La Nazione (Quotidiano nazionale) 23 giugno 2001

MISSIONE IN UCRAINA 

IL CATTOLICO/ “Coi sovietici per noi tutto proibito”

Il vescovo di Kiev in lacrime. «La luce dopo il martirio»

dall’inviato Giovanni Morandi

KIEV – La memoria di Jean Pourwinsky, vescovo di Kyev, è legata a quella lapide appoggiata per terra nella cappella della Vergine. Tra mazzi di fiori, il cui profumo è vinto dall’odore acre della vernice, con cui sono state appena  rinfrescate le pareti della chiesa. Era la lapide della «casa dell’ateismo scientifico della Società della Sapienza».

Quando gli chiedo di guardarsi indietro per dirmi che cos’è questa visita del Papa per lui, che è ora alla soglia dei settant’anni e che è stato prete, quando era difficile esserlo, gli occhi gli si riempiono di lacrime. Se li asciuga in fretta e chiede scusa.

La libertà ritrovata

E riassume il suo passato in un confronto: «Loro potevano avere tutto, noi non potevamo avere nulla».

All’ingresso della chiesa vendono libri di religione per bambini. Sono tanti e colorati. Sono il segno della libertà ritrovata.

«Non volevano che portassimo i bambini in chiesa, nelle scuole insegnavano l’ateismo e quando la domenica c’era la messa, venivano le insegnanti e si mettevano davanti alla porta della chiesa, per impedire che entrassero i bambini delle famiglie cattoliche o  per prendere i nomi di quelli che vedevano aggirarsi nei paraggi», racconta il vescovo.

La chiesa di San Nicola, un barocco sobrio, restaurata da pochi anni, è stata restituita al culto da una decina d’anni.

Durante il regime sovietico era stata divisa in quattro piani, tre destinati ad appartamenti per operai, uno a casa dell’ateismo; distrutti gli affreschi e i sette altari.

Monsignor Pourwinsky, lettone, attivò a Kiev come sacerdote venticinque anni fa. Ricorda quando girava per i villaggi con le ostie, fatte di nascosto dalle monache, e diceva messa nelle scuole, con la milizia che gli dava la caccia.

Quando non avevano le ostie, facevano la comunione con il pane e il vino. «Ogni tanto mi portavano al commissariato e mi chiedevano: che ci facevi ieri notte in quel villaggio. E io: sono andato ad assistere i malati. E loro: sappiamo bene quali sono i tuoi malati».

«Non potevamo insegnare il catechismo, non potevamo dir messa con i chierichetti, non potevamo avere pubblicazioni, i libri di preghiere li scrivevamo a mano e la mia organista, Sophia Bielak, finì in prigione tre anni per aver tradotto un libro di preghiere. Una volta, nell’83, arrestarono dei fedeli, perché la milizia aveva trovato nelle loro case un libriccino intitolato “Misteri della fede” e quella parola “misteri” li indusse a pensare che si trattasse di un’organizzazione clandestina. Povero il mio predecessore, Stanislaw Szczypta, un prete polacco, che passò dieci anni in prigione solo perché pregando lo accusarono di attività antisovietica».

Sessantamila fedeli

C’è un luogo, Bukovnia, dove sono le fosse comuni dei cattolici sterminati. Tragedie non troppo lontane.

«Negli anni ’80, avevamo messo un microfono in chiesa per poter dire l’omelia, ci obbligarono a toglierlo».

A Kiev dieci anni fa le parrocchie cattoliche erano sette, ora sono centoquarantacinque, i fedeli 17.000, oggi quasi 60.000.

Fuori dalla chiesa c’è una croce di bronzo con una campana e una lapide che ricorda «I martiri della fede».