Il Sole 24 Ore, 21-07-02
di Silvie Coyaud
The Skeptical EnvironmentaIis di Bjorn Lonborg, in traduzione per Mondadori, è stato accolto con favore da alcuni ambienti della politica e dell’economia, e contestato da molti scienziati, abituati all’incertezza intrinseca dei propri dati e stupiti dal modo in cui l’autore li maneggiava. Ma il problema è più generale: riguarda anche le statistiche fornite dalla maggioranza dei governi agli enti internazionali, che Lomborg e altri usano per valutare costi e benefici delle iniziative a favore dell’ambiente.
Per esempio, in cambio dell’ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio, la Cina ha dovuto promettere di rendere credibili le proprie, già ridimensionate dal rapporto dell’Oecd del maggio scorso; Kenya e Nigeria producono tabelle notoriamente inventate, per altri Paesi africani in guerra esistono solo vaghe estrapolazioni; in America Latina, i governi non possono quantificare il commercio deIla droga e quello connesso delle armi; lo stesso vale per parecchie repubbliche ex sovietiche e stati asiatici in cui operano organizzazioni a estorsione o guerriglia. Altri dati sono sbagliati all’origine: quello della Banca mondiale per cui il prezzo del cibo è diminuito dal 1800 a oggi, trascura che due secoli fa soltanto una piccola percentuale —dal 5 al 20%, secondo i Paesi — del cibo aveva un prezzo per un mercato, il resto serviva al consumo proprio o al baratto. I dati sull’ambiente sarebbero altrettanto inaffidabili di quelli economici, se non tenessero conto delle misure provenienti dai satelliti e da ricerche svolte in territori tranquilli come oceani e poli.
È vero che sono misure incomplete. Il 6 luglio l’Economist ha pubblicato un inserto sull’ambiente dal titolo “Quanti pianeti?”, che cita l’avvertenza del rapporto “People and Ecosystems” commissionato dal World Resources Institute, dalla Banca Mondiale e dalle Nazioni Unite per misurare i beni e i servizi vitali (aria, acqua, cibo, fibre) che traiamo dall’ambiente: “La conoscenza degli ecosistemi è cresciuta in maniera spettacolare ma senza tenere il passo con la nostra capacità di modificarli”.
Il settimanale aveva applaudito il libro di Lomborg, ritenendolo un giusto correttivo al catastrofismo dei verdi. L’atteggiamento dell’”ambientalista scettico” è ben esemplificato dall’intervento che egli ha tenuto a Spoleto-scienza, la rassegna organizzata dalla Fondazione Sigma-Tau, del quale è qui pubblicato un estratto. Ma l’Economist non condivide l’affermazione di Lomborg per cui acqua potabile, humus fertile o foreste non starebbero scomparendo rapidamente. Auspica un dirigismo temperato, carbon tax e simili per chi inquina. un’alleanza fra verdi e mercati per risolvere problemi locali. Quelli globali i più spinosi, si acuiscono, conclude l’inserto, come dimostrano dati provenienti dalle assicurazioni.
La Swiss Re ha calcolato che tra il 1950 e il 1985, i disastri naturali da maltempo avevano in media costi finanziari annui di 5 miliardi di dollari e di 40 miliardi dal 1985 in poi. La statistica è presentata come preoccupante, eppure essa non dice se l’incremento è dovuto a maggior diffusione delle assicurazioni, a popolazioni sinistrate più facoltose, o più numerose, o a disastri davvero più gravi o frequenti. È solo una statistica, uno strumento rozzo e a volte contundente, da maneggiare con cura.