v Le guerre di predominio e la preponderanza
spagnola
² Dalla discesa di Carlo VIII all'avvento di
Carlo V
L'equilibrio tra gli Stati italiani non resistette
all'attacco di Carlo VIII di Francia, col quale si iniziarono le guerre per il
predominio sulla penisola durate dal 1494 al 1559: protagonisti principali la
Francia, la Spagna e l'Impero, fiancheggiati od osteggiati dall'uno o
dall'altro degli Stati italiani; conclusione, il predominio della Spagna,
mantenuto sino ai primi anni del XVIII sec. La Francia possedeva a fine
Quattrocento in Italia la contea d'Asti (degli Orléans), e per vari titoli
teneva nella sua sfera d'influenza la Savoia e gran parte del Piemonte
occidentale; la dinastia regnante inoltre vantava diritti su Napoli (e sul
regno, puramente nominale, di Gerusalemme), pervenuti a essa da Renato, ultimo
degli Angiò, morto nel 1480. Mentre Luigi XI si era astenuto da ogni
rivendicazione, suo figlio Carlo VIII (1483-1498), contando sulle rivalità tra
gli Italiani, rispose a un appello di Ludovico Sforza, detto il Moro,
usurpatore del ducato di Milano contro il nipote Gian Galeazzo Maria, legittimo
duca, i cui diritti erano sostenuti da Ferdinando d'Aragona re di Napoli, avo
della duchessa sua sposa. La spedizione di Carlo VIII, diretta contro Napoli,
fu facile quanto inattesa: entrato in Italia dal Piemonte col favore dei Savoia
(autunno 1494), il re di Francia attraversò, debitamente aiutato, i territori
sforzeschi, ottenne larghe concessioni da Piero di Lorenzo de' Medici,
intimorito dalla forza dei Francesi, e si insediò a Pisa, che s'era ribellata
al dominio di Firenze, mentre gli giungevano per mare rinforzi, muniti di
eccellenti e nuovissime artiglierie, che avevano già sconfitto gli Aragonesi in
Liguria, ed entrò a Firenze. La città aveva intanto scacciato Piero de' Medici
e, sotto lo stimolo della predicazione di frate Girolamo Savonarola, istaurato
una repubblica democratica sotto i segni della libertà e dell'indipendenza, ma
non poté imporsi a Carlo VIII più del Medici scacciato, e gli lasciò, sia pure
con maggiore dignità, la via libera verso Siena e Roma. Neanche il papa,
Alessandro VI, gli fece opposizione, così che da Roma il re entrò senza
difficoltà nel regno di Napoli. Il re Alfonso II aveva ceduto la corona al
figlio Ferdinando II, ma l'esercito si sfaldò, e Carlo VIII ebbe in mano Capua
e infine Napoli senza colpo ferire (febbraio 1495); di là dichiarò che avrebbe
preso la via dell'Oriente. Ma fu un successo senza radici: si costituì subito
contro il re una lega tra Milano (cioè lo stesso Ludovico il Moro, rimasto
senza rivali nel ducato per la morte del nipote), Venezia e il papa, a cui
aderirono anche l'imperatore Massimiliano I d'Absburgo, Ferdinando il Cattolico
di Spagna ed Enrico VII d'Inghilterra (i primi due, nonostante i trattati
stipulati col re di Francia alla vigilia della spedizione). Carlo VIII risalì
la penisola per riguadagnare la Francia, che raggiunse nell'ottobre dopo
essersi aperta faticosamente la strada contro i collegati italiani (battaglia
di Fornovo sul Taro, 6 luglio 1495). Mentre era ancora in Italia, Ferdinando
II, con aiuti spagnoli e veneziani, batté la guarnigione francese e ricuperò
Napoli, e la liberazione del regno fu condotta a termine, dopo la sua morte,
dal successore Federico I (1496-1501). Fallita la spedizione francese, la
situazione politica dell'Italia tornò apparentemente quella della vigilia,
salvo la caduta dei Medici a Firenze. Ma, in realtà, la spedizione francese aveva
messo in evidenza l'estrema vulnerabilità della penisola e aperto la gara per
la sua conquista; una gara diplomatica e militare, che fu ripresa dalla Francia
stessa, non appena Luigi XII succedette a Carlo VIII, morto prematuramente nel
1498. Duca d'Orléans e nipote di Valentina Visconti, figlia di Gian Galeazzo,
il nuovo re rivendicò subito diritti sul ducato di Milano, in possesso di uno
Sforza, oltre che sul regno di Napoli; s'intese con papa Alessandro VI
favorendone il figlio Cesare Borgia con l'investitura del ducato di Valentinois
e promettendogli aiuti per la conquista della Romagna, e con Venezia,
offrendole un'ulteriore espansione nella Lombardia (Cremona e Ghiara d'Adda);
si assicurò della neutralità di Firenze e isolò così Milano e Napoli. Calato in
Italia, occupò facilmente Milano col sostegno dei Veneziani: Ludovico il Moro,
fuggito presso l'imperatore Massimiliano (1499), tentò una controffensiva, ma
fu sconfitto e condotto prigioniero in Francia (1500), dove morì. Nel corso di
questa guerra gli Svizzeri, assoldati da entrambe le parti, ma attivi soltanto
a favore del re di Francia, cominciarono a insediarsi nell'alta valle del
Ticino, che non tornò più all'Italia. Conquistato il Milanese, Luigi XII, dopo
un accordo segreto con Ferdinando il Cattolico, mosse con lui alla conquista
del regno di Napoli: il re Federico finì con l'arrendersi ai Francesi (1501) e
il suo regno fu spartito tra i due vincitori: approssimativamente, al re di
Francia toccarono la Campania e l'Abruzzo, al re di Spagna la Puglia, il
Molise, la Basilicata e la Calabria. Ma la spartizione diede luogo ben presto a
dissidi tra i condomini che vennero a conflitto (1502-1504): vinsero gli
Spagnoli, grazie al valore di Consalvo di Cordova e nonostante le prodezze di
Baiardo al Garigliano (1503); e in virtù di successivi accordi il regno di
Napoli, dopo quelli di Sardegna e di Sicilia, passò sotto la sovranità del re
di Spagna; al re di Francia restava il ducato di Milano. Si istaurava così un
nuovo equilibrio italiano, basato sul contrappeso delle influenze straniere.
Durante le campagne di Luigi XII, e col suo appoggio, ebbe luogo il più famoso
episodio di nepotismo: Cesare Borgia, figlio del papa, si costituì, a spese dei
territori pontifici in possesso di numerosi tiranni locali, un ducato di
Romagna, destinato, nelle intenzioni del papa e sue, a essere retaggio dei
Borgia. Fu una costruzione impetuosa e fortunata quanto effimera, condotta con
la più spregiudicata tecnica della frode e della violenza, che era tuttavia
ordinariamente impiegata dai signori del tempo. La conquista di Cesare Borgia
si attuò nel triennio 1500- 1503, e crollò con la morte di Alessandro VI, a cui
succedette l'avversario Giuliano Della Rovere (Giulio II, 1503-1513); fu
immortalata dal Machiavelli, che vide in essa un paradigma dell'arte della
conquista e della conservazione del potere.
Il vuoto lasciato dal disfacimento del ducato di Romagna
richiamò verso la regione i Veneziani, che si scontrarono con Giulio II,
risoluto a rivendicarla alla Chiesa. Il papa promosse allora una lega
antiveneziana (lega di Cambrai, 1508), alla quale aderirono Luigi XII, che, col
dominio di Milano, aveva ereditato la tradizionale politica di rivalità con
Venezia, l'imperatore Massimiliano I, interessato a restringere il confine
orientale d'Italia, Alfonso d'Este, duca di Ferrara, e Francesco II Gonzaga,
marchese di Mantova, paralizzati dalla potente vicina, Ferdinando il Cattolico
e Ladislao VII Iagellone III d'Ungheria, per rivalità adriatiche. Attaccata su
più fronti e minacciata anche da ribellioni interne, Venezia (doge Leonardo
Loredan) uscì salva dalla prova dopo aver sfiorato l'estrema rovina (battaglia
di Agnadello, 1509) ottenendo la pace col papa e con Ferdinando il Cattolico
mediante la cessione di quanto essi reclamavano, l'uno in Romagna, l'altro in
Puglia, e raccogliendo tutte le forze contro gli altri avversari, fino alla
loro rinuncia a continuare la guerra. Poco dopo Giulio II, in vista
dell'annessione di Ferrara alla Chiesa, si urtò con Luigi XII, e, come questi
portò il conflitto sul terreno religioso (tentando di creare uno scisma:
conciliabolo di Pisa, 1511), si pose a capo di una Lega santa contro la
Francia, a cui aderirono Venezia, Ferdinando il Cattolico, Enrico VIII
d'Inghilterra e la Confederazione Svizzera, rappresentata dal cardinale di
Sion, Matteo Schiner, mentre con Luigi XII si posero, oltre al duca di Ferrara,
quello di Mantova e la repubblica di Firenze. Il papa nobilitò la guerra come
santa (per l'unità della Chiesa) e nazionale (per la cacciata dall'Italia dei
Francesi, nuovi “barbari”); ma erano pur barbari, nel senso di stranieri, i
suoi alleati spagnoli, svizzeri e inglesi. Dopo un imponente successo iniziale
a Ravenna, dove il nipote del re di Francia, Gastone di Foix, sbaragliò un
agguerritissimo esercito ispano-pontificio, per la morte sul campo del valoroso
capitano le sorti della lotta si rovesciarono e i Francesi abbandonarono
disordinatamente il suolo italiano (aprile 1512). I collegati, riunitisi a
Mantova poco dopo, modificarono la carta politica d'Italia: ne trassero
vantaggi il papa, a cui toccarono, oltre a Modena e Reggio estensi, Bologna
tolta ai Bentivoglio, Parma e Piacenza, già annesse al Milanese; Venezia, che
ebbe confermato il suo confine occidentale; gli Svizzeri che, già insediati
nell'alto Ticino e a Bellinzona, occuparono Domodossola, Lugano e la
Valtellina; gli Sforza infine, poiché a Massimiliano, nipote di Ludovico il
Moro, fu restituito il ducato di Milano, e aggiunta Asti, sotto una sorta di
tutela, tuttavia, delle forze svizzere (1512). Firenze dovette abbandonare
l'ordinamento repubblicano e accettare la signoria del cardinale Giovanni de'
Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico. Fu allora che il Machiavelli dovette
troncare l'attività politica, a cui si era dedicato durante la repubblica,
andare al confino e dedicarsi soltanto agli studi.
Alla morte di Giulio II, e appena eletto a succedergli il
cardinale Giovanni de' Medici, cioè Leone X (1513-1521), Luigi XII, alleatosi
con Venezia, attaccò ancora una volta il Milanese; ma fu sconfitto dagli
Svizzeri (Novara, 1513), mentre la Francia stessa correva gravi rischi sotto
l'urto inglese e imperiale. Si riconciliò allora con la Chiesa, ma morì poco
dopo. Il suo successore, Francesco I (1515- 1547), temerariamente sognatore e
bellicoso, sconvolse subito ogni cosa, riprendendo la politica italiana con
rinnovate energie. Pacificato con gli Inglesi e alleato coi Veneziani, venne in
Italia e in una sola battaglia (Marignano, oggi Melegnano, 13-14 settembre
1515) batté gli Svizzeri e si impadronì del ducato di Milano, spossessandone
Massimiliano Sforza. Con questa vittoria all'attivo, trattò con Leone X a
Bologna (1516) la restituzione di Parma e Piacenza al ducato di Milano e un
concordato per la Francia molto vantaggioso alla corona; il papa ebbe in cambio
riconosciuti i diritti dei Medici, a danno dei Della Rovere, su Urbino; ma
questo negozio ebbe breve effetto. Successivamente, il re rinunciò, a favore di
Carlo d'Absburgo, appena divenuto re di Spagna, a ogni rivendicazione sul regno
di Napoli, mentre Venezia definì con l'imperatore Massimiliano le questioni
pendenti dal tempo della lega di Cambrai. L'apparente equilibrio nascondeva
tuttavia propositi fieramente aggressivi: tra Francia e Impero, proprio in
questo periodo, si disegnava una spartizione dell'Italia settentrionale e
centrale. Leone X, che non ne era all'oscuro, s'adoprava a rendere forti i suoi
Stati, non solo Roma, ma anche Firenze, senza peraltro trascurare la
magnificenza mecenatesca, a cui il suo nome rimase specialmente legato.
Nel 1519, alla morte di Massimiliano I
d'Absburgo, la corona imperiale, contesa tra Francesco I di Francia e Carlo
d'Absburgo, nipote di Massimiliano per parte di padre, fu conferita dagli elettori a quest'ultimo, che già aveva ereditato dai genitori i Paesi Bassi e dal nonno materno, Ferdinando II il Cattolico († 1516), i regni di Spagna (Aragona e Castiglia), di Napoli, di Sicilia e di Sardegna. Questo imponente, anche se incoerente, coacervo di domini accerchiava la Francia da ogni parte: così che Francesco I fu costretto dalla necessità a riprendere contro Carlo d'Absburgo (Carlo V, 1519-1556) quella politica imperialistica che Carlo VIII aveva intrapresa per magnificenza e Luigi XII continuata per prestigio. Ne derivò una guerra europea (la prima dell'età moderna), che durò poco meno di quarant'anni (1521-1559), per oltre la metà dei quali si combatté quasi esclusivamente in Italia.