Il Giornale venerdì 13 luglio 2001
di Vittorio Strada
Pubblichiamo il colloquio tra Vittorio Strada e Aleksandr Solgenitsyn in uscita sul prossimo numero di Liberal.
Nella
Russia la religione cristiana ortodossa ha sempre
svolto un ruolo essenziale, permeandone la vita civile e lo sviluppo culturale.
Superato il periodo sovietico che ha visto il trionfo dell’ateismo di Stato,
qual è oggi la situazione? Si assiste a una vera rinascita religiosa? E qual è
il ruolo della Chiesa ortodossa russa,
anche alla luce dell’ultimo concilio? Ho avuto modo di rivolgere questi
interrogativi a Aleksandr Solgenitsyn che ha così sviluppato in questo breve dialogo le sue riflessioni su questo
tema.
«Non è un segreto che in tutto il mondo la religione
cristiana nell’ultimo secolo abbia subito un forte indebolimento. E’ un
processo mondiale. Ma in Russia, nell’Unione sovietica, questo processo è stato
accompagnato da avvenimenti sanguinosi. Prima della Rivoluzione d’Ottobre la
nostra Chiesa ortodossa aveva avuto uno sviluppo parziale perché era sottomessa
allo Stato fin dai tempi di Pietro il Grande, il che limitava le sue
potenzialità spirituali. Il nostro ceto colto, già nel corso del Diciannovesimo
secolo, si era staccato dalla religione. Ma anche il popolo, che era rimasto
saldo nella sua fede per tutto il secolo precedente, all’inizio del Ventesimo
cominciò a manifestare una sorta di teppismo ateistico, anche nelle campagne
più sperdute, preparando così il terreno per l’imminente rivoluzione. Nel 1917
la nostra religione era dunque già minata, sia presso il ceto colto che nei
ceti popolari dove era già cominciato il suo declino. Il bolscevismo non fece
altro che infierire: annientando quasi
il 90 per cento del clero e chiudendo la maggior parte delle chiese. Il paese
fu trascinato nell’ateismo con la violenza. Una violenza che riguardò
specialmente la generazione di mezza età, poiché quella giovane, che poi
divenne la media, lo assorbì naturalmente. Così l’ateismo si impadronì ampiamente
del Paese. la religione ortodossa si ritirava via via col susseguirsi delle
generazioni, rifugiandosi nel profondo del Paese, nei luoghi più remoti. E
questa è, in sostanza, anche la situazione attuale. Non mi sentirei più di
sostenere che il popolo russo, come si diceva una volta, è un popolo cristiano.
Il cristianesimo ortodosso si è ritirato in singole comunità, in singole
famiglie, in singoli focolai di fede, in singoli monasteri, ma non costituisce
un’unitaria realtà cristiana attiva,
non può influire in modo decisivo sul corso delle idee e degli eventi del
Paese».
«La Chiesa ortodossa russa che ha subito il disastro che ho tentato di descrivere – continua Solgenitsyn – si è risollevata e si sta ancora risollevando con enorme difficoltà da questa devastazione. La sua naturale tendenza è stata quella di ricostruire le chiese e i monasteri, ma temo che essa non sia riuscita a seguire il processo generale del Paese, che sia rimasta indietro, perché il processo spirituale è incessante e la Chiesa non può limitarsi all’aspetto materiale della ricostruzione. Il ritardo della Chiesa russa si manifesta nei Concilii. I martiri della fede da noi si contano a decine di migliaia, a partire dal metropolita Vladimir, ancora prima della fine del 1917, molto prima dello sterminio della famiglia imperiale. Ma del metropolita Vladimir, come di tanti altri sacerdoti e monaci uccisi, non si è neppure parlato. Lo stesso vale per la fucilazione del metropolita Veniamin. Per questo la canonizzazione della famiglia imperiale suscita in me, che mi sono tanto occupato di storia, una reazione particolare. Questa canonizzazione non si è svolta nell’ambito, e a pari titolo, delle altre migliaia di vittime, ma le è stato attribuito un posto primario. Io, che ho lavorato alla storia della rivoluzione per vent’anni, sono convinto con dispiacere che Nicola II fu il primo e principale colpevole di tutto quello che è successo in Russia. Molto egli ha fatto per la caduta della Russia prima del 1905 e a salvarlo dal precipizio fu Stolypin. Ma negli undici anni che vanno fino al 1917, lo zar ancora una volta non fu capace di tenere in pugno la situazione. Nel 1917 egli commise imperdonabili errori personali e politici. Perciò mi da fastidio il fatto che sia messo in rilievo il suo ruolo quasi fosse una sorta di protomartire in testa a una legione di santi. Di santi ne abbiamo meritati molti e non tutti sono stati ancora scoperti. E’ stato un gesto affrettato. Lo zar e i suoi sono morti come autentici cristiani, certamente, ma mi impressiona il fatto che essi sono stati i prescelti nella serie degli altri martiri».
Secondo lei c’è una possibilità di più intenso e autentico
dialogo tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica? Come valuta la
personalità e l’attività dell’attuale pontefice Giovanni Paolo II?
«A proposito del dialogo tra le due Chiese, penso che la più
grande sciagura del cristianesimo sia stato lo scisma tra la Chiesa d’oriente e
la Chiesa d’Occidente. Per un millennio il cristianesimo è stato unito e da un
millennio è spezzato in due: questo
evento si è certamente ripercosso su tutto il corso della storia. Perciò il
dialogo tra cattolicesimo e ortodossia è necessario, spiritualmente
indispensabile, non c’è dubbio. Ma in questo dialogo non ci dev’essere
un’altezzosa preponderanza di una parte sull’altra, non ci dev’essere il
desiderio di svolgere un’azione di missionariato nel territorio dell’altra
parte».
«Quando incontrai Giovanni Paolo II – ricorda Solgenitsyn –
gli raccontai un episodio che adesso
ripeterò in breve. Nel 1922, quando era in corso la più feroce devastazione
della Chiesa ortodossa, i metropoliti erano gettati in galera e venivano
perseguitati i fedeli, ci fu chi, nella Chiesa cattolica, interpretò tutto ciò
come una punizione divina per l’apostasia della Chiesa ortodossa. Nel 1922, nei
mesi in cui avveniva questa tremenda persecuzione del cristianesimo ortodosso,
il cardinale Gasparri svolse trattative col ministro degli Esteri sovietico
Cicerin per dare al cattolicesimo condizioni di favore nell’Urss, ebbe cioè
l’ingenuità di credere che il
bolscevismo fosse contro il cristianesimo ortodosso soltanto e che il
cattolicesimo sarebbe stato conservato!
Ma non basta. Nel 1926 il vescovo Michel d’Herbigny si recò a Mosca (una
seconda volta nel 1928) per preparare un concordato tra la Chiesa cattolica e
il bolscevismo, persistendo nelle stesse illusioni. Quando raccontai questo
episodio al Papa, egli fece mestamente un cenno col capo e disse che si era
trattato di un errore di singoli prelati. Quanto all’attuale Pontefice, io più
volte ho espresso la mia ammirazione per la sua persona e sono stato lieto di
averlo conosciuto. Penso che rappresenti un’enorme fortuna per la Chiesa
cattolica e per tutto il mondo. Gli auguro salute e lunga vita».