Il Giornale, 26 gennaio 2002
di Marcello Veneziani
Se domani vogliamo ricordare sul serio in Italia il Giorno della memoria,
riferito alla shoah, dovremo riprendere quel che scrisse La principale
studiosa ebraica del nazismo e del totalitarismo, emigrata dalla Germania a
causa delle persecuzioni. Mi riferisco ad Hannah Arendt, della quale è uscito
recentemente il denso epistolario con il suo maestro e amante Martin Heidegger (Lettere
1925-1975, edito da Comunità). Il Giorno della memoria mira a coinvolgere
le responsabilità italiane nelle persecuzioni antiebraiche alla luce delle
infami leggi razziali promulgate nel 1938. Sacrosanto, a patto di non dimenticare
quel che scrive a proposito degli italiani Hannah Arendt. Che cosa dice la
fllosofa ebrea?
1)“L’Italia era uno dei pochi paesi d’Europa dove ogni misura antisemita
era decisamente impopolare. Infatti, aggiunge, “l’assimilazione degli ebrei in
Italia era una realtà”. La condotta italiana “fu il prodotto
della generale spontanea umanità di un popolo di antica civiltà”. Un popolo che
dai tempi dei romani conviveva con gli ebrei, e continuò a convivere anche
all’ombra della Chiesa cattolica: il cattolicesimo trasmise agli italiani il
germe di una antica e diffusa diffidenza verso gli ebrei, considerati popolo
deicida; ma trasmise agli italiani anche maggiore temperanza e maggiore
comprensione umana verso gli ebrei, rispetto ai paesi a estrazione protestante,
più decisamente antisemiti.
2) “La grande maggioranza
degli ebrei italiani - scrive la Arendt - furono esentati dalle leggi
razziali”, concepite da Mussolini “cedendo alle pressioni tedesche”. Perché
gran parte degli ebrei erano iscritti al Partito fascista o erano stati
combattenti, nota la Arendt, e i pochi ebrei veramente antifascisti non erano
più in Italia. Persino il più razzista dei gerarchi fascisti, Farinacci, notava
la Arendt, “aveva un segretario ebreo”.
3) A guerra intrapresa “gli
italiani col pretesto di salvaguardare la propria sovranità si rifiutarono di
abbandonare questo settore della loro popolazione ebraica; li internarono
invece in campi, lasciandoli vivere tranquillamente finché i tedeschi non
invasero il paese”. E quando i tedeschi arrivarono a Roma per rastrellare gli
ottomila ebrei presenti “non potevano fare affidamento sulla polizia italiana.
Gli ebrei furono avvertiti in tempo, spesso da vecchi fascisti, e settemila
riuscirono a fuggire.. Alcuni, va aggiunto, anche con l’aiuto del Vaticano. I
nazisti, aggiunge la Arendt, “sapevano bene che il loro movimento aveva più
cose in comune con il comunismo di tipo staliniano che col fascismo italiano e
Mussolini, dal canto suo, non aveva né molta fiducia nella Germania né molta
ammirazione per Hitler”.
4) L’Italia fascista adottò nei confronti dei nazisti antisemiti un
sistematico “boicottaggio. Nota la Arendt: “Il sabotaggio italiano della
soluzione finale aveva assunto proporzioni serie soprattutto perché Mussolini
esercitava una certa influenza su altri governi fascisti, quello di Pétain in
Francia, quello di Horty in Ungheria, quello di Antonescu in Romania, quello di
Franco in Spagna.
Finché l’Italia seguitava a non massacrare i suoi ebrei, anche gli altri
satelliti della Germania potevano cercare di fare altrettanto... Il sabotaggio
era tanto più irritante in quanto era attuato pubblicamente, in maniera quasi
beffarda”. Insomma il caso di Giorgio Perlasca, il fascista che salvò la vita a
8 mila ebrei, non era isolato e autarchico.
5) Quando il fascismo, allo stremo della sua sovranità politica, cedette
alle pressioni tedesche, creò un commissariato per gli affari ebraici, che
arrestò 27 mila ebrei, ma in gran parte consentì loro di salvarsi dai nazisti,
di rifugiarsi, come scrive la studiosa ebrea. Nota la Arendt, eccedendo perfino
in indulgenza, che “un migliaio di ebrei delle classi più povere vivevano ora
nei migliori alberghi dell’Isère e della Savoia”. Risultato fu che “gli ebrei
che scomparvero non furono nemmeno il dieci per cento di tutti quelli che
vivevano allora in Italia”. Le citazioni sono tratte dal libro La banalità
del bene (Feltrinelli). È permesso aggiungere che morirono più italiani
nelle foibe comuniste che ebrei italiani nei campi di sterminio?
6) Passiamo alle origini culturali dell’antisemitismo, che la Arendt
riconduce in larga parte a sinistra. Nelle Origini del totalitarismo (Comunità)
la Arendt ricorda che fino all’affare Dreyfuss in Francia, “le sinistre avevano
mostrato chiaramente la loro antipatia per gli ebrei. Esse avevano
semplicemente seguito la tradizione dell’illuminismo del XVIII, considerando
l’atteggiamento antiebraico come una parte integrante dell’anticlericalismo".
In Germania. ricorda la Arendt, i primi partiti antisemiti furono i liberali di
sinistra, guidati da Schonerer e i socialcristiani di Lueger. Concludo. Non si
tratta di assolvere regimi, duci e gerarchi, non si tratta di cancellare o
relativizzare le infami leggi razziali che brutte erano e brutte restano. Anzi,
non si tratta nemmeno, a questo punto, a salvare il fascismo dal nazismo
e dal razzismo; si tratta più onestamente di salvare la pietà e la dignità di
un popolo, quello italiano, che in quella tragedia fu meno infame di altri, si
comportò con maggiore umanità. Magari in altri casi no. se penso alla guerra
civile, alla banda Koch o al triangolo rosso, alle stragi d’innocenti odi vaghi
sospettati; ma nel Giorno della memoria della shoah ricordiamoci, per
amor patrio e per verità di storia, che gli italiani furono meno bestie di
altri, slavi o tedeschi, alleati o kameraden. Smettiamola di diffamarci. Infine
piccola, elementare e duplice obiezione:
ma è proprio giusto che si ricordi nel Giorno della memoria solo” la shoah e non altri tremendi orrori del Novecento? Seconda obiezione: ma è proprio giusto che si debba utilizzare la parola “memoria” solo per indicare l’orrore del passato, e non anche ciò che merita di essere ricordato nel segno della civiltà e della tradizione? La memoria non è solo un lutto che grida dolore e vendetta; a volte è un patrimonio dell’anima è della mente che sussurra amore e fedeltà.