Il Giornale domenica 24 giugno 2001
di Antonio Socci
Siamo ad un
tempo allegri e disperati? L'international research associates, nel 1994,
chiese a un campione di cittadini dell'Unione europea: «Dove si è felici in
Europa?». Prevalse l'Italia. Secondo i nostri vicini, «gli italiani sono il
popolo migliore del mondo e vivono nel Paese migliore del mondo». Ma
curiosamente nel 1998 un sondaggio dello stesso istituto sull'aspettativa dei
popoli europei di fronte al nuovo millennio, vedeva l'Irlanda al primo posto
con una percentuale di ottimismo del 74 per cento, e l'Italia al penultimo con
il 39. Siamo dunque allegri, ma angosciati dal futuro?
Credo
che lo sguardo al futuro sia legato (anche) al fattore età. Infatti la
super-ottimista Irlanda ha in Europa la più alta percentuale di giovani (il
31,4 per cento della popolazione ha meno di vent'anni), mentre l'Italia è in
fondo alla classifica (con il 20 per cento) ed è il Paese dell'Ue con la
maggior percentuale di persone sopra i 60 anni (il 23,5 per cento).
I dati Istat
diffusi giovedì dicono che questa situazione si fa drammatica: il saldo
nascite-morti del 2000 è stato negativo di 17mila abitanti (anche se gli
immigrati, cresciuti di 181mila unità, colmano il vuoto). Con l'indice di
natalità fra i più bassi del mondo e l'indice di vecchiaia (il rapporto fra chi
ha più di 65 anni e chi ne ha meno di 14) che è arrivato a 124,8 (mentre era di
38,9 nel 1961 e di 61,7 nel 1981) bisogna constatare che ci stiamo estinguendo.
E mentre c'è chi si mobilita per il panda, il lupo e la foca monaca, degli
italiani non si occupa nessuno. Avrebbero dovuto tenere ben presenti le
dinamiche demografiche le classi dirigenti, ma hanno fatto l'esatto contrario.
il 26 marzo scorso Il Sole 24 Ore titolava:
«Stangata sulla famiglia». Risultava da quei dati che siamo fanalino di coda in
Europa (anche) per il sostegno alle famiglie con figli. A parità di reddito
imponibile in Italia una famiglia paga tasse tredici volte superiori a quelle
della Germania. Si è dunque seguita una politica che - su una questione
strategica - puntava diritta al suicidio. Passando attraverso il crollo
economico: non solo perché giovinezza significa intrapresa e innovazione (non è
un caso se l'Irlanda ha il tasso di sviluppo più alto, in Europa, e l'Italia
quello più basso), ma pure perché si fa incolmabile il rapporto fra popolazione
attiva e pensionati l'Italia è il Paese europeo dove in assoluto lavora di meno
chi ha più di 55 anni). La sinistra si è illusa di finanziare la spesa
pensionistica futura ricorrendo a una immigrazione di massa di extracomunitari,
ma è stato ampiamente dimostrato (Giuliano Cazzola su Liberai del 26.8.99 e Umberto Melotti su Sociologia 1/1999) che è appunto un'illusione ed è anche una prospettiva
esplosiva dal punto di vista sociale. Oltretutto significa rassegnarsi
all'estinzione degli italiani. Adesso la nuova maggioranza di governo ha
annunciato una politica inversa, di sostegno alla maternità e alle famiglie con
figli. È una scelta di grande importanza. Ma si riuscirà a scongiurare la
sostanziale estinzione degli italiani nell'arco del XXI secolo? È anche un
fatto storico-culturale di enorme importanza «Ogni popolo si appropria di una
missione storica, si costruisce intorno ad essa, e presto o tardi incontra il
Disegno di Dio». Queste parole di Pavei Edvoldmov sono forse troppo russe, ma
se togliamo loro la possibile lettura messianica e pericolosamente
nazionalista, rivelano una pacifica verità il destino speciale che il popolo
italiano ha avuto - negli ultimi 1500 ami – è evidente. Il papa ha ricordato la
«missione» forse più grande e misteriosa: l'essere stato la culla e il centro
del cristianesimo e della Chiesa Sono perfino troppo celebrati poi il «primato»
italiano nell'arte e le grandi figure che hanno dato una svolta radicale alla
storia del mondo, da Colombo a Galilei fino ai «ragazzi di via Panisperna». Ma
anche se consideriamo la vita quotidiana del pianeta, scopriamo che gli
italiani hanno contribuito con un ingegnò davvero prezioso: la vitti economica
e civile sarebbe inimmaginabile senza l'elettricità (e vengono in mente Galvani
e Volta), senza l’automobile (e il motore a scoppio evoca l'abate Bersai). il
pianeta si è fatto un solo villaggio grazie alle comunicazioni radio e telefoniche
(ricordate Marconi e Meucci?). Si potrebbe continuare perfino con la musica e i
numeri, base di tutta la tecnologia moderna, che portano ai nomi italiani di
Guido D'Arezzo e Fibonacci. E la bella storia di un popolo al tramonto?
Naturalmente la maternità e la paternità sono scelte che nascono dall'intimo e
non hanno nulla a che fare con la politica e la storia patria Anche il fattore
economico - che pure è importante - non è decisivo. Ma la denatalità italiana
riflette la crisi di una civiltà C'è un particolare che rivela, in quei freddi
dati, un'immensa questione esistenziale: la percentuale di popolazione Ira i 20
e i 39 anni, che è quella più feconda, in Italia è superiore alla media europea
(30,5 per cento contro 29,8). Ciò che rende più inquietante il primato negativo
delle nascite. Si tocca qui un dramma che è anche generazionale: quello degli
attuali ventenni e trentenni. Quelli fotografati dal celebrato film di Gabriele
Muccino, L'ultimo bacio. Trentenni
vulnerabili, esitanti di fronte alla responsabilità di costruire una famiglia e
mettere al mondo figli, impauriti davanti al tempo che passa e tutto travolge,
a cominciare dai legami affettivi. E una questione seria. «la capacità
affettiva è la cosa più fragile, ma è anche il meglio di noi», si legge
nell'ultimo libro di Luigi Giussani dedicato appunto ad Affezione e dimora (Rizzoli). Giussani coglie precisamente la
domanda del nostro tempo: «Ci troviamo di fronte a un'incapacità drammatica:
sulla nostra affettività cosa possiamo costruire di stabile, di sicuro? Che
conto si può fare sulla fedeltà, sulla lealtà?». C'è una speranza; afferma
Giussani, perché «il mistero di Dio è venuto tra noi, ha preso questa nostra
fragilità e, non solo non l'ha scartata, ma ha tolto da essa la sua incapacità
ultima; la rende capace di gratuità e su di essa costruisce l'opera nuova, una
umanità nuova». In fondo il film di Muccino è sospeso proprio alla possibilità
di una novità: «Ti chiedi se la tua vita potrà ancora cambiare. Pensi che in
fondo sei ancora in tempo. Sono in tempo tutti. Fino all'ultimo istante che
resta da vivere». I bambini sono il segno della novità possibile. Charles
Péguy, in un suo poema, ha colto ristante in cui un fanciullo irrompe fra un
gruppo di adulti: «E improvvisamente avete riconosciuto/ e improvvisamente
avete salutato,/ la vostra anima antica/. Una voce è venuta come da un'altra
creazione». I bambini sono - con buona pace dei teppisti di Seattle - l'unica
vera rivoluzione. «Ci ricordano - scriveva Hannah Arendt - che gli uomini, anche
se devono morire, non sono nati per morire, ma per incominciare».