Il Giornale, domenica 8 luglio 2001

«Protestare non basta se non si cambia mentalità»

di Andrea Tornielli

 

Non è andato a Genova, al convegno dei cattolici. Non ha condiviso l’analisi e le proposte del «Manifesto ai leader del G8» che diverse associazioni cattoliche hanno sottoscritto. Ma non ci tiene neppure a passare per un difensore della globalizzazione e ormai da cinquant’anni va ripetendo che la situazione dell’umanità  spaccata in due, con i ricchi sempre più ricchi e con i poveri sempre più poveri, è insostenibile. Padre Piero Gheddo, missionario di lungo corso, direttore dell’ufficio storico del Pime a Milano, spiega al Giornale il perché di una posizione fuori dal coro.

Il suo giudizio sul manifesto dei cattolici?

«Siamo tutti d’accordo che bisogna bandire le guerre, il traffico di armi e combattere la povertà e le epidemie. Ma ho trovato, nel testo delle associazioni riunite a Genova, un’analisi del problema di stampo marxista, vecchia e inadeguata: la colpa è sempre tutta dell’Occidente, dei popoli ricchi e sviluppati. La colpa è sempre degli altri…»

Perché questa analisi è sbagliata?

«Semplicemente perché non corrisponde alla realtà. I popoli del mondo vivono in epoche storiche diverse: noi alle spalle abbiamo secoli di guerre, di errori ma anche di scoperte, di sviluppo. Secoli di cristianesimo. Ci sono invece popoli che sono usciti dalla preistoria appena cento anni fa».

Resta il fatto che oggi il 20 per cento della popolazione mondiale consuma l’80 per cento della ricchezza…

«E’ vero. Andrebbe però sostituito quel verbo “consuma” con un altro verbo: “produce”. Il 20 per cento della popolazione mondiale produce l’80 per cento delle ricchezze e le consuma. La domanda è: perché il rimanente 80 per cento della popolazione produce soltanto il 20 per cento delle ricchezze?».

L’intervistato è lei, risponda pure

«Perché  ci sono popoli molto meno arretrati come tecniche e conoscenza. Le faccio un esempio: io sono di Vercelli e nelle mie zone si producono 70 quintali di riso all’ettaro. Nell’agricoltura tradizionale africana, si arriva a 4 o 5 quintali all’ettaro. La differenza tra i 70 e i 5 quintali è la differenza tra i paesi ricchi e i paesi poveri».

Le responsabilità di questa differenza di chi sono?

«Non è colpa dei G8 né del colonialismo, come invece sostiene la cultura dominante sul Terzo mondo. Quello che nel “Manifesto” i cattolici non dicono è che  il problema è culturale, di mentalità, di atteggiamento davanti alla vita, alla natura, al progresso. Il concetto stesso di progresso non esiste, ad esempio, nell’Africa tradizionale. La salvezza sta nell’evoluzione delle culture prima che nei soldi e nelle tecniche. C’è bisogno di educazione e di autentica solidarietà, quindi innanzitutto di annuncio evangelico».

Che cosa chiede allora ai cristiani riuniti a Genova?

«Mi stupisce il fatto che manchi un contributo originale dei cristiani, purtroppo accodati al carro del popolo di Seattle. Mi addolora il fatto che non siano condannate  alcune pratiche come ad esempio la contraccezione imposta al Terzo mondo. Ai cattolici chiederei di essere più attenti alla realtà delle missioni: nel mondo ci sono 16mila  missionarie e missionari italiani, soltanto in Africa sono 7.000, e sono lì innanzitutto ad annunciare Cristo. E dove arriva il Vangelo cambia la mentalità. I popoli in via di sviluppo  hanno bisogno di questo annuncio. Il Papa lo ripete in continuazione e lo ha scritto nell’enciclica Redemptoris Missio».

La globalizzazione è buona o cattiva?

«E’ uno strumento che può essere usato bene o male. Oggi non è usato molto bene e danneggia soprattutto i popoli poveri. Ma il problema non sono i G8 o le multinazionali. Il problema sono le nostre società ricche: per questo vorrei fare una proposta, anzi un appello ai giovani, a tutti i giovani del popolo di Seattle».

Quale appello?

«Vorrei dire a ciascuno di loro: ammiro le vostre intenzioni, ma dovete diventare fratelli dei poveri in modo autentico. Vi chiedo un gesto contro il consumismo: spendete la vostra vita con i poveri, venite almeno per un anno o due con noi missionari».

Qual è il suo giudizio sulle manifestazioni di protesta in preparazione contro il prossimo vertice dei G8?

«Sono contento che ci siano, anche se mi auguro, ovviamente, che sia bandita qualsiasi forma di violenza. Sono contento perché è una delle poche volte in cui i popoli del Terzo mondo vengono alla ribalta e si parla di cose che solitamente non sono all’attenzione dell’opinione pubblica. Purtroppo la nostra società sta dimenticando questa spaccatura in due del nostro mondo.  Ma aggiungo anche che la protesta non basta, ci vuole un cambiamento del nostro modello di sviluppo».