Corriere della Sera, 31-08-02

 

Si può insegnare “convivenza civile”?

L’ISTRUZIONE SENZA ANIMA

di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

 

Ignoro se il ministro dell‘Istruzione, Letizia Moratti, abbia già accolto (o si appresti ad accogliere) !a proposta fatta ai primi di agosto dai suoi esperti dì cui si è letto sui giornali. Ecco la proposta: introdurre in tutti i dodici anni del curriculum scolastico, non proprio come materia specifica, bensì come ambito di “livelli essenziali di prestazione” (questo, ahimè, è l’italiano che si adopera a Viale Trastevere), una medita “educazione alla convivenza civile”.

Questa che si annuncia come una mirabile vetta del politicamente corretto dovrebbe comprendere: “l’educazione stradale”, “l’educazione alimentare”, “l’educazione alla cittadinanza”, “l’educazione all’ambiente e alla salute", — sporadicamente presenti già oggi, credo — e in più, a partire da quest’anno, “l’educazione all’affettività”, la quale ammaestri non solo sulla “anatomia dell’apparato riproduttivo”, ma anche “sull’aspetto valoriale e culturale che collega affettività e sessualità”.

Ripeto: ignoro quale fine abbia fatto o stia per fare la proposta degli esperti del ministro Moratti. Una cosa di sicuro so, tuttavia: e cioè che la suddetta proposta appare come una vera e propria pietra tombale calata sull’idea di cultura che finora ha dominato il nostro orizzonte pubblico e ispirato il nostro sistema educativo. Dell’idea di cultura, cioè, che storicamente discende dalla grande tradizione dell’Umanesimo occidentale.

AI centro ditale tradizione vi è sempre stata l’idea che il sapere possieda in quanto tale un’intrinseca capacità di formazione umana e di incivilimento. L’idea che la conoscenza di una poesia, delle passate gesta di una civiltà, del movimento dei pianeti o del misterioso rapporto tra i numeri e le sostanze, che la conoscenza di tutto ciò, lungi dall’esaurire in sè il proprio senso, ne abbia uno più vero e più alto:la nascita di un individuo per quanto possibile libero e consapevole, In grado, proprio perché “colto”, “istruito”, di non soggiacere ciecamente alle passioni proprie e del mondo ma di avere lo sguardo rivolto alla ricerca della “verità”.

L’enfasi sul carattere disinteressato proprio della cultura voleva dire principalmente questo: a conoscenza, dunque anche l’istruzione e la scuola non servono, non devono servire prioritariamente ad alcun fine pratico e particolare perché esse servono a qualcosa di ben più alto: soprattutto a definire una continuità di civiltà, a formare una personalità morale, un carattere. Qualcuno, insomma, che, si presume, non vada in giro a investire vecchiette sulle strisce, bruciare boschi o allungare impropriamente le mani.

Oggi, invece, se queste cose vanno insegnate, se diventano oggetto di altrettante materie scolastiche dalla grottesca denominazione, è evidentemente perché la prospettiva. umanistica della nostra cultura, con le sue due fondamentali componenti rappresentate dall’antichità classica e dal retaggio giudaico-cristiano, è stata totalmente cancellata dall’orizzonte educativo. Ci hanno pensato il futile susseguirsi delle mode culturali, la vacuità dei pedagogisti, la superficialità della classe politica, mentre da decenni il ministero preposto all’istruzione, consigliato dai suoi sciagurati esperti, non fa che avallare spensieratamente, come continua a fare, ogni innovazione distruttiva, ogni cambiamento dissennato. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la scuola ha perso qualsiasi fondamento nei valori, qualsiasi asse e ispirazione umani e sociali, le materie e gli oggetti di studio si moltiplicano in un’accozzaglia senz’anima. E nelle aule dove un tempo risuonarono i nomi di Dante e di Galilei Si insegna oggi ai giovani italiani a non mettersi le dita nel naso e a non abboffarsi di patate fritte.