Secolo d’Italia, domenica 22 luglio 2001
George Soros rilancia, con il suo nuovo libro, la sua idea del potere globale
Una tesi più moderata. Ma rimane l'attacco agli Stati nazionali
di CLAUDIO FINZI
George Soros,
il famoso finanziere statunitense di origine ungherese che negli ultimi anni ha
dominato le relazioni economiche e finanziarie mondiali, ha deciso di lasciare
ad altri il controllo del suo impero economico. Ma non intende ritirarsi a vita
privata. Come il suo antenato spirituale, che non nomina mai ma certamente ben
conosce, il francese Claude Henri Rouvroy conte di Saint-Simon che tra il
cadere del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento ha dato vita
all'ideologia tecnocratica, Soros vuole dedicarsi completamente alla sua nuova
funzione di maestro del mondo contemporaneo. D'altronde, di questa sua
aspirazione non ha mai fatto mistero, come mostrano i suoi articoli e i suoi
libri, nei quali l'ideologia tecnocratica, nella sua versione bancocratica -
tutto il potere alle banche - si unisce strettamente alla venerazione per Karl
Popper e la sua «società aperta». Leggiamo La
crisi del capitalismo globale La società aperta in pericolo, pubblicato nel
1998 e tradotto in italiano un anno dopo dalla editrice Ponte alle Grazie.
Secondo Soros i mercati finanziari sono estremamente instabili, e tanto più lo
saranno quanto più prevarranno quelli che egli chiama i fondamentalisti del
mercato, i sostenitori del liberismo ad oltranza, per i quali le virtù
autoregolative del mercato sono capaci di dirigere pienamente e accortamente la
società. Occorre dunque restituire stabilità al mondo, perché altrimenti
giungeremo al collasso del «sistema capitalistico globale». Ma come? Qui si
svela la sostanza tecnocratica e bancocratica del pensiero di Soros. La
politica, afferma il finanziere statunitense, ha dimostrato ampiamente e
lungamente la sua incapacita operativa, rivelandosi inadeguata a quello che in
ogni tempo è stato ritenuto suo compito essenziale: regolare la società umana mediante
decisioni supreme. Gli Stati non sono in grado di soddisfare il desiderio di
stabilità, perché il movimento finanziario, come tutto il movimento economico,
è globale, mentre gli Stati sono pur sempre ancorati alle dimensioni nazionali
e particolari. Occorre dunque superare lo strumento Stato, massima espressione
della politica, trovando altri mezzi di regolazione della società globale, dove
i flussi finanziari si muovono al di là di ogni frontiera artificiale. lì
nemico da battere è la politica, incarnata nello Stato «strumento arcaico».
Dov'è dunque la soluzione? Se gli Stati e la politica sono incapaci di regolare
ll grande disordine, dobbiamo ricorrere a strumenti diversi da quelli politici.
E poiché oggi il disordine è finanziario, ecco che soltanto strumenti
finanziari potranno riportare l'ordine nel mondo, dando certezza agli uomini.
Dobbiamo rafforzare gli organismi finanziari preposti al controllo
internazionale, mettendoli in grado di contrastare le follie degli Stati, che
debbono essere sottomessi alle decisioni del Fondo Monetario Internazionale.
Soluzione che più tecnocratica, anzi, bancocratica, non potrebbe essere. Se la
politica ha fallito, consegniamo tutto il potere agli organismi finanziari, i
quali così, forti del loro sapere certo e intrinseco al nuovo mondo
sviluppatosi negli ultimi decenni, potranno regolare dall'interno il futuro che
ci attende. Esattamente come volevano Saint-Simon con la sua tecnocrazia e il
barone siciliano Giuseppe Corvala con la sua «Bancocrazia» del 1940.
Si potrebbe
obiettare che nella nuova edizione del suo libro lo stesso George Soros ammette
di rinunciare alle sue tesi più arditamente bancocratiche. Ed in parte è vero: La società aperta. Per una riforma del
capitalismo globale, pubblicato nel 2000 e tradotto in questo 2001 sempre
da Ponte delle Grazie, non. soltanto è più organico, meglio articolato, privo
delle fastidiose ripetizioni del primo testo, ma appare più moderato sul piano
tecnocratico e bancocratico. Ma non significa affatto una rinuncia al programma
di fondo. Soros propone infatti soltanto un ridimensionamento del progetto di
due anni prima, ma non rinnega i princìpi fondamentali. Si rende conto che
pretendere l’annullamento degli Stati, o almeno la loro radicale subordinazione
alle autorità finanziarie internazionali, susciterebbe ancora reazioni e
rifiuti, e dunque ripiega su «una riforma più modesta, «una versione ridotta
del mio programma originario». E conclude: «Un'autorità finanziaria
internazionale incaricata di mantenere la stabilità del sistema finanziario
globale è costretta ad operare secondo linee radicalmente diverse da quelle di
una banca centrale nazionale. Questo non fa venir meno l’esigenza di una simile
autorità». A questo poi, sempre nel quadro della progressiva riduzione dell’autonomia
della politica degli Stati, affianca un progetto per una «Alleanza per la
società aperta», che suscita timori e perplessità altrettanto forti.
L'obiettivo minimo sarebbe il condizionamento della scelta del segretario
dell’Onu. Ma questo è un altro discorso, sul quale potremo tornare.