Avvenire, 01-08-02

Dopo l’Argentina, Uruguay e Brasile

Per chi suona la campana in Sud America?

Giancarlo Galli

 

Il Sud America sta esplodendo. Le economie ripiegano le monete franano Io spettro della miseria piana su 200 milioni di uomini, in Argentina, Brasile, Uruguay: per quasi la metà sotto la soglia della povertà. Con le banche funzionanti a singhiozzo che spesso negano il ritiro dei risparmi.

Eppure Argentina, Brasile, Uruguay erano, sono ancora, potenzialmente ricchi: agricoltura. materie prime, industrie tecnologicamente avanzate, non fanno loro difetto. Il reddito pro capite alla vigilia del disastro, era di oltre 8mila dollari in Argentina, 6mila in Uruguay, 4mila in Brasile. Nell’ultimo decennio i tassi di sviluppo avevano entusiasmato gli investitori internazionali che correvano quali orsacchiotti al miele, pregustando colossali affari. A garanzia dell’ottimismo, l’aggancio del peso di Buenos Aires e del real di Brasilia al dollaro. In mezzo, le riservatissime banche di Montevideo. Ulteriori argomenti: la stabilità politica, dopo l’epoca delle dittature militari; i severi controlli del Fondo Monetario Internazionale, il cui maggior azionista è la Federal Reserve di Washington. Innanzi ad un simile scenario, come interpretare il tornado? Qualche spiegazione potrebbero fornirla i cervelli del big business che mandando soldi, costruendo fabbriche, - acquisendo partecipazioni d’ogni sorta (penso alla Bnl, alla Tim, alla Fiat, alla Parmalat per l’Italia; al Banco Bilbao ed al Central Hispano per la Spagna; alla Vw per la Germania: ma di esempi trattasi), avevano tentato di creare un asse Sudamerica-Europa, a dimensionare l’influenza Usa. Invece tacciono. Comprensibile: le vittorie hanno cento padri, i disastri sono orfani.

Si sono però fatte sentire due autorevoli voci: il Nobel dell’economia Joseph Sfiglitz, americano ultraprogressista (autore di ‘91 “Globalization and its discontents” che in Usa va destando scandalo e riflessioni): il ministro del tesoro Usa Paul O’Neill, che siede alla destra di George W. Bush. Con veemenza Stiglitz punta il dito sul Fondo Monetario: avrebbe cinicamente imposto regole ultraliberiste, scatenando speculazioni ed egoismi. O’Neill, contesta: scarso liberismo, troppo corporativismo. Per il Fondo Monetario un’unica colpa: l’ingenuità. “Gran parte degli aiuti internazionali al Sudamerica, finiscono spesso in Svizzera”, ha scandito, aprendo uno spiraglio su verità inconfessabili, O’Neill che ha poi dovuto precisare, ammorbidendo. Tuttavia nell’alta finanza in molti sono al corrente. La crisi è stata innescata da un tenore di vita della borghesia sudamericana incompatibile con i dettati economici, ed acuita dalla fuga di capitali. La svalutazione di peso e real ha favorito l’export, ma le aziende lasciano gli incassi all’estero. I ceti dominanti si sono rivelati incerti e corrotti:  dall’Argentina al Brasile, alla vigilia di elezioni, nei sondaggi salgono pertanto i candidati della destra peronista o conservatrice, della sinistra che guarda a Fidel Castro. Oscure prospettive che alimentano le angosce. Israele va infatti convincendo il mezzo milione di ebrei argentini ad emigrare. Più cautamente, Italia, Portogallo, Spagna, s’occupano dei loro figli che avevano varcato l’Atlantico. Magari un secolo fa. Siamo ben oltre, insomma, una crisi economica o monetaria. Purtroppo non ci decidiamo a prendere atto del segnale: una campana che suona sul capitalismo, la globalizzazione, la democrazia, il “modello americano”. Per l’Europa e l’Italia, lasciar solo il continente latino, sarebbe dunque un delitto di lesa solidarietà.