² La "solidarietà nazionale"

 

Dopo  le elezioni amministrative del giugno 1975 la politica interna entrò in una fase nuova. Nel luglio Fanfani abbandonò la segreteria della DC, sostituito da B. Zaccagnini, sostenitore del “confronto” con il PCI. In settembre il presidente del consiglio Moro affrontò il tema del coinvolgimento del PCI nella maggioranza: fu l'avvio della politica di “solidarietà nazionale”. Dal voto di giugno inoltre scaturirono nuove giunte di sinistra: alle tradizionali in Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, si aggiunsero quelle in Piemonte, Liguria, Lazio e Campania. Due furono i temi, oltre a quelli di politica estera, che caratterizzarono il dibattito politico di fine anno: la “lottizzazione” della RAI e la ricerca di una nuova formula di governo. Riguardo alla RAI tutte le reti e le testate furono assegnate a DC, PSI, PSDI e PRI, escludendo ogni voce d'opposizione. Sul secondo tema alla fine di novembre i socialisti, temendo di essere scavalcati dall'apertura del governo al PCI, proposero un governo “d'emergenza”, che coinvolgesse tutte le forze dell'arco costituzionale. All'inizio del 1976 la direzione del PSI annunciò il disimpegno socialista dalla maggioranza e chiese le dimissioni del governo. Sciolto il suo quarto governo (12 gennaio), Moro ebbe l'incarico di formare il successivo. Egli tentò varie formule, ma infine riuscì a formare solo un debole monocolore DC, che si reggeva sulle astensioni di PSI e PSDI. Invano La Malfa aveva cercato di pervenire a un'intesa fra i partiti costituzionali senza pregiudiziali verso il PCI e fondata rigorosamente su un realistico programma economico. A far precipitare la situazione fu il problema dell'aborto. A fine marzo vennero abrogati gli articoli del codice che consideravano l'aborto reato, ma il varo della nuova legge contrappose democristiani e laici. Mentre il quadro politico andava deteriorandosi, si costituì in parlamento una maggioranza DC-MSI, che permise ai democristiani di presentare un testo di legge restrittivo sull'aborto. Alla fine di aprile il governo si dimise e si andò verso le elezioni anticipate in un clima surriscaldato per la recrudescenza degli attentati terroristici, mentre il paese veniva colpito da una grave calamità: il terremoto che sconvolgeva il Friuli provocando oltre mille morti e centinaia di miliardi di danni.

Le elezioni anticipate del 20 giugno sancirono la grande avanzata del PCI (34,4%), che tuttavia non riusciva ad attuare il sorpasso della DC, il declino dei partiti intermedi e l'accentuazione della tendenza alla bipolarizzazione. In luglio una fuga di diossina dallo stabilimento chimico Icmesa di Seveso fece apparire l'Italia agli occhi dell'opinione pubblica quale sede di lavorazioni pericolose, rifiutate nei paesi economicamente più avanzati.

Sul piano politico si scontravano nel frattempo diverse ipotesi: governo d'emergenza con esclusione del solo MSI (PCI); solidarietà democratica (DC); maggioranza senza pregiudiziali a sinistra (PSI). Autore del compromesso fu Andreotti, che varò un monocolore DC (terzo governo Andreotti), detto della “non sfiducia” perché si reggeva unicamente sulle astensioni, mancando di una maggioranza organica. Dopo l'elezione di P. Ingrao alla presidenza della camera e di Fanfani a quella del senato, il governo ottenne la fiducia il 4 agosto. I socialisti, alla cui segreteria B. Craxi sostituì in luglio De Martino, posero immediatamente l'accento sulla propria autonomia, cercando una collocazione non subalterna all'interno della sinistra. Il PCI godeva dei successi conseguiti (avanzata elettorale, presidenza della camera e di alcune commissioni parlamentari, controllo di regioni e di capoluoghi importanti), ma risentì, nei confronti della base, della scomoda posizione “in mezzo al guado” (né al governo né all'opposizione). Alle attese messianiche del voto comunista del 20 giugno la direzione del partito rispondeva con la richiesta di sacrifici (piano d'austerità). Mentre si acutizzava il fenomeno del terrorismo sia di sinistra che di destra e la crisi economica si aggravava, la DC rifiutava la proposta del PCI di superare la “non sfiducia”. Nel gennaio 1977 il governo affrontò il problema del costo del lavoro senza riuscire a pervenire a una decisione per i contrasti tra i partiti sulla “scala mobile”. Il PRI e il PSDI allora dichiararono il loro disimpegno, mentre il PSI tentò di concordare un programma comune attraverso contatti bilaterali per dar vita a una “maggioranza di programma”. I sindacati avvertirono uno scollamento con il paese e la perdita di prestigio quando, il 17 febbraio, il segretario generale della CGIL, L. Lama, venne contestato all'università di Roma, occupata dagli autonomi e dai collettivi universitari, che protestavano contro i provvedimenti del ministro della pubblica istruzione Malfatti. Scontri tra polizia e studenti si registrarono anche a Bologna. A marzo l'opinione pubblica assisteva sfiduciata al nuovo atto dello scandalo Lockheed: la commissione inquirente assolveva Rumor e rinviava al giudizio del parlamento gli ex ministri Gui (DC) e Tanassi (PSDI). Per Gui e Tanassi il responso fu il rinvio davanti alla corte costituzionale, ma a difesa di Gui in quella occasione si levò la voce di Moro, che affermò che la DC non si lasciava sottoporre a un processo politico. Poco dopo, di fronte alla richiesta di un prestito di oltre 500 milioni di dollari, il Fondo monetario internazionale pose dure condizioni di politica economica. In aprile le elezioni amministrative parziali fecero registrare un calo del PCI e in maggio la polizia attaccò una manifestazione dei radicali in occasione dell'anniversario del referendum sul divorzio. A ferragosto, in seguito all'evasione di H. Kappler, il responsabile dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, il ministro della difesa V. Lattanzio venne trasferito ai trasporti, scambiando dicastero con Ruffini, mentre lo stesso Andreotti rinviava l'incontro con il cancelliere tedesco Schmidt. Dopo l'estate la situazione economica apparve migliorata, con il conseguente rallentamento dell'inflazione. Il dibattito politico si accentrò sulla “questione comunista” e in novembre La Malfa ripropose la candidatura del PCI al governo; tuttavia i tempi non vennero giudicati maturi e per evitare il risorgere di contrapposizioni vennero rinviate alla primavera le elezioni amministrative parziali. L'espediente però offrì scarso respiro; riprese la polemica tra i partiti sulla formula di governo. Ad appesantire il quadro intervenne il dipartimento di Stato americano che, nel gennaio 1978, si dichiarò contrario alla presenza del PCI nel governo. Pochi giorni dopo (16 gennaio) si aprì la crisi di governo e Andreotti avviò le trattative per formare il nuovo governo, mentre la DC poneva il veto su una nuova maggioranza estesa al PCI. I comunisti replicarono con la proposta di un governo fra sinistre e laici con l'esclusione della DC, che avrebbe dovuto appoggiare il governo dall'esterno. Una terza proposta fu quella di un governo formato dai partiti laici e dal PSI con il sostegno esterno di DC e PCI. Il 14 febbraio, con la “svolta dell'EUR”, i sindacati si dichiararono d'accordo ad accettare, all'interno di un programma economico riformatore, la politica dei sacrifici. Contemporaneamente il PCI accantonò la richiesta di entrare al governo e Moro persuase la DC ad accettare l'idea di un accordo programmatico esteso al PCI. Con il solo dissenso del PLI, che tornò all'opposizione, l'8 marzo l'intesa venne raggiunta. Poco dopo Andreotti presentò il suo quarto governo, un monocolore DC nel quale non erano presenti i tecnici promessi. Non ci fu però spazio per polemiche poiché il 16 marzo le Brigate rosse rapirono Moro. Dopo un primo momento caratterizzato dalla solidarietà, i partiti si divisero tra i sostenitori dell'intransigenza e quelli favorevoli alla trattativa. Il 9 maggio il cadavere del presidente della DC venne fatto trovare dalle Brigate rosse in via Caetani, a mezza strada tra le sedi di DC e PCI. Il giorno dopo il ministro dell'interno Cossiga rassegnò le dimissioni. Le elezioni amministrative del 14-15 maggio fecero registrare un successo della DC e del PSI, mentre il PCI subì una dura sconfitta, da Berlinguer attribuita all'emotività. Subito dopo il parlamento varò le leggi sull'aborto (con voto contrario della DC), sui manicomi e sul regolamento dell'Inquirente, evitando i referendum già programmati. Perciò l'11 giugno ebbero luogo soltanto i referendum sulla legge Reale e sul finanziamento pubblico dei partiti. Le due leggi vennero confermate dal voto referendario, ma il 43,7% dei votanti si dichiarò contro la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, una percentuale di gran lunga superiore alla consistenza delle forze promotrici del referendum stesso. Sempre a giugno si ebbero le dimissioni del presidente della repubblica Leone, travolto dalle accuse relative a non chiare operazioni finanziarie. A succedergli venne eletto S. Pertini, presentato come candidato di tutto l'“arco costituzionale”. Il governo, nel quale Rognoni venne chiamato a prendere il posto di Cossiga, approvò in luglio la legge sull'“equo canone”, che avrebbe dovuto, nelle intenzioni, risolvere il problema della casa. Nella DC Piccoli venne chiamato a succedere a Moro nella carica di presidente, mentre Forlani attaccò la linea politica del partito in vista del congresso nazionale. La solidarietà nazionale era ormai in crisi, mentre irrisolti restavano i problemi che l'avevano determinata: la crisi economica e il terrorismo. In settembre Berlinguer attaccò al festival nazionale dell'Unità la DC e prospettò una terza via al socialismo, diversa da quella sovietica e da quella socialdemocratica. Il discorso del segretario comunista venne criticato da più parti, anche se entusiasmò la base. Il 20 novembre il voto per il rinnovo del consiglio regionale del Trentino-Alto Adige confermò la sfiducia nei partiti nazionali e l'ascesa delle liste locali. Il 5 dicembre il governo dibatté l'ingresso dell'Italia nel Sistema monetario europeo e decise in maniera affermativa, ma il dibattito in parlamento evidenziò le divisioni esistenti tra i partiti della “solidarietà nazionale”. Nel gennaio 1979 il PCI, in seguito ai contrasti sulla politica economica, decise di candidarsi per l'ingresso nel governo. Il 29 gennaio Andreotti si dimise, mentre lo stesso giorno un commando di Prima linea uccideva a Milano il giudice Alessandrini. Pertini riaffidò l'incarico di formare il governo ad Andreotti, che tuttavia non riuscì a trovare alcuna formula, nuova o vecchia, su cui creare una maggioranza. Dopo la rinuncia di Andreotti, Pertini affidò l'incarico a La Malfa. Per la prima volta nella storia della repubblica l'incarico di formare il governo era affidato a un non democristiano. Intanto, il 23 febbraio, veniva emessa la sentenza di Catanzaro sulla strage di piazza Fontana: i giudici riconoscevano la matrice nera della strage e condannavano all'ergastolo i principali responsabili, ma restavano avvolte nel mistero le complicità politiche. Il 1º marzo, poi, la corte costituzionale emise la sentenza sul caso Lockheed: il democristiano Gui venne assolto, mentre il socialdemocratico Tanassi venne condannato a due anni di carcere e fu quindi il primo ex ministro a finire in carcere. L'Italia era sconvolta dagli scandali, che colpirono anche la direzione della Banca d'Italia (23 marzo), mentre Pertini, dopo la rinuncia di La Malfa, cercava invano di trovare una soluzione alla crisi di governo, affidando nuovamente ad Andreotti il compito. Il 20 marzo nasceva quindi un nuovo governo Andreotti (il quinto), con il compito di coprire il vuoto fino alle elezioni anticipate. In vista di queste elezioni il PCI, nel suo 14º congresso, ruppe definitivamente con l'ambiguità del passato ponendosi come obiettivo o l'ingresso nel governo o il ritorno all'opposizione. La campagna elettorale fu però turbata dal terrorismo sia con il “caso 7 aprile” (arresto in massa dei leaders e dei quadri dell'Autonomia operaia da parte dei giudici padovani) sia con gli attentati da parte dei diversi gruppi, specialmente delle Brigate rosse, che attaccarono la sede romana della DC. Le elezioni politiche del 3-4 giugno videro la grave sconfitta del PCI e l'avanzata del partito socialista e dei partiti laici, mentre la DC manteneva le sue posizioni. A caratterizzare il risultato elettorale fu però un nuovo fenomeno: l'astensionismo, soprattutto giovanile, destinato a crescere progressivamente negli anni Ottanta a dimostrazione della disaffezione per tutto ciò che riguarda la politica. Il 10 giugno si ritornò alle urne per le elezioni dei rappresentanti al parlamento europeo. In queste, comunque, spiccò la partecipazione italiana al voto (85,9%) di fronte all'assenteismo di altri paesi della Comunità. L'intesa tra i partiti, dopo i due confronti elettorali, si limitò alla conferma di Fanfani alla presidenza del senato e all'elezione di N. Jotti alla presidenza della camera. Pertini affidò l'incarico di formare il governo ancora ad Andreotti, che fu costretto a rinunciare. Anche Craxi, cui Pertini affidò in seguito l'incarico, fu costretto a rinunciare per l'opposizione della DC e l'intransigenza del PCI, sempre legato alla posizione congressuale (o al governo o all'opposizione). Alla candidatura di Pandolfi fu il PSI a porre il veto e la scelta cadde infine su Cossiga, che, dopo una crisi di oltre sei mesi, formò un tripartito DC-PSDI-PLI, sul quale si astennero il PSI e il PRI. Nell'autunno il dibattito politico si accentrò sui temi della riforma costituzionale: repubblica presidenziale, riforma elettorale in senso maggioritario, meccanismo della sfiducia costruttiva. Questi temi periodicamente sono ricomparsi nel dibattito politico negli anni successivi senza però scalfire il precario equilibrio su cui si reggono i rapporti tra i partiti. Il governo, da parte sua, si trovò subito ad affrontare dei nodi difficili: l'accordo sulla trimestralizzazione della scala mobile degli statali e la vertenza per la smilitarizzazione dei controllori di volo. A fine anno due temi accentrarono l'interesse: gli euromissili e lo scandalo ENI. La NATO, all'interno del progetto di equilibrio nucleare in Europa, propose l'installazione in Italia di 112 missili. Il governo si dichiarò d'accordo, ma chiese che fosse avviata una trattativa sul disarmo in Europa con l'URSS prima che il piano diventasse esecutivo. Alla fine la discussione si concluse con il voto di adesione del parlamento italiano al progetto NATO. Lo scandalo ENI riguardava il rientro in Italia, sotto forma di tangenti a partiti e uomini politici, di parte della provvigione riconosciuta dall'ENI a una società di mediazione internazionale per i buoni uffici da questa prestati nella firma di un contratto di fornitura petrolifera dell'Arabia Saudita all'Italia. Lo scandalo portò all'allontanamento del presidente dell'ente petrolifero di Stato, Mazzanti, legato al leader della sinistra socialista Signorile. L'avvenimento apparve a molti una resa dei conti tra opposti schieramenti nel PSI ed ebbe come conseguenza la sospensione della fornitura di greggio da parte dell'Arabia Saudita all'Italia.