Il Sole 24 Ore, 21-07-02

 

Per le misure ecologiche spesso si impiegano ingenti risorse finanziarie per risultati scarsi, trascurando altre priorità sociali

I costi della litania ambientale

Biorn LOMBORG*

 

Conosciamo a memoria la litania sul deterioramento del nostro ambiente. Questo è il messaggio apocalittico che i media ripetono incessantemente, Come quando il settimanale Time dice che “tutti sanno che il pianeta gode di pessima salute” o New Scientist, in una rassegna sullo stato dell’ambiente, parla di “auto-distruzione”.

Ci dicono che stiamo contaminando il pianeta. Le nostre risorse si esauriscono. La popolazione è in continuo aumento e c’è sempre meno da mangiare. Aria e acqua sono sempre più inquinate. Le specie si stanno estinguendo in gran numero — ne .sterminiamo più dì 40mila ogni anno. Le foreste scompaiono, le riserve ittiche si esauriscono, la barriera corallina muore. I terreni coltivabili svaniscono. Stiamo inondando la natura di cemento, distruggendo gli ambienti naturali, decimando la biosfera, e su questa strada finiremo per uccidere anche noi stessi. L’ecosistema globale sta per crollare e ci avviciniamo rapidamente al limite assoluto di sostenibilità.

Abbiamo sentito tanto spesso questa litania che sentirla un’altra volta è quasi rassicurante. Tuttavia c’è un problema: non sembra confermata dalle prove a nostra disposizione. Né le fonti di energia né le risorse naturali si stanno esaurendo. C’è sempre più cibo e sempre meno persone che muoiono di fame. Nel 1900, vivevamo in media 30 anni, oggi 67 anni. Secondo le Nazioni Unite, negli ultimi 50 anni abbiamo ridotto la povertà più che nei cinque secoli precedenti, e questo è accaduto praticamente in ogni paese.

Il riscaldamento globale probabilmente si sta verificando, anche se le proiezioni future sono eccessivamente pessimistiche e la cura preconizzata — ridurre drasticamente l’uso di carburanti fossili — sarebbe ben più dannosa della stessa malattia. Inoltre l’impatto complessivo del riscaldamento globale non costituirà un problema devastante per il nostro futuro. Non perderemo dal 25 al 50 per cento delle specie nel corso della nostra vita — ma probabilmente solo lo 0,7 per cento. Le piogge acide non uccidono le foreste, e l’aria e l’acqua sono sempre meno inquinate.

In realtà, se si considerano tutti gli indicatori misurabili, la vita umana è considerevolmente migliorata. Questo non significa tuttavia che tutto vada bene: possiamo fare di meglio.

Prendiamo per esempio la fame e l’esplosione demografica. Nel 1968 Paul R. Erlich, uno degli ambientalisti americani più influenti, scriveva nel bestseller The Population Bomb che “la battaglia per nutrire l’umanità è persa. Nel corso degli anni Settanta, il mondo vivrà carestie di proporzioni tragiche e centinaia di milioni di persone moriranno di fame”.

Non è successo. Anzi, secondo le Nazioni Unite, nel Paesi in via di sviluppo la produzione agricola è aumentata, del 52 per cerno pro capite. L’apporto alimentare giornaliero negli stessi paesi è passato dalle 1932 calorie del 1961 — appena sufficienti per sopravvivere — alle 2.650 calorie del 1998, e si prevede che salirà a 3.020 entro il 2030. Anche la percentuale di persone che soffrono la fame in questi paesi è passata dal 45 per cento del 1949 al 18 per cento a oggi, e si prevede che scenderà ancora, al 12 percento nel 2010 e al 6 per cento nel 2030. Il cibo, in altre parole, non diventa più scarso, ma più abbondante. Questo si vede anche dai prezzi. Dal 1800 a oggi, il prezzo degli alimenti è diminuito di più del 90 per cento, e nel 2000, secondo la Banca Mondiale, i prezzi hanno raggiunto il minimo storico.

I dati sull’alimentazione, la popolazione e l’inquinamento contraddicono tutti la litania. Eppure dai sondaggi appare evidente che la gente — almeno nei Paesi ricchi — è convinta che il nostro ambiente si sta deteriorando.

Conoscere il vero stato del mondo è importante perché la paura di problemi ambientali ,in buona parte immaginari può distogliere i politici dall’affrontare quelli reali. Il Centro per l’analisi dei rischi dell’Università Harvard ha condotto la più vasta inchiesta mondiale sui costi delle iniziative pubbliche il cui scopo politico primario è quello di salvare vite umane, e non i molti interventi ambientali che poco o nulla hanno a che fare con questo scopo, come quelli tesi ad aumentare il livello di ossigeno nei fiumi, bonificare paludi e istituire riserve naturali. Vengono messi a confronto solo interventi ambientali il cui scopo primario è quello di salvare vite umane (per esempio il controllo delle sostanze tossiche) con quelli praticati in altri settori.

Ci sono vistose differenze; nel prezzo da pagare per avere qualche anno di vita in più tramite gli interventi tradizionali: il servizio sanitario non costa molto, in media bastano 19mila dollari per salvare una vita per un anno, ma per raggiungere lo stesso risultato con misure ambientali si arriva all’incredibile costo di 4.2milioni di dollari.

Questo non significa che una gestione razionale dell’ambiente e gli investimenti ambientali non siano spesso una buona idea - solo che dovremmo confrontare i costi e i benefici di questi investimenti con quelli di investimenti simili in tutti gli altri importanti settori della vita umana. E per assicurare che la politica individui le priorità in modo ragionevole, dobbiamo abbandonare la nostra radicata fede nella mitica litania e cominciare a concentrarci sui fatti — il mondo in realtà sta migliorando, anche se c’è ancora molto da fare.

 

*Direttore dell’Environmental Assessment Institute di Copenaghen, è l’autore di “The Skeptical Environmentalist”, Cambridge University Press, 2001, in traduzione per Mondadori.