il parto, l’abbraccio materno, l’alimentazione al seno, la voce del padre e la buona famiglia sono realtà insostituibili, e tutti gli artifici, le interruzioni, le assistenze, le sostituzioni non sono che mediocri surrogazioni, talvolta dolorosamente necessarie, mai preferibili. Ha detto il Dr. Jack Scaribrick, un oppositore dei trapianti fetali: « Ciò che è moralmente cattivo risulterà alla fine cattiva medicina».