² Dalla caduta della Destra alla crisi di fine secolo (1876-1900)

Dopo  la “rivoluzione parlamentare” del marzo 1876, avvenuta quando era stato raggiunto il pareggio, la politica dei governi della Sinistra non segnò mutamenti sostanziali neppure sotto il regno del nuovo sovrano Umberto I, succeduto a Vittorio Emanuele II, morto il 9 gennaio 1878. L'abolizione della tassa sul macinato venne proposta nel 1878; i ceti industriali avevano avvertito che la ricerca pregiudiziale del pareggio era nociva allo sviluppo della produzione, ma data l'opposizione dei gruppi dominanti a una politica di imposizione fiscale diretta, il senato votò l'abolizione dell'imposta solo nel 1880; la legge sull'istruzione obbligatoria e gratuita (legge Coppino) venne votata nel 1877.

Nel paese intanto si diffondevano e si organizzavano le prime forze di una Sinistra dichiaratamente socialista: già dalla metà degli anni Sessanta aveva trovato eco a Firenze e a Napoli (che risentiva, come tutto il Meridione, delle conseguenze negative dell'unificazione) la propaganda anarchica di Bakunin; nel 1868 si formò a Napoli la prima sezione italiana dell'Internazionale; repressa dal governo, l'Internazionale trovò nuovo slancio dopo la caduta della Comune parigina del 1871. Perdeva al contrario terreno, a cominciare da questo periodo, il movimento mazziniano, che nel decennio 1860-1870 aveva fatto presa tra gli operai e gli artigiani del Centro e del Nord. Nel 1872 si tenne la conferenza costitutiva della Federazione italiana dell'Internazionale, che sorse sulle basi dell'anarchismo libertario di Bakunin e rifiutò legami con la direzione di Marx ed Engels, trovando ben presto terreno propizio negli scioperi e nelle agitazioni che spontaneamente nascevano per le misere condizioni sociali delle classi popolari. Le persecuzioni governative, che colpirono il movimento internazionalista dopo il fallimento del tentativo dell'agosto 1874, lasciarono strascichi di malcontento diffuso e non impedirono agli internazionalisti anarchici di continuare l'opera di propaganda. Dopo la morte di Bakunin (1876) guadagnarono però terreno le tesi favorevoli alla formazione di un partito politico operaio che si rafforzarono dopo l'insuccesso del nuovo tentativo insurrezionale della banda del Matese (1877) e il passaggio di A. Costa da posizioni insurrezionistiche a posizioni evoluzionistiche. Intanto in parlamento, con l'elezione dell'esponente radicale F. Cavallotti (1873), venne a operare anche una rappresentanza di estrema sinistra, che ampliò successivamente i suoi quadri parlamentari. In polemica con la Sinistra al potere, l'estrema indirizzò la sua agitazione in direzione del suffragio universale; il governo, pur rifiutandolo, fu costretto comunque a un allargamento del corpo elettorale in conseguenza del quale gli elettori passarono da 600.000 a 2 milioni circa (1882). Alle elezioni dell'ottobre 1882 il Costa, appoggiato dal partito socialista rivoluzionario di Romagna da lui creato, riuscì eletto anche coi voti radicali e repubblicani, rafforzando la pattuglia dell'estrema parlamentare. Oltre alla nascente opposizione socialista, che aveva il suo centro principale di elaborazione ideologica nel gruppo milanese della Plebe, c'era poi nel paese un'altra forza ostile ai liberali: i cattolici intransigenti (così chiamati per distinguerli dai piccoli gruppi favorevoli a una conciliazione tra Stato e Chiesa) che, in base alle direttive ecclesiastiche (il non expedit) si rifiutavano di partecipare alle elezioni politiche, e si erano organizzati nell'Opera dei congressi (1876), negando ogni riconoscimento allo Stato che aveva distrutto il potere temporale e conducendo, con toni talora legittimisti e reazionari, una campagna antiliberale che prendeva spunto spesso dalla miseria popolare. Di fronte al rafforzarsi di queste opposizioni, si attenuava nel parlamento la distinzione fra Destra storica e Sinistra, e nasceva il cosiddetto “trasformismo” (consistente nella partecipazione allo stesso governo di esponenti dei due gruppi) che trovava la sua ragione di fondo nella base elettorale, comune tanto agli uni quanto agli altri. Con Depretis il trasformismo divenne prassi normale di governo, e nel 1883 venne riconosciuto dal Minghetti come rispondente alla nuova situazione creata dal formarsi dell'estrema sinistra. La politica estera della Sinistra si mantenne inizialmente nelle linee tracciate dalla Destra, e fu favorevole al raccoglimento per consolidare le istituzioni all'interno (rifiuto di Corti al congresso di Berlino del 1878 di partecipare a imprese coloniali); ma dopo il 1880, a seguito anche dell'occupazione francese di Tunisi e per il timore di restare isolati in Europa, il governo si indirizzò verso una cauta espansione in Africa (acquisto della baia di Assab a opera della compagnia Rubattino e suo successivo acquisto da parte del governo [1882]; occupazione di Massaua per una progressiva penetrazione in Eritrea, fermata però a Dogali nel 1887) e verso l'alleanza con gli Imperi centrali (Triplice alleanza, 20 maggio 1882, rinnovata poi nel febbraio 1887 a condizioni più vantaggiose). Nell'agosto 1887, alla morte di Depretis, la presidenza del consiglio fu assunta da F. Crispi, che era stato tra i suoi oppositori di sinistra; il ministero Crispi abolì dapprima le limitazioni al diritto di sciopero; con Giolitti, ministro delle finanze, riformò la contabilità dello Stato, favorì le società cooperative operaie, attuò una riforma carceraria, riorganizzò le Opere pie, promosse la promulgazione del codice Zanardelli (1890) e tentò persino la soluzione della Questione romana (tentativo conciliatorista del 1887, che, fallito, diede luogo a una reazione anticlericale). Ma la politica di Crispi, per quanto inizialmente non contraria ad accogliere alcune istanze della Sinistra per una tutela dei lavoratori, finì con lo scontrarsi duramente con l'estrema per la questione della politica africana (trattato di Uccialli, 2 maggio 1889; riorganizzazione dell'Eritrea; ecc.) che cominciava a gravare pesantemente sull'erario, già in difficoltà per la “guerra delle tariffe” che s'era aperta dal 1887 con la Francia. La tensione era anche aggravata dalle tendenze spiccatamente filobismarckiane di Crispi e dalle repressioni condotte contro ogni manifestazione irredentista che potesse turbare i rapporti interni della Triplice, destinata a essere rinnovata nel maggio 1891. Crispi intraprese quindi contro l'estrema sinistra e i radicali una politica di repressione con riduzione delle libertà di sciopero e di associazione. A fronteggiare l'attività repressiva del governo sorse nel 1892, dalla confluenza di leghe di resistenza, di organizzazioni bracciantili e del gruppo di intellettuali della Lega socialista milanese (Turati, A. Kuliscioff, ecc.), il partito socialista italiano (inizialmente partito dei lavoratori italiani) che nello stesso anno conquistò alle elezioni cinque seggi (tra gli altri, Turati, Prampolini e Costa). Il ministero Crispi era intanto caduto fin dal febbraio 1891 per l'aggravarsi della situazione finanziaria. Lo sostituirono dapprima Di Rudinì (febbraio 1891 - maggio 1892) e poi Giolitti (maggio 1892 - novembre 1893), che fece le prime prove di una politica più liberale di quella dei suoi predecessori; ma nel 1893 cominciarono a farsi sentire i primi effetti del rialzo dei prezzi, che da quell'anno si verificava nell'economia mondiale. Si ebbero così vari scioperi a Roma e Napoli, mentre in Sicilia si organizzavano i Fasci dei lavoratori. Attaccato da destra, Giolitti cadde tuttavia sulla questione bancaria, coinvolto nello scandalo della Banca romana per le accuse di Colajanni e di Cavallotti (novembre, 1893), senza che peraltro le sue responsabilità nell'“affare” fossero maggiori di quelle dei precedenti governi.

Al potere tornò Crispi (dicembre), il quale si impegnò immediatamente nella repressione dei Fasci siciliani: a seguito dei tumulti scoppiati nell'isola (10 dicembre 1893 e 3 gennaio 1894) egli fece proclamare lo stato d'assedio, arrestando i capi dei Fasci (tra cui De Felice Giuffrida); i socialisti promossero manifestazioni di protesta a Milano e gli anarchici a Massa Carrara organizzarono un moto, represso con lo stato d'assedio; il partito socialista fu sciolto insieme ad altre 248 “organizzazioni sovversive”. Ma le elezioni del maggio 1895, pur costituendo un trionfo personale per Crispi, specie nel Sud, segnarono buoni successi per i socialisti (quindici seggi) e per i radicali; e nel marzo 1896 Crispi, che aveva ripreso la politica di espansione coloniale in Africa (occupazione dell'Eritrea), puntando su di essa per risolvere anche le difficoltà interne, venne rovesciato a seguito della sconfitta di Adua (1º marzo 1896). Lo sostituì un ministero Di Rudinì, che riprese la politica interna conservatrice, pur liquidando la spedizione africana. Il continuo aumento dei prezzi (che pure favoriva la ripresa economica, senza però vantaggi per le classi lavoratrici) e i cattivi raccolti (specialmente nel 1897) provocarono un aumento della tensione sociale, resa più grave nel 1898 dalla guerra ispano-americana che causò un forte rincaro del grano; gravate da imposte indirette assai pesanti le masse popolari espressero la loro protesta con scioperi e agitazioni via via più vasti. D'altro canto crescevano in parlamento le tendenze conservatrici (nel gennaio 1897 S. Sonnino pubblicò l'articolo Torniamo allo Statuto, in cui auspicava l'abbandono della tradizione dei governi parlamentari per tornare a quelli costituzionali). Tra l'aprile e il maggio 1898 si ebbe una serie di dimostrazioni, che culminarono nelle giornate di Milano (6-8 maggio) in cui il generale Bava-Beccaris impiegò l'esercito per una repressione sanguinosa (ottanta civili morti), a cui seguì la proclamazione dello stato d'assedio in quasi tutte le province e la persecuzione contro i socialisti e i cattolici dell'Opera dei congressi (soprattutto quelli della tendenza sociale, che si era sviluppata a seguito della Rerum Novarum [1891]) accusati entrambi di aver promosso i tumulti. La vastità della crisi del 1898 spinse il governo Pelloux (costituitosi nel giugno 1898) ad accentuare la politica illiberale, presentando una serie di decreti-legge per la restrizione delle libertà di sciopero, di stampa e di riunione. Contro la legislazione “liberticida” l'estrema sinistra promosse in parlamento un'opposizione acerrima, che giunse all'ostruzionismo e che riuscì a trascinare anche alcune forze liberali, contrarie alla violazione delle libertà statutarie. La risoluzione dell'opposizione e la frattura in seno allo stesso schieramento liberale fecero sì che Pelloux indicesse nuove elezioni (giugno 1900) i cui risultati (passaggio dell'estrema sinistra da 67 a 96 deputati) lo costrinsero alle dimissioni. Gli succedette (giugno 1900) G. Saracco che ritirò i disegni di legge illiberali.