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Bizantini e Longobardi
A togliere il riconoscimento a Teodato e a promuovere la
guerra per riconquistare l'Italia all'Impero romano, ormai vivo solo in
Oriente, fu Giustiniano (527-565). Dopo aver posto fine al regno dei Vandali,
il suo generale Belisario attaccò gli Ostrogoti in Italia (535): dalla Sicilia
combattendo arrivò a Ravenna, dove ottenne la resa di Vitige, successore di
Teodato (540), e l'apparente sottomissione dei Barbari. Belisario tornò a
Costantinopoli lasciando un'Italia liberata, ma nella più spaventosa
desolazione, un'Italia in agonia, quale la vide e la descrisse lo storico della
corte bizantina, Procopio di Cesarea. Pochi anni dopo questo flagello, gli
Ostrogoti si riorganizzarono, con l'appoggio degli stessi Italiani, coi quali
avevano condiviso gli orrori della guerra portata dall'imperatore d'Oriente e,
sotto la guida del re Totila (Baduila), ricuperarono quasi tutta l'Italia,
compresa Roma (541-546). Belisario non poté ristabilire la situazione, e alla
fine fu sostituito dal rivale Narsete. Fu questi che, con una grande campagna
dalla Val Padana verso il Sud, conquistò anzitutto Ravenna, incalzò gli
Ostrogoti e li disfece in Umbria (a Busta Gallorum, presso Gualdo
Tadino, 552, dove cadde Totila) e infine in Campania (tra i monti Lattari e il
Vesuvio, 553, dove cadde l'ultimo re degli Ostrogoti, Teia). I resti degli
Ostrogoti e orde sopraggiunte di Franchi e Alamanni furono dispersi nei due
anni successivi.
I Bizantini o, come si chiamavano per tradizione, i Romani,
dopo vent'anni di guerra, erano dunque padroni dell'Italia: Giustiniano, a
richiesta del papa Vigilio, la costituì (554) con una Prammatica sanzione a
provincia dell'Impero, sotto il governo, dapprima di un patrizio e di un
prefetto del pretorio, l'uno col supremo potere militare, l'altro con quello
civile, poi di un unico magistrato, l'esarca. Qualche grande città, come
Ravenna, Roma e Napoli, si risollevò, ma quasi tutte le altre ebbero vita
difficile, e più difficile le campagne, maggiormente colpite dalla guerra e
dalle altre calamità. Il duro fiscalismo del regime bizantino, inoltre,
paralizzava una ripresa di per se stessa già estremamente penosa. Non Bisanzio,
ma Roma papale e le nuovissime istituzioni monastiche promosse da san Benedetto
da Norcia (529, fondazione dell'abbazia di Montecassino), con la loro attiva
pietà, ridiedero a poco a poco a una popolazione ridotta allo stremo la fiducia
nella vita, e i focolari e gli altari e i rudimenti di una cultura semispenta.
La dominazione bizantina in Italia fu scossa dall'invasione dei Longobardi, che
si rovesciarono sulla penisola mentre tutto l'Impero d'Oriente attraversava una
grave crisi. Si trattò anche questa volta dell'emigrazione di un popolo intero.
Condotti da Alboino, i Longobardi apparvero a Cividale del Friuli nella primavera
del 568: i Bizantini si limitarono a difendere Ravenna, le coste, le isole e
una fascia trasversale di territorio sparsa di fortezze tra le coste
marchigiane e le laziali (con Roma, quindi), che tuttavia i Longobardi
attraversarono, spingendosi fino in Campania. L'Italia rimase così spezzata in
due e non si ricongiunse che tredici secoli dopo.
I Longobardi non fecero nulla per organizzare uno Stato:
mentre Alboino, residente a Pavia divenuta capitale, manteneva di re quasi solo
il nome, i suoi duces si spargevano per la penisola ritagliandosi
altrettanti ducati indipendenti e, alla scomparsa di Alboino (572) e del suo
successore Clefi (574), per un decennio non elessero alcun sovrano, riducendo
il paese all'anarchia. Ci volle una nuova invasione di Franchi in Piemonte e
una certa ripresa offensiva di Bisanzio perché s'inducessero a darsi un nuovo
re, Autari (584- 590), cui diedero assistenza militare e finanziaria. Autari
dimostrò qualche dote di costruttore: cercò di disciplinare i duchi, di cattivarsi
gli Italiani (prese il nome romano di Flavio e, benché ariano, sposò la
principessa bavarese Teodolinda, che era cattolica, e per il cattolicesimo
mostrò grande rispetto), contenne Franchi e Bizantini, si adoperò per
un'ulteriore espansione del dominio longobardo in Italia. I capisaldi di tale
dominio, che non raggiunse mai una vera continuità territoriale, divennero la
valle del Po, con centro a Pavia, il ducato di Spoleto nel cuore della penisola
e il ducato di Benevento nel Mezzogiorno: il tutto designato col nome di Regnum
Langobardiae o Longobardia (donde, restrittivamente, Lombardia). I
possessi bizantini, altrettanto discontinui, si ridussero all'area ravennate
(l'Esarcato), alle Marche (Pentapoli), a una striscia dell'Umbria e al Lazio
(ducato romano) e a gran parte del Mezzogiorno; queste zone costituivano la Romània,
in contrapposizione con la Longobardia. Ma, in questa Romània, pur
restando Ravenna la capitale, il centro di forza e il focolaio di cultura
veramente attivo fu Roma, soprattutto da quando divenne papa Gregorio Magno
(590-604), che svolse un'attivissima politica di pacificazione tra i Longobardi
e i Latini, puntando sulla conversione dei primi al cattolicesimo e sul
contenimento della pressione bizantina. In entrambi i settori il pontefice
ottenne buoni risultati. Si avviò così un relativo affiatamento, sulla base
della religione, tra vincitori e vinti, e un lento, contrastato, ma progressivo
processo d'incivilimento dei primi nel quadro del mondo spirituale latino. Il
popolo l'intuì, incominciando a vedere nel papato il più valido presidio della
sua individualità e della sua salute; e l'intuirono, con sentimento opposto, i
Longobardi che reagirono facendosi più nazionalisti e antilatini.
La reazione si inasprì alla scomparsa di Gregorio Magno e
di Agilulfo, secondo marito di Teodolinda, cioè nei primi decenni del VII sec., quando si ripeterono episodi di
anarchia ducale, diminuirono le conversioni e Bisanzio avanzò rivendicazioni
territoriali, politiche e religiose sull'Italia. Le iniziative di un re
valoroso, Rotari, che allargò il regno a parte del Veneto e alla Liguria, emanò
un editto non privo di temperamenti romani e cristiani nella legislazione
barbarica (643), portò qualche disciplina tra i duchi, segnarono soltanto una
parentesi tra i continui disordini. Anche nella seconda metà del VIIsec. si succedettero momenti di tempesta
e schiarite, che impedirono comunque un'apprezzabile strutturazione del regno;
sotto Grimoaldo (662-671) furono respinti con successo attacchi franchi a nord
e bizantini a sud (dove questi ebbero nuovamente decimati i loro possessi). I
papi del tempo, parecchi orientali, si adoperarono per bilanciare le opposte
forze bizantine e longobarde che premevano sull'Italia e per intensificare, in
forma missionaria, le conversioni dei Barbari; fu una politica difficile, ma
nel complesso fruttuosa. A questi tempi, la vita, specialmente cittadina,
cominciò tuttavia a rigermogliare: a Genova, a Milano (provatissima nei due
secoli precedenti), a Napoli, ad Amalfi e nella giovanissima Venezia, in corso
di formazione per opera dei profughi dalla terraferma, sfuggiti alla soggezione
dei Barbari, e destinata a straordinari sviluppi.
Una svolta di grande importanza si ebbe nella prima metà
dell'VIII sec., quando il
cattolico Liutprando (712-744) si rese conto che, se non avesse conquistato
tutta l'Italia, il regno dei Longobardi sarebbe crollato e, dopo
un'intelligente preparazione (disciplina dei duchi, intensa attività
legislativa, relazioni d'amicizia con la Chiesa a tutti i livelli della
gerarchia, rispetto dei Latini), affrontò l'esecuzione del suo disegno in
occasione del conflitto dell'iconoclastia, scoppiato tra il papa Gregorio II e
l'imperatore d'Oriente Leone III l'Isaurico (726). Col papa, e col consenso
della massa cattolica barbarica e latina, Liutprando si fece difensore della
conservazione e della venerazione delle immagini contro i Bizantini
iconoclasti, li attaccò nell'Esarcato, nella Pentapoli e nel ducato romano e
puntò sulla stessa Roma, giuridicamente sempre soggetta a Bisanzio, per
assumerne la difesa. Gregorio II, però, ebbe timore dell'insediamento
longobardo nella sua sede, tanto che esortò Liutprando ad arrestare la sua
marcia nel Lazio e a ritirarsene. Fu in quest'occasione che il re, per
obbedienza e devozione, donò (728) il castello di Sutri, appena conquistato, ai
beati apostoli Pietro e Paolo; a questa donazione si fa ascendere l'origine del
dominio territoriale del papato, cioè del futuro Stato Pontificio: di fatto, ed
entro certi limiti, i vescovi, e in specie i papi, soprattutto da Gregorio
Magno in poi, esercitavano già pubblici poteri in Roma e sul territorio
circostante.
Il conflitto longobardo-bizantino ebbe ulteriori sviluppi.
Leone III si rivalse delle perdite subite trasferendo dall'obbedienza al papa
all'obbedienza al patriarca di Costantinopoli le chiese del Mezzogiorno e
creando un forte regime militare in Puglia e in Calabria con l'istituzione dei temi
(thémata). Liutprando riprese l'offensiva e si riportò nei pressi di
Roma; ma di nuovo dovette ritirarsi e donare al papa le ultime terre tolte ai
Bizantini (i quattro castelli di Orte, Bomarzo, Blera e Amelia, fine 741 -
inizio 742). L'arrendevolezza di Liutprando tuttavia era ormai motivata non più
solo dalla devozione, ma anche dalla necessità: il papato, regnando Gregorio
III, poi Zaccaria, si preparava infatti a opporgli, se avesse insistito ad
avanzare verso Roma, il regno dei Franchi, in impetuosa fase di crescenza per
virtù dei maestri di palazzo, Carlo Martello, poi Pipino il Breve. La prudenza
di Liutprando fu compensata dalla benevolenza di papa Zaccaria; ma, alla morte
di Liutprando, le turbolenze verificatesi nel mondo longobardo sotto i suoi
successori Ildebrando e Rachis e infine l'avvento al trono del focoso Astolfo
(749-756), risoluto a un'azione a fondo contro i Bizantini, spinsero il papa a
stringere vincoli più saldi coi Franchi compiendo un passo ancora senza
precedenti nella storia. Mentre Astolfo prendeva Ravenna e svolgeva il suo
programma di conquiste, Zaccaria, richiesto da Pipino il Breve, negò al
legittimo ma ignavo re dei Franchi Childerico III il diritto di conservare la
corona e lo trasferì (751) a Pipino stesso, che effettivamente già esercitava
il potere regio. Il passo del papa ebbe immediate conseguenze: Childerico III
fu deposto e Pipino fu incoronato (752), la dinastia dei Merovingi fu
soppiantata dalla dinastia dei Carolingi e poco dopo il successore di Zaccaria,
Stefano II (III), recatosi personalmente in Francia, rinnovò l'incoronazione e
concluse un'alleanza col nuovo re dei Franchi contro i Longobardi, investendolo
della dignità di patrizio (difensore) di Roma (754).
Roma aveva effettivamente bisogno di difesa, perché
Astolfo, occupata Ravenna, l'Esarcato, la Pentapoli, il ducato spoletino,
s'avvicinava sempre più alla città e si faceva chiamare non più solo re dei
Longobardi, ma “re dei Longobardi e delle genti romane affidategli da Dio”, che
era titolo significativo e ammonitore. Pipino passò le Alpi una prima volta nel
754 e, dopo un'efficace azione su Pavia, impose ad Astolfo di sgomberare
l'Esarcato e la Pentapoli e di cederli, non all'imperatore bizantino, bensì al
papa, come “giusta restituzione” di regioni legittimamente appartenenti alla
Chiesa (iustitiae Sancti Petri), qualunque fosse stata fino a quei
giorni la loro sorte, in forza della donazione di Costantino (il celebre, falso
Constitutum, coniato forse in questo periodo, e tenuto per autentico
sino al Quattrocento). Ma, non appena Pipino ebbe lasciato l'Italia, Astolfo
attaccò Roma, che sarebbe certo caduta se, cedendo a un'appassionata
invocazione del papa, il re dei Franchi non fosse ridisceso in Italia e non
avesse vinto di nuovo Astolfo nella sua capitale. Esarcato, Pentapoli e ducato
romano passarono nelle mani di Pipino, il quale ne fece personalmente donazione
(o restituzione) ai beati apostoli Pietro e Paolo, nonostante le obiezioni
della corte bizantina (756). La donazione di Pipino (PromissioCarisiaca)
comprendeva all'incirca i territori che costituirono per oltre undici secoli
gli Stati della Chiesa.
Il successore di Astolfo, Desiderio (756-774), riuscì, a
fatica, a conciliarsi con Pipino e, alla morte di questo (768), concluse
un'alleanza matrimoniale con la nuova dinastia franca (matrimonio delle due
figlie di Desiderio, Ermengarda e Gerberga, coi due eredi di Pipino, Carlo e
Carlomanno). Tanto gli riuscì per una breve crisi del papato, sopravvenuta dopo
la morte di Stefano II (III), nel decennio di regno di Paolo I e dei due
antipapi Costantino II e Filippo, creatura, questo, dello stesso re longobardo
(757-767). Ma, risoltasi questa crisi con l'elezione di Stefano III (768-772),
il papato riprese la politica di Zaccaria e di Stefano II (III), nettamente
antilongobarda: Stefano III disapprovò con parole roventi i vincoli stretti tra
la dinastia franca e la longobarda, tanto che poco dopo (771) Carlo ripudiava
Ermengarda, mentre Carlomanno moriva, lasciando il fratello unico erede del
regno dei Franchi. Le due principesse tornarono in Italia, e Desiderio chiese
giustizia al nuovo papa, Adriano I (772-795), per i figli di Gerberga, che
Carlo aveva escluso dall'eredità di suo fratello. Non l'ebbe, e allora invase
la donazione di Pipino, risoluto a raggiungere Roma; con l'effetto di
provocare, a richiesta di Adriano I, l'intervento di Carlo il quale riportò
sull'esercito longobardo condotto dal figlio di Desiderio, Adelchi, una prima
vittoria, che gli spalancò le porte dell'Italia (773).
Desiderio si asserragliò a Pavia, Adelchi a Verona; questa
capitolò poco dopo e Adelchi si rifugiò a Costantinopoli nell'intento di
ottenere aiuti dall'imperatore Costantino V Copronimo, mentre Carlo si recava a
Roma per incontrarsi con Adriano I, confermargli la donazione del padre e
assicurarlo della sua fedeltà e della sua protezione. Carlo fece poi capitolare
Pavia (774) e mandò re Desiderio a chiudere i suoi giorni nel monastero di
Corbie; e a Pavia, presenti i duchi o i messi dei duchi longobardi venuti da
ogni parte d'Italia a fargli atto di sottomissione, fu incoronato re dei
Longobardi, ossia successore legittimo di Desiderio.
Finiva così, dopo due secoli, la dominazione longobarda,
della quale sopravvisse solo il ducato di Benevento, già da tempo praticamente
indipendente dal regno. I resti del popolo che aveva tanto a lungo e
pesantemente oppresso l'Italia, soprattutto nei primi decenni (quelli delle
spoliazioni e delle eliminazioni in massa dei proprietari e dei notabili,
dell'uso indiscriminato delle armi contro gli inermi, dell'oppressione dei
cattolici e dell'esaltazione degli ariani, del diroccamento delle città e dello
sconvolgimento delle campagne, dell'eversione, infine, dell'economia, delle
strutture sociali e dei costumi, di cui echeggiano, per es., gli scritti di
papa Gregorio Magno), si confusero con la massa umiliata degli Italiani sotto la
nuova dominazione franca.
Dominazione politica e militare questa, non invasione di popoli erranti in cerca di sede, e dominazione di una nazione che, a differenza di quei popoli, aveva un'organizzazione statale, sia pure ancora primitiva, ma in corso di sviluppo e strutturazione.