Corriere della Sera sabato 7 luglio 2001
BELL’ITALIA La discussa innovazione nel Duonio. Una decisione presa contro il parere di anorevoli studiosi. Il sovrintendente: Ora l’altare e un poco freddo
Gruppi marmorei di Giuliano Vangi sostituiscono antiche balaustre e due angeli del Gianbologna
di Arturo Carlo Quintavalle
Il moderno sloggia l'antico nel Duomo di Pisa. Per venti
anni i soprintendenti hanno detto di no, no a modificare, a manomettere la
sistemazione della zona di confine fra navata e presbiterio della cattedrale
romanica, quella iniziata da Buscheto nel 1063 e consacrata nel 1118. Il no era
dunque alla rimozione delle transenne di fine '500-inizi '600, preziose opere
di intarsio marmoreo di officina medicea, punto di riferimento per tutto
l'imponente sistema absidale. Qui, eliminate le transenne, sotto la gran cupola
medievale, hanno invece inserito velocemente, per la festa di San Ranieri (17
giugno), contro il parere di importanti studiosi, al centro un bianco altarino
retto da due angeli bislunghi e, a destra, un pulpitino bianco e verdastro con
tre figure allungate, ambedue opera di uno scultore bravo ma qui fuori posto,
Giuliano Vangi. In questa zona presbiteriale troviamo una imponente
stratificazione di opere: pavimento cosmatesco di metà secolo XII e tarsie
rinascimentali, dipinti di Andrea del Sarto, Domenico Beccafumi, Sodoma e il
«Crocefisso» del Giambologna. Ma adesso, con queste aggiunte e l'eliminazione
delle balaustre, tutto viene messo in discussione. Le due transenne rimosse, a
sinistra e destra, segnavano il limite con la navata; tolti anche due angeli
del Giambologna che stavano ai due angoli per cui adesso la prospettiva
«sfonda» dalla navata enorme verso l'altarino del Vangi mentre a destra, dove
stava in origine il pulpito di Guglielmo ora a Cagliari (1158-62), si colloca
il nuovo pulpitino sbiancato. Dunque gravissima manomissione di un sistema
prezioso, architettato a fine '500 da Alessandro Pieroni e certo anche dal Giambologna.
Inaccettabile la eliminazione di pezzi importanti di questa storia e ancor più
l'inserimento di opere moderne completamente fuori scala, la cui scrittura
contrasta violentemente con quanto le circonda. Insomma, dialogare con
l'architettura di uno dei monumenti romanici più alti dell'Occidente, con
Giovanni Pisano, con Cimabue nell'abside, doveva quantomeno far riflettere.
«Per me è stato un trauma, hanno asportato parte della recinzione
tardorinascimentale che era sita proprio sul filo della recinzione romanica e
hanno piazzato queste sculture di sapore un poco funebre vagamente jugend,
pesantissime», dice Adriano Peroni, che ha curato la grande opera in tre volumi
sul Duomo edita da Panini. Anche Antonio Caleca, ordinario di Storia dell'Arte a
Pisa, è indignato, «per venti anni si era resistito alle pressioni della
fabbriceria, che voleva la manomissione dell'abside, adesso non resta che
smontare il tutto e tornare alla situazione preesistente». Le proteste non sono
state ascoltate: quando già si profilava lo scempio della balaustra un
telegramma inviato al ministro e firmato da illustri professori come Settis,
Peroni, Barocchi, Caleca, Dalli Regoli, Masetti, Collareca per impedire lo
smontaggio non è servito. Tutto è stato «chiuso» in breve. Il soprintendente
Guglielmo Malchiodi ricorda i tempi. «Non c'è stato un vero progetto
architettonico, la Primaziale ha proposta una sistemazione del presbiterio che
è stata approvata dal Comitato di Settore a sezioni riunite. Di Giuliano Vangi
ho visto i bozzetti ma forse l'altare è diventato un poco freddo e al pulpito è
mancata una ambientazione architettonica, c'è stata della fretta, forse. Vangi
ha fatto tutto negli ultimi mesi tra la fine del 2000 e quest'anno». Malchiodi
precisa che, con l'asportazione della balaustra, si vede meglio il pavimento
cosmatesco e il coro rinascimentale è stato voltato verso il pubblico. Ma il
problema è molto più complesso. Non basta dire che dobbiamo inserire il nuovo
nell'antico ma bisogna sapere se, come e dove inserire. Per capire serve
ricapitolare la vicenda del presbiterio. Nel Duomo di Buscheto e di Rainaldo, a
metà del XII secolo, l'architetto e scultore Guglielmo propone la sistemazione
della zona absidale: siamo nella maggior chiesa d'Italia insieme al San Pietro costantiniano.
Guglielmo scolpisce il pulpito, marmorari romani operano il pavimento musivo,
si scolpisce anche la bella recinzione i cui pezzi sono divisi oggi fra Museo
dell'Opera del Duomo e Battistero di Pisa;
pulpito e
recinzione restano intatti fino al tempo di Giovanni Pisano, il cui pulpito
sostituisce quello di Guglielmo. Le risistemazioni quattro e cinquecentesche
della zona terminale del Duomo vedono all'opera alcuni importanti maestri di
tarsia che realizzano uno splendido coro: lavorano qui i Lendinara e quindi un
gruppo di artefici pisani su disegni di Benozzo Gozzoli (1493-1513). L'incendio
del 1595 distrugge gran parte della cattedrale e induce i Medici a intervenire
in modo deciso: si rifanno le porte di bronzo di facciata, si rifà il soffitto
a cassettoni, si risistema appunto il presbiterio eliminando la recinzione
medievale e creando una tarsia marmorea raffinatissima, quella ora smontata,
poi integrata da una coppia di angeli del Giambologna e da un imponente altare
commisurato alla dimensione dell'edificio. La sistemazione del pulpito di
Giovanni Pisano come lo vediamo oggi, a sinistra, è del restauro del 1926.
Dunque il presbiterio era un insieme ricco e complesso dove ogni intervento
doveva essere meditato, calibrato. Che cosa invece è avvenuto? Si è detto della
rimozione delle balaustre ma peggio e ancora il mancato proporzionamento di
queste nuove opere al contesto: altare e pulpito appaiono infatti, dalla navata
centrale, modeste operette di funerea, lustrata freddezza. Vangi ha voluto fare
una specie di omaggio a Tino di Camaino ripensando a Wildt e ne è venuto fuori
un pastiche gelido che contrasta
violentemente con le intense figure di Giovanni Pisano, con l'enorme spazio del
Duomo e con l'intero arredo presbiteriale. Non resta che una soluzione davvero
urgente: smontare il tutto e passarlo a una chiesa diversa, auspicabilmente
moderna, e rimontare subito le transenne rimosse, i due angeli del Giambologna
e le altre due transenne improvvisamente spostate subito dopo la guerra e confinate,
credo, al Camposanto. Ripristineremo così una barriera, un limite fra navata e
presbiterio e diverrà di nuovo percepibile la dimensione della cattedrale
pisana, ora completamente «sfondata» al proprio interno da questo assurdo e
inaccettabile intervento. Aspettiamo con preoccupata fiducia.