Il Giornale, 20-01-02

 

IL PROBLEMA FRANCESE

di ANTONIO SOCCI

Il premier francese Jospìn di recente si è azzuffato con un presidente emerito della Repubblica italiana, Francesco Cossiga. Un altro politico francese di quell’area, Jack Lang, promise che non avrebbe mai stretto la mano di George Bush. Il presidente dell’Assemblea nazionale Forni si è rifiutato di incontrare il nostro presidente del Senato Pera per ostilità verso Berlusconi. Ora uno sconosciuto ministro della Cultura da Parigi fa sapere che non vuole stringere la mano al premier italiano al prossimo Salone del Libro.

La classe dirigente francese non sarà fatta di giganti del pensiero, ma quanto a cafonaggine ne ha da vendere. il problema però non è solo nello stile o - come dice IL Foglio - nella stupidità di certe sortite. Sta invece nelle scelte politiche di Parigi che a ben vedere potrebbero alla fine quasi far scoppiare un “caso Francia” fra i Paesi occidentali. Pochi esempi.

Nei giorni scorsi la Francia è riuscita a bloccare l’inserimento nella lista europea delle organizzazioni terroristiche del gruppo libanese degli Hezbollah, che seguitano a promettere la distruzione di tutti gli ebrei”, come ha scritto Fiamma Nirenstein. Il fatto va ad aggiungersi a una lunga lista di altre scelte filoislamiche e anti-israeliane che appaiono anche più incredibili in tempi di guerra al terrorismo. Oltretutto in Francia vi è un pessimo clima sociale nei confronti degli ebrei: solo nell’area parigina. Nell’arco del 2001, sono stati contati 300 episodi di violenza antisemita (vi è stato persino un passo formale del governo di Gerusalemme presso l’ambasciatore francese). Abraham Cooper del “Simon Wiesenthal Center” ha rilevato con grande preoccupazione in Europa un risorgente antisemitisrno diventato politically correct da quando si camuffa dietro la solidarietà ai palestinesi e l’ostilità all’odiato Sharon.

In questo pesante clima è capitato il noto incidente del diplomatico francese, l’ambasciatore a Londra, a cui i giornali internazionali hanno attribuito queste parole, riferite proprio a Israele e pronunciate durante un pranzo:

“Quel piccolo Paese di merda non ci porterà tutti alla terza guerra mondiale”. Fulgido esempio di quel rispetto per gli altri popoli che i francesi vorrebbero insegnare a tutti.

Un ebreo ha scritto all’Ambasciatore succitato dicendo che “Israele è sicuramente un piccolo Paese”, ma per quanto riguarda la merda, guardate meglio in casa vostra. Ce n’è a sufficienza”. Non risulta in ogni caso che all’incidente siano seguite scuse o dimissioni. L’interessato ha formalisticamente ribattuto di non aver usato quella parola.

Della politica filoislamica di Parigi - e in questo caso della sinistra italiana - è doveroso citare un altro esempio, rimasto finora sconosciuto. Il fronte islamico sudanese - già noto per aver dato ospitalità a Osama Bin Laden - ha perpetrato nel Sud del Paese, cristiano e animista, uno dei più orrendi massacri degli ultimi decenni. Secondo il New York Times vi sono state più di un milione di vittime.

In quel Paese la cui Corte suprema ha dichiarato costituzionale crocifiggere chi dall’Islam si converte al cristianesimo, risulta vi siano almeno 200mila persone ridotte in schiavitù in seguito alle razzie che le milizie legate al regime compiono nei villaggi cristiani e animisti del Sud. Una benemerita organizzazione, La Christian Solidarity lnternational da anni lavora per liberare quei poveretti, soprattutto giovani ragazze sottoposte sistematicamente a stupri, infibulazioni, atrocità che arrivano fino all’uccisione e a tentativi di conversione forzata all’islam.

La Csi, nel corso degli anni, con vari sistemi è riuscita a liberare circa 70miIa schiavi. Ma “in risposta a quelle attività antischiaviste il governo del Sudan ha ottenuto, il 26 aprile 1999, il ritiro della concessione alla Csi dello status di membro consultivo presso l’Onu”. Lo si legge nel Rapporto 2000 sulla libertà religiosa nel mondo redatto dall’organizzazione Aiuto alla Chiesa che soffre la quale c’informa anche - e questo è il punto - che il Sudan riuscì a far votare quel provvedimento ottenendo fra l’altro “l’astensione della Francia e dell’ltalia (allora governata dal centrosinistra). Si vorrebbe sapere da entrambi cosa rispondono a una così grave accusa.

Va ricordato pure che il presidente dell’Assemblea nazionale Forni, due mesi fa, motivò il rifiuto a incontrare le autorità italiane in quanto il nostro sarebbe un Paese dove la tolleranza verso Le minoranze religiose sarebbe in pericolo. Forni citò invece la Francia come esempio di libertà religiosa. Ma si dà il caso che il Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo 2001 - redatto sempre dall’Aiuto alla Chiesa che soffre” - non muova critiche all’Italia, mentre colloca la Francia fra i Paesi “in grigio” ossia quelli che hanno “legislazioni lesive del diritto alla libertà religiosa delle minoranze e persecuzione di tipo amministrativo nei confronti di associazioni non riconosciute”.

Il riferimento va in particolare alla legge “antisette” votata il 30 maggio 2001 dal Parlamento presieduto da Forni e giudicata pericolosa non solo dalle sette o da molti studiosi, ma anche dal presidente della Conferenza episcopale cattolica, dai protestanti e dal Dipartimento di Stato americano. Quella legge ha avuto il plauso della sola Cina.

Lo studioso Massimo Introvigne ha rilevato che, guarda caso, “la lista del 19% di 172 “sette pericolose” attive in Francia non comprende neppure uno dei numerosi gruppi dell’islam radicale presenti in quel Paese, presumibilmente non meno pericolosi e violenti delle Chiese pentecostali, dei gruppi buddisti e altre realtà incluse nella lista.

Ora da Parigi è arrivata l’ennesima lezioncina impartita stavolta dalla “ministra” della Cultura che vuole evitare di incontrare Berlusconi al Salone del libro per Le posizioni che egli - a suo dire - avrebbe “in campi come la creazione o la diversità culturale”.

Se la ‘ministra” in questione avesse una qualche familiarità con i libri - ma ne dubito - consiglieremmo a Berlusconi di regalarle un volume di Paul Wescher, Kunstraub unter Napoleon, tradotto in italiano da Einaudi nel 1988 con il titolo “I furti d’arte. Napoleone e la nascita del Louvre”.

La sinistra francese potrebbe così conoscere le razzie selvagge che le truppe napoleoniche, in nome della “fraternità, perpetrarono in Italia. Un ladrocinio che - assieme alla distruzione di inestimabili tesori - produsse “il più grande spostamento di opere d’arte della storia come salve Wescher il quale racconta nei particolari “il sistematico saccheggio di Roma”, oltre a quello di Torino, Napoli e Firenze. Molti di questi capolavori italiani stanno oggi al Louvre. Perché il ministro francese che dà lezione di rispetto dell’altrui cultura, non decide di restituire all’Italia i capolavori saccheggiati? O perché - quantomeno - non porge finalmente - dopo 200 anni - le scuse ufficiali della Francia al nostro Paese violato e depredato?

Del resto nei musei francesi stanno anche tantissime opere razziate agli ebrei durante le persecuzioni antisemite. Prima di dar lezioni di civiltà a Israele, a Parigi dovrebbero ricordare i 70mila ebrei (2mila dei quali bambini) deportati 50 anni fa dalla Francia. Facendo un esame di coscienza collettivo.