² Il regno feudale e la restaurazione ottoniana
Dopo la deposizione di Carlo III, si aperse un lungo
periodo di anarchia feudale, che in Italia assunse proporzioni imponenti. La
corona regia fu accanitamente disputata da un manipolo di grandi signori, tutti
imparentati coi Carolingi: Berengario del Friuli, Guido di Spoleto e suo figlio
Lamberto, Arnolfo di Carinzia (re di Germania). Dopo un decennio di guerre,
durante il quale tutti vennero in possesso della corona italica, e Guido e
Arnolfo anche di quella imperiale, ormai affatto insignificante, Berengario I
ebbe la ventura di rimanere unico re. Ma proprio allora, alla fine del IX sec., la penisola fu investita dagli
Ungari, ultimi ma ferocissimi invasori, affini agli Unni, che per mezzo secolo
circa la devastarono, in tragica concorrenza con gli Arabi insediati nel
Mezzogiorno e da poco anche nel Nizzardo. Queste sciagure, contro cui poco
poteva, scardinarono la fortuna del re, che riuscì prima ad aver ragione di
Ludovico III il Cieco, re di Provenza (o Bassa Borgogna) [divenuto per un breve
giro di anni re ed imperatore (901-905)], a ricuperare il regno e a ottenere
anche l'Impero (915); ma poi fu sopraffatto da Rodolfo II di Borgogna, che con
la complicità di alcuni grandi signori italiani lo spodestò (924).
Ma anche il re borgognone ebbe vita breve: un'intesa
familiare tra Ugo di Provenza e i marchesi d'Ivrea e di Toscana, imparentati
tra loro, lo costrinse a lasciare il regno, e Ugo ne divenne titolare
(926-946). La sua ambizione lo spinse ben presto verso Roma, dove, dalla fine
dell'Impero carolingio, imperversava la più squallida e tragica anarchia (la
cosiddetta “età ferrea” del papato, che per un secolo fu in preda alle fazioni
locali, ebbe tra i suoi titolari alcuni uomini indegni, fu funestato da delitti
come l'eccidio di Giovanni VIII, orrori e indegnità come il processo al
cadavere di Formoso nell'897, la compravendita della dignità tra Benedetto IX e
Gregorio VI nell' XI sec.). E a Roma
Ugo arrivò, compiendo una serie di delitti per sposare la donna che in quel
momento ne era l'arbitra, Marozia, della famiglia o consorteria fondata e resa
potentissima da suo padre Teofilatto; ma non vi poté resistere a lungo per
l'ostilità del figliastro Alberico, che lo costrinse a una fuga senza ritorno;
poi Alberico tenne Roma come dominio personale per oltre vent'anni (932-955),
governandola non senza dignità, col titolo di senatore e principe. Escluso da
Roma, Ugo di Provenza cercò di consolidare la sua posizione di sovrano nel
resto dell'Italia e di smorzare, non senza successo, gli impeti degli Arabi e
degli Ungari; ma fu rovinato dal rivale Berengario II d'Ivrea, nipote di
Berengario I, il quale, con l'appoggio di Ottone I di Sassonia, re di Germania,
l'obbligò a lasciare il regno al figlio Lotario, sotto la sua reggenza (945), e
a tornare in Provenza. Morto poi Lotario, Berengario II assunse la corona
d'Italia insieme col figlio Adalberto (950) ed esiliò la vedova del giovane re,
Adelaide di Borgogna. Ma costei ottenne la protezione dello stesso Ottone I di
Sassonia, che, in veste di vindice dei diritti dei re di Germania sull'Italia,
passò immediatamente le Alpi e, mentre Berengario II si rifugiava nella sua
marca d'Ivrea, prese a Pavia la corona reale e sposò Adelaide (951). Ottone
rimase poi assente dalla penisola per un decennio, tollerando che Berengario
II, rimessosi alla sua discrezione, ne riassumesse il titolo di re come suo
vassallo. Il compromesso ovviamente fallì, Berengario II intrigò per rendersi
indipendente e s'inimicò gran parte dei signori italiani, compreso il papa
Giovanni XII, figlio di Alberico e come questo risoluto a tenere soggetta Roma
e a liberare il papato dalle pressioni, manomissioni e servitù, che da tanto
tempo gli venivano inflitte dall'aristocrazia locale e dai grandi signori di
fuori. Perciò Ottone tornò in Italia, non incontrò resistenza da parte di
Berengario II, fu confermato re a Pavia e coronato a Roma imperatore da
Giovanni XII (962). Da questo momento, le corone di Germania, d'Italia e del
Sacro romano impero rimasero congiunte.
L'incoronazione imperiale fu accompagnata da un privilegio,
col quale Ottone I riconobbe al papa la legittimità dei suoi possessi
territoriali, ma pretese da lui il giuramento vassallatico, cioè il
riconoscimento della sua supremazia. Ciò diede luogo a un conflitto, a cui
prese parte l'aristocrazia romana avvezza a disporre del soglio pontificio, e
divisa in due potenti fazioni, i Tusculani, fautori dell'imperatore, e i
Crescenzi, avversari, e sfociò nella deposizione di Giovanni XII, che Ottone I
sostituì con un primo pontefice a lui fedele (Leone VIII, 963-965), poi con un
secondo (Giovanni XIII, 965- 972), intervenendo personalmente nelle
contrastatissime elezioni. L'energica azione dell'imperatore negli affari
romani frenò, e fece volgere al declino, l'onnipotenza delle fazioni cittadine
sulle elezioni pontificie, ma sottomise praticamente per alcuni decenni il
papato all'Impero.
Fu questo il maggior successo italiano di Ottone I. Il suo
progetto di sottrarre l'Italia meridionale al dominio bizantino fallì sia sul
piano diplomatico (matrimonio del figlio ed erede Ottone II con la principessa
bizantina Teofano, con promessa dell'apporto dell'Italia meridionale come
dote), sia sul piano militare, successivamente tentato (spedizioni nel
Mezzogiorno); la questione finì in una pace di compromesso tra i due imperi,
sulla base dello status quo ante. Più complessi, e di maggior portata,
furono gli esiti di un altro punto programmatico dell'imperatore: la creazione
del feudalesimo ecclesiastico (i vescovi-conti), destinata ad assoggettare
mediante il vincolo di vassallaggio una classe già straordinariamente potente,
e a contrapporla, come elemento equilibratore, alla grande feudalità laica.
Il figlio ed erede di Ottone I, Ottone II (associato all'Impero vivente il padre nel 967 e imperatore da solo dal 973 al 983), apparve in Italia, dopo aver duramente combattuto oltre le Alpi contro il duca di Baviera e il re di Francia, solo nel 980, per riaffermare la sua supremazia in Roma, dove sostenne il papa di sua parte, Benedetto VII (da cui fu incoronato) e per conquistare con le armi il Mezzogiorno in nome della moglie, Teofano. Qui si scontrò con Bizantini e Arabi alleati, riportò alcune brillanti vittorie (Taranto e Crotone), ma una sola, infausta, battaglia (Rossano, 982) lo costrinse a una disordinata ritirata. Morì pochi mesi dopo a Roma, lasciando un erede di tre anni, Ottone III (983-1002). Uscito dalla tutela della madre Teofano, poi della nonna Adelaide, questi apparve in Italia tra i quattordici e i diciannove anni come una meteora, per imporre un papa di suo gradimento (Gregorio V, che lo incoronò, 996) e per attuare, sotto il successore di questo, Silvestro II (999- 1003), il suo dotto precettore, quel favoloso piano di riforme che si disse Renovatio Imperii, ed ebbe come teatro Roma. Una povera Roma ridotta a un grosso villaggio chiazzato di pascoli e di boscaglie, ma disseminata di rovine auguste; di qui doveva prendere il corso un rinnovamento, destinato a ridare vita alla santa repubblica, con l'imperatore e il papa al vertice, capace di riconquistare il mondo dissestato dagli infedeli, dai Barbari e dagli indegni Bizantini. Il disegno si ridusse a poche manifestazioni formali, poi cadde nel nulla per la prematura scomparsa di Ottone III e di Silvestro II; l'idea, invece, sopravvisse, e riaccese più volte nel corso del medioevo animi generosi e sensibili al fascino delle tradizioni antiche.