Salmoni

e storie di vecchi pescatori

Antonino Rallo

A vederlo disteso sul ghiaccio di una pescheria è innegabile che faccia la sua bella figura. Le scaglie argentee, le forme slanciate e le dimensioni spesso ragguardevoli non possono non attrarre l'attenzione dei clienti. La signora Tina, da molti anni addetta al banco del pesce in un grande supermercato perso tra le nebbie dell'entroterra adriatico, conferma un'impressione diffusa: in pochissimi anni il salmone è diventato nelle tavole di molti italiani il pesce da trancio più diffuso. E più sconosciuto, forse.

Perfino la nostra commessa, normalmente informatissima e pronta a offrire ai clienti un suggerimento su come cucinare al meglio acciughe, branzini o storioni ha un momento di esitazione quando le si chiede la provenienza del salmone che sta vendendo in offerta per appena 14.000 lire al chilo. Servizievole come sempre, corre nel retrobottega e torna con un sigillo di plastica dorata che ha tolto al pesce prima di tagliarlo in tranci. "Salmone norvegese", dice la scritta in inglese. Se volete informazioni sulle cure con cui il salmone è stato prodotto, non avete che telefonare o inviare un fax a Bergen, Norvegia. I numeri sono stampati ben in evidenza in fondo al sigillo: naturalmente si tratta di salmone di allevamento. Come si può, oltretutto, pretendere del vero salmone di mare al prezzo di acciughe e merluzzetti? I clienti si affrettano a portare a casa i grossi tranci di carne rosea bordata di argento convinti, a buon ragione, di poter mettere in tavola un piatto sino a poco tempo fa presente solo nelle mense dei ricchi.

Strana storia, quella del salmone. Un tempo era così abbondante lungo le coste tra la Norvegia e il Portogallo che gli apprendisti o altri lavoratori malpagati di quell'area si battevano strenuamente nel medioevo per ottenere che i padroni non dessero loro da mangiare salmone più di tre volte la settimana.

Più che la pesca in mare, sono stati l'inquinamento dei fiumi- percorsi durante la fase di riproduzione- e le alterazioni dei loro corsi con dighe insormontabili a rendere i salmoni di mare europei più rari che in passato. E' in concomitanza del declinare della pesca in Europa che inizia, attorno agli anni venti, l'epopea della pesca al salmone nel Pacifico, molto intensa nelle gelide e rischiose acque dell'Alaska. Attività in cui si distinsero per abilità e tenacia i pescatori delle isole siciliane di Marettimo e Favignana, accorsi a competere con successo con gli scandinavi insediatisi sulle coste dell'Alaska una generazione prima.

Tornando in Europa, è qui che sono stati fatti con successo i primi esperimenti di acquacultura con i salmoni, soprattutto nei laghi scozzesi e in Scandinavia.

Coloro che criticano i pesci di allevamento fanno due obiezioni: la prima sul sapore, ritenuto troppo anonimo, l'altra sugli effetti negativi sull' ambiente che gli impianti di acquacultura possono determinare. L'indagine comparativa probabilmente più completa tra campioni di pesce di allevamento e di mare è stata svolta alcuni mesi fa dalla rivista dei consumatori francesi Que Choisir (equivalente all'italiano Altro Consumo), che ha analizzato diverse specie di allevamento, tra cui persici e salmoni. Uno dei motivi dei sapori un pò indistinti che spesso i pesci di allevamento presentano è dovuto, secondo l'assaggiatore Fabienne Maleysson, al fatto che negli allevamenti quasi tutte le specie hanno una dieta simile. Per quanto i pesci di mare nel test francese abbiano avuto un punteggio sul sapore doppio di quelli di allevamento, la pescicultura ha sicuramente un futuro: il salmone di mare (vedi scheda) ha un prezzo doppio di quello di allevamento e non è disponibile tutto l'anno. E' per questo che grossisti di pesce e supermercati sono in favore del prodotto di allevamento, disponibile sempre ed a un prezzo stabilmente più basso.

Più complesso il problema dal punto di vista ambientalistico. Da quando è iniziato l'allevamento dei salmoni nei laghi scozzesi, sono cominciate le proteste sull'inquinamento di alcuni corsi d'acqua emissari di tali laghi e sull'uso di coloranti talvolta usati per rendere rosa le carni di salmoni e trote. Preoccupazioni destano anche gli effetti tossici dei prodotti chimici usati per eliminare i parassiti attratti dalle grosse quantità di pesci concentrati negli allevamenti. D'altra parte, i crescenti consumi ittici rendono improponibile l'intensificazione della pesca in mare, ritenuta distruttiva già ai livelli attuali. L'unica strada proponibile sembra quella presa da alcuni allevatori norvegesi, che recentemente hanno sviluppato tecniche di allevamento in grandi aree, un pò più attente agli aspetti ambientali di quella che ormai è una vera e propria industria.

Dal punto di vista dei consumatori è urgente che si imponga ai produttori e venditori di pesce di allevamento di specificare chiaramente la natura e provenienza del prodotto. Anche perchè non sono pochi i venditori nostrani che sostengono di offrire salmoni 'non di allevamento' a poche migliaia di lire al chilo.

E' realistico pensare che il pesce di allevamento sarà sempre più di frequente sulle nostre tavole. Nel caso dei salmoni, se la qualità del prodotto e l'impatto ambientale dell'acquacoltura saranno oggetto di controlli più seri, il danno non sarà così grave. Per lo meno sarà rallentata l'assurda pressione della pesca nei confronti degli esemplari che conducono la loro libera e un pò misteriosa esistenza divisi tra un oceano e un torrente . Quelli veri, per intenderci.

 

SCHEDA 1: SALMONE ATLANTICO O DEL PACIFICO?

Il salmone europeo (Salmo salar) secondo i primi documenti scritti era presente in una zona che si estendeva dal Portogallo alla Norvegia e, attraverso la Groenlandia scendeva probabilmente sino al fiume Hudson, sulla costa orientale nordamericana.Un'area che si è molto ristretta per gli sbarramenti che l'uomo ha posto nei fiumi negli ultimi secoli. I salmoni del Pacifico, appartenenti al genere Oncorrhyncus (cioè dal 'naso a uncino') sono invece diffusi dalla sponda asiatica del Pacifico settentrionale alla sponda nordamericana, divisa tra Alaska e Columbia Britannica. Si tratta di salmoni molto pregiati, alla cui cattura partecipavano già dall'inizio del secolo, assieme a scandinavi e ispanici, gli italiani immigrati in California, che all'inizio dell'estate si spostavano in Alaska per partecipare ad una pesca pesante e rischiosa, oltre che redditizia.

Non è da molto che si hanno notizie precise sul ciclo vitale di questa affascinante specie ittica, la cui carne si caratterizza per il tipico colore, più o meno accentuato a seconda della quantità di crostacei nella lora dieta, da cui ottengono la pigmentazione rosa. Ogni salmone nasce in corsi di acqua freddi, dove i genitori vengono a deporre le uova, in seguito ad un viaggio lungo e rischioso ai luoghi di origine in cui vengono guidati dall'olfatto. I piccoli avannotti rimangono in acque dolci sino al secondo-terzo anno, quando cominciano a migrare verso il mare, usando il sole per orientarsi. Dopo un periodo da due a quattro anni in mare, diventano salmoni adulti, raggiungendo gli 80-100 cm. di lunghezza in Atlantico e i 75-150 cm. in Pacifico, con un peso sino ai 15 chili. E' in quel momento che migrano verso i fiumi di origine- sempre più ostacolati da dighe e sbarramenti artificiali- per iniziare un nuovo ciclo di riproduzione.

 

SCHEDA 2: LA PESCA IN ALASKA DA UNA TESTIMONIANZA DELLA FINE DEGLI ANNI '30 RACCOLTA A FAVIGNANA (ISOLE EGADI).

" Fu all'inizio di giugno che andammo in Alaska per la pesca del salmone. Avevamo un ingaggio con una compagnia di Dillingham, nella Bristol Bay, che ci mise a disposizione una barca da venti piedi con randa e fiocco, attrezzata di tutto punto per la pesca, e una baracca con due brande e una stufa di ghisa per quando eravamo a terra.

Colpi di mare a parte, ci veniva difficile capire se sentivamo piu' freddo quando eravamo in mare aperto o quando stavamo in baracca. La pesca era abbondante e ogni salmone catturato ci veniva pagato dalla compagnia da trenta centesimi a mezzo dollaro, a seconda della grandezza.

Nelle giornate di maltempo ci riunivamo in tanti in un grosso capannone di lamiera a bere birra, giocare a carte e parlare della pesca. Molti di noi sedevano ai tavoli quasi sempre con delle coperte pesanti sulle spalle, cercando di cacciare via il freddo e l'umido preso a bordo. Fu li' che vidi la lista dei migliori pescatori della settimana, aperta sempre da due norvegini vecchi del posto. Li tenni d'occhio per un paio di settimane e scoprii che uscivano in mare piu' presto degli altri, per andare in una insenatura poco frequentata. Convinsi il mio compagno ad anticipare di due buone ore la partenza dal porto, in modo da andare a prendere il posto ai norvegini.

Ci ando' bene, anche perche' quando videro che li avevamo anticipati non fecero rogne. Virarono di bordo e andarono a calare le reti da un'altra parte.

Quella settimana fummo noi che riuscimmo a prendere i venti dollari della compagnia . Per i norvegini la delusione fu grande, non tanto per i soldi, ma per essere stati giocati da noi, che eravamo gli ultimi arrivati.Nei giorni successivi tornammo ai soliti orari e cercammo di non infastidire i norvegini. Oramai la soddisfazione ce l'eravamo presa.Uno di loro pero' non mi salutava piu'. Quando passava accanto a me mi guardava con occhi duri come biglie di vetro. Un sabato mi ero appena messo a letto sotto una montagna di coperte quando sentii una mano pesante bussare alla porta. Qualcosa mi disse di non aprire, ma il mio compagno era sceso dal letto e aveva gia' girato la serratura.

In un istante vidi il norvegino ubriaco fradicio accanto a me: mi stava puntando contro una pistola mentre gridava parole che non capivo. Mi alzai dal letto e gli andai incontro, per tentare di calmarlo.

Quando capii che non sentiva ragioni, tentai il tutto per tutto e gli scagliai contro la coperta che tenevo sulle spalle, riuscendolo poi a buttare a terra con l'aiuto del mio compagno.

Gli togliemmo la pistola di mano e a fatica lo buttammo fuori dalla baracca, avvolto attorno alla coperta come uno stoccafisso incartato.

L'indomani mattina lo vidi al porto con la faccia disfatta e la mia coperta ancora addosso. Aveva passato la notte al gelo, forse a ripensare a quello che aveva fatto.

Mi chiese scusa e mi offri' il caffe' prima di mollare le cime e ripartire per altre quattordici ore di mare, freddo e pesci che saltavano come diavoli sul pagliolo della barca".

(da "Avvenimenti", gennaio 1995, aggiornato marzo 2001)

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