Anche l’Italia si mette gli “Anelli”

GIANFRANCO DE TURRIS

 

Larrivo in Italia, e il suo enorme successo (a parte alcune riserve dei “puristi”), del primo dei tre film di Peter Jackson sul Signore degli anelli ha riaperto per la nostra cultura un caso” mai completamente risolto, quello del professor Tolkien e della sua opera. Perché è un dato di fatto non smentibile che la cultura italiana, quella ufficiale dei giornali e delle riviste, dei salotti letterari e dei premi, non ha mai amato Mondo secondario creato dalla fantasia del filologo oxoniense. Non l’ha mai amata perché rappresenta in maniera narrativamente accattivante una società che si basa su principi e su valori che l’italica intellighenzia non ha mai apprezzato e in sostanza, sotto sotto, non apprezza neppure oggi, nonostante, trent’anni dopo, sembri avere cambiato opinione su Tolkien e il suo capolavoro. I motivi sono intrinseci ed estrinseci, sostanziali e formali.

 

UNA VISIONE DEL SACRO

Tanto per cominciare quella di Tolkien è un’opera “religiosa, ma in un senso tutto particolare, assai diversa dagli scrittori “cattolici” per eccellenza, soprattutto francesi, o anche da un Chesterton: la società descritta da Tolkien è innanzitutto inserita in un contesto del tutto immaginario e avulso dalla realtà, e ha un fondo sacrale in cui convivono praticamente sullo stesso piano gli dei (per lo meno i loro messaggeri o incarnazioni), vari tipi di esseri in diverse gradazioni di valore spirituale (elfi, uomini, hobbit, nani), la natura stessa che ha anche un aspetto vivente.

Questi esseri fondano la loro esistenza su un insieme di tradizioni che rispettano sino in fondo; si assumono dei compiti che cercano di assolvere sino al limite del sacrificio personale, senza aspettarsi una ricompensa qualsiasi, ma solo perché sentono il dovere di farlo; compiono un viaggio (che è una quest alla rovescia, non cercano un oggetto, ma lo devono distruggere), alla conclusione del quale saranno in tutto o in parte trasformati: Gandalf che da Grigio diviene Bianco, Aragorn che torna a essere re, Frodo che sarà così diverso dall’inizio da dovere alla fine partire per una nuova meta spirituale, a dimostrazione che il loro viaggio è stato un vero e proprio iter iniziatico.

 

SAURON, O DELLA MODERNITA'

Questi esseri formano una Compagnia che si basa appunto su valori comuni e ha un comune scopo, indipendentemente dalla loro diversità esteriore. Di fronte a essa si erge un nemico, Sauron Signore Oscuro di Mordor, che intende fare un uso distorto del potere degli Anelli: esso rappresenta simbolicamente niente altro che la modernità, l’insieme della dittatura materialista dell’est e del peggiore industrialismo senz’anima dell’ovest, come ben dimostra (se non bastassero le lettere dello scrittore) la descrizione della Contea nelle mani di Saruman nella parte finale dell’opera.

Ovviamente, una simile weltanschaung, una simile “visione del mondo” non poteva avere il minimo riscontro in una cultura dominante, come quella italiana degli anni Settanta (periodo in cui Il signore degli anelli fu tradotto da noi) di tipo marxista o cattocomunista, e quindi sostanzialmente materialista, positivista: niente di progressivo, niente di “impegnato”, niente di sociale nel Signore degli anelli, piuttosto qualcosa di irrazionale da respingere quasi automaticamente.

 

VADE RETRO TRADIZIONE

Inoltre, lo sfondo era simil-medievale, altro periodo storico aborrito per i valori su cui si fondava. E, come non bastasse, lo stile, il linguaggio, la struttura della trama si collocavano in un canone tradizionale, classico, tanto classico da fare rivivere in pieno Novecento e, per l’Italia di allora, in pieno clima contestatario e avanguardistico, un genere che si riteneva morto e sepolto da secoli e secoli: la saga mitica, l’epopea eroica, il romanzo cavalleresco, tutti condannati da tempo agli inferi letterari dai critici più engagé per il loro totale irrazionalismo, per essere avulsi dalla realtà; per quel dannato insistere sulla figura dell’eroe... Successe al Signore degli anelli un po’ quello che era capitato un decennio prima al Gattopardo, stroncato dai critici, e in specie dal Gruppo 63, per lo stile e l’ideologia, ma accolto con entusiasmo dal pubblico.

La diffusione popolare del Signore degli anelli a partire dalla edizione tascabile americana del 1965 (nei precedenti dieci anni aveva venduto poche migliaia di copie rilegate) diede nuovo impulso a un genere che già si chiamava heroic fantasy (termine coniato nel 1963 dal L.S. de Camp) e lo elevò a una maggiore dignità letteraria, creando quella esplosione di romanzi - ma anche di canzoni, illustrazioni, fumetti, giochi di ruolo - fantastici che hanno riscattato l’accusa di “fuga dalla realtà” così comune fra i recensori con la puzza sotto il naso ma tanto “sociali”. Ebbero successo anche perché raccontavano storie in maniera piacevole e accattivante e la gente, in tutto il mondo, era, ed è, affamata di storie e non di stanche elucubrazioni narcisistiche. Tolkien rivalutò il genere fantastico o fantasy dopo anni di condanna - da parte dei seguaci di De Sanctis e Croce da un lato, Gramsci e Lukàcs dall’altro -della “letteratura di genere”.

Conseguenza negativa di questo atteggiamento ostile della nostra cultura, sia pubblicistica sia accademica, è stata o quasi totale assenza di contributi critici di un certo spessore su Tolkien e a sua opera, a differenza di quanto avvenuto all’estero, anche perché i pochi che si sono avventurati su questa strada hanno imboccato percorsi che lo stesso Tolkien sconsigliava e rifiutava, giungendo a esiti del tutto insoddisfacenti e a conclusioni errate: si vedano i libri di Palusci e Poggi, i saggi dì Rak e Portelli.

Come meravigliarsi dunque che, dopo quattro o cinque anni di rifiuti e accuse da parte della cultura italiana (il pubblico è una cosa diversa, dato che ha sempre comprato il libro regolarmente per trent’anni) nei confronti dell’opera tolkieniana con articoli su L’Espresso e Tuttolibri, Vie nuove e Tempo illustrato, L’Europeo ed Epoca, di essa si sia accorto il mondo, giovanile e no, della destra? Fu da un lato quasi automatico, per la consonanza delle due “visioni del mondo”; dall’altro fu una reazione al rifiuti, della sinistra: Tolkien, in pratica, venne per così dire “adottato”. Nessuna speculazione, nessun travisamento, nessuna strumentalizzazione, ma qualcosa di logico e inevitabile. I famosi Campi Hobbit, che vengono ancora oggi citati con orrorre definiti “paramilitari” si svolsero addirittura nel 1977, 1976 e 1980, quando la campagna anti Tolkien della cultura progressista durava da un decennio!

Checché oggi strillino i giornalisti pentiti dell’Unità e del manifesto. I quali, per altro, non sanno andare oltre una visione “politica” dell’opera di Tolkien e, senza rendersi conto di quanto cadano nel ridicolo, mentre ieri accusavano il nostro filologo di essere “conservatore”, “reazionario” ed eziandio “fascista”, oggi per farlo accettare a se stessi e ai propri lettori del 2002 si vedono costretti a scrivere che fu un “nemico dell’apartheid” e un “antifascista”. Ma, purtroppo per loro, Tolkien non ha fatto la resistenza nell’Oltrepò pavese. La dimostrazione palmare che Tolkien è di tutti, eccetto che dei fessi.

 

Nuovi saggi sul mite professore

Pochi lo sanno ma un contributo determinate ai dialoghi della versione italiana del film ll Signore degli anelli di Peter Jackson è venuto dalla Società tolkeniana italiana (che ha sede a Basaldella di Campofomido, Udine; su Internet www.tolkien.it). Fondata nel 1992, centenario della nascita del professore di Oxford, ha ottenuto il riconoscimento della Tolkien society inglese. Promuove manifestazioni, come Hobbiton, il premio Silmaril per scrittori e iIlustratori e pubblica le riviste Terra di Mezzo e Minas Tirith. Tra i saggi appena usciti, invece, da segnalare la “Iettura cristiana” dell’opera totkieniana di Paolo Gulisano Tolkien, il mito e la grazia (L’Ancora, Milano); Le radici non muoiono di Stefano Giuliano (Ripostes, Salerno) che approfondisce l’aspetto mitico e religioso dello studioso, i testi su cui si è basato, le intenzioni che aveva; e L’anello e la spada di Allessandro Bottero (Mare nero, Roma), una vera e propria -“guida” alla fortuna e sfortuna critica, simbolismi ed eredità letterarie di Tolkien.