Corriere della Sera, 15-07-02
di Geminello Alvi
Leggiamo sui giornali che secondo il Wwf resterebbero al nostro pianeta solo cinquant’anni. E allora calmi ci mettiamo alla ricerca del perché non ci resterebbe a quel punto che emigrare su Marte. Per riscoprire nei siti ecologisti il consueto miscuglio di panico, e compiaciuto terzomondismo. Anche se nel sito il Wwf italiano reclama sei obiettivi ambientali certo sensati e però sempre sotto minaccia di quello che ci attenderebbe nel 2050 secondo il rapporto Living Planet 2002. Subito, quindi a leggersi il sito dove è stato aggiornato il rapporto precedente.
Contiene anche “l’impronta ecologica” un indice laborioso e complicato, secondo cui il carico umano salirebbe del 150% al di sopra della capacità biologica del pianeta attorno al 2040.
Ne/ frattempo un altro indice di benessere sempre elaborato dal Wwf, circa attorno al 2030, inizierebbe a calare, ma dopo essere cresciuto fortemente. Tanto che nel 2040 sul grafico saremmo ancora a livelli di benessere odierno. Un ulteriore motivo di quiete.
Anche perché gli indici di questa impronta ecologica sono calcolati come prima. E si tratta pur sempre allora di una mole di quantificazioni e parametri non poche volte tentati, o molto disputabili. Dunque se già mi pareva improbabile di arrivare a 105 anni, adesso arrivo comunque alla previsione che almeno a quella età non dovrò emigrare su Marte. E ce lo riconferma Mathis Wackernagel, il coordinatore del rapporto in un altro studio in cui ne approfondisce le conclusioni. Ci riserva infatti una bella sorpresa: il carico vitale umano che secondo Living Planet era pari nel 1997 a 1,33 volte la capacità della biosfere terrestre, cala nel 1999 a 1,2 volte. Ma come è possibile prevedere un disastro, tra cinquant’anni se i dati in un biennio ancora oscillano tanto? Non è possibile.
Come è improbo accettare per sensati alcuni dei calcoli di Wackernagel e del Wwf che gli si affida. Il lettore che avrà la pazienza di leggersi lo studio in cui a pagina 3 si applica alle regioni italiane il calcolo delle impronte ecologica potrà verificarlo.
E non è che di ciò ci si sia accorti solo in Italia. Bastava andarsi a rileggere quanto Julian Morris, economista ambientale dell’ Institute of Economic Affairs, dichiarava alla Bbc che lo aveva interpellato riguardo allo studio di Wackemagel: “Lo studio cerca di fare troppo in troppo poco spazio, con troppe assunzioni e troppo pochi dati. La pretesa che noi abbiamo superato la capacità rigenerativa della Terra è una finzione basata su assunzioni inappropriate e dati scarsi. Lo studio è di poco valore sia come valutazione dell’impatto umano sull’ambiente e sia come una guida per l’azione. Anche senza essere così duri, insomma il dubbio è più che lecito. E diviene ragionevole chiedersi a che serva questa drammatizzazione che compiace le isterie dei no global; non la ragione.
Eppure siamo invasi da calcoli di questo genere. Due anni fa tu l’Onu che lanciò la cifra di 357 mila immigrati da importare in Italia per mantenere la sua popolazione lavorativa da qui al 2050. Calcolo insensato perché non teneva in conto l’aumento della produttività. Con questa stessa trascuratezza nel 1950 si sarebbe stimato che gli italiani oggi dovevano essere 100 milioni per produrre quello che ora producono. Eppure anche allora una gran delizia per i terzomondismi del politicamente corretto, i quali da un lato pretendono il carico vitale italiano di quasi due volte superiore alla capacità biologica dell’Italia. E però ogni volta sono lì a reclamare sempre più immigrati.
In conclusione è evidente come sia in atto una crisi ambientale globale. Non è invece così ovvio che per risoverla si debba sottrarre potere all’Occidente, e cavalcare il più scatenato terzomondismo, per la beatitudine dei regimi corrotti dei Paesi più poveri. Il Wwf insomma, invece di eccitare i disperati con un apocalittismo alla no global, si concentri piuttosto sulle sue proposte ambientaIi, che hanno in Italia una loro sensatezza.