Il Sole 24 Ore, domenica 24 giugno 2001

CRISTIANI IN TRINCEA

L'eroico primate d'Ucraina

di Giovanni Santambrogio

Josyf Slipyj è qualcosa di più di un simbolo. Presto potrebbe diventare santo. Il 2 ottobre del 1998 è stata avviata la causa per la sua beatificazione. In Occidente il suo nome ha fatto notizia all'inizio degli anni Sessanta, in piena attività diplomatica tra Santa Sede e Cremlino sul fronte del disgelo. Lo conduceva Giovanni XXIII. Proprio le sue pressioni su Chruscev portarono ad aprire uno spiraglio a Mosca. Nel gennaio del 1963 l'arcivescovo metropolita dell'Ucraina, Josyf Slipyj, internato nei gulag più duri dal 1946, fu liberato e arrivò in esilio a Roma. Da tre anni era cardinale in pectore. Nessuno lo sapeva perché era stata una scelta personalissima di Papa Roncalli. I fedeli e le gerarchie lo verranno a conoscere nel 1965, quando Paolo VI lo proclamerà pubblicamente. In quegli anni papa Montini interviene all'assemblea delle Nazioni Unite, manifesta preoccupazioni per la guerra in Vietnam, tesse rapporti per stabilire un filo diretto con l'Unione Sovietica sia per perorare la causa dei cattolici perseguitati sia per premere sui grandi per fermare i conflitti armati. In Ucraina è in corso un delicato viaggio di Giovanni Paolo lì, che durante il suo pontificato ha lavorato per dare voce a questa "Chiesa del silenzio", come veniva chiamata la comunità greco-cattolica ucraina. Una testimonianza condotta da anonimi cristiani attraverso la tenacia della fede che spera anche nelle situazioni più invivibili. Si sviluppano gli incontri clandestini per pregare. mettendo a rischio la propria incolumità fisica. Anzi di catacombe. Una Chiesa cancellata dal regime e un territorio sotto stretta vigilanza da parte degli Ortodossi che, nel 1946, si annettono la Chiesa greco-cattolica con lo "pseudo concilio" di Leopoli. Smembrata delle sue figure più nobili, imprigionate nei lager, nonostante questo non prevale né l'abiura né la disperazione. La biografia di Slipyj raggiunge punte commoventi e trasmette il coraggio di chi si sente nella carne figlio di Dio. Una odissea lungo i campi della Siberia e della Mordovia. Tre volte condannato, mai vinto. Vede cadere i nuovi martiri e prega per loro, preparandosi a subire un'identica fine. Ringrazia Dio per averlo reso testimone e cosciente che la vita non muore quando il corpo viene ucciso ma quando si abbandona Cristo. La sua esistenza segue tre grandi stagioni: la formazione e l'ordinazione fino a diventare metropolita, la sofferenza nei lager, l'esilio. La biografia riporta ampie testimonianze e ricordi diretti di Slipyj. A Roma il cardinale dei lager interviene ai lavori del Concilio Vaticano Il e l'8 dicembre 1963 fonda l'Università cattolica ucraina. Muore il 7 settembre 1984. Sette anni dopo, nel 1991, con il comunismo archiviato dal crollo del Muro, la sua figura viene riabilitata dal Tribunale supremo dell'Ucraina. Dell'Ucraina resta aperta la questione ecumenica. Romano Scalfi nella postfazione traccia la complessità. Ne esce un appello: «Nessuno rimanga in disparte». Slipyj ha indicato una strada, il viaggio di Giovanni Paolo il tenta ora di riaprire le porte del dialogo che iniziano con il perdono reciproco.

Ivan Choma,
«Josyf Slipyj»,
La Casa di Matriona, Milano 2001, pagg.152, L. 16.000