Piombo

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Rais Michele e la tromba marina

Antonino Rallo

1997

 

Per me nonno Michele si può dire fu l'ultimo rais di Favignana. In altre parole, lui non fu solo capo pesca di tonnara, ma un po’ capo dei tonnaroti e un po’ sciamano, se permettete il termine, cui tutti dovevano oltre che rispetto anche un'obbedienza quasi religiosa.

Dopo che mio padre se ne andò sui pescherecci di San Pedro, in California, il nonno s'intestardì a fare di me, che porto il suo stesso nome, un altro rais. Solo che io non potei seguire la sua strada: dopo di lui non ci furono più veri rais, come vi ho già detto.

Questa è la storia di come si arrivò all'ultima mattanza di rais Michele, un evento successo tanti anni fa, ma che alcuni dei tonnaroti più anziani raccontano ancora.

Tutto cominciò la notte di Natale, quando il nonno tirò fuori da un cassetto della cucina un coltello nero avvolto in un pezzo di tela olona. Mentre noi tutti continuavamo la cena a base di baccalà e broccoli in umido, lo vedemmo appartarsi in un angolo ad invocare Dio e una lunga processione di santi di dargli la forza di poter tagliare la tromba marina, nemica di tutti i marinai, ma ancor di più dei tonnaroti.

Dopo un'ora buona di strane litanie a bassa voce, ripose il coltello nel cassetto e tornò con un sacchetto pieno di castagne secche che distribuì ai bambini della tavolata.

Dopo le feste vidi poco mio nonno, indaffarato com'era a sorvegliare la manutenzione di reti, ancore, barche e arpioni che stava preparando per la tonnara a venire.

Una mattina d'aprile nonno Michele si presentò nella mia aula di quarta elementare con il basco nuovo in mano. Salutò con rispetto la maestra e si appartò con lei, chiedendole a bassa voce se pensava di promuovermi. Alla risposta affermativa della donna il nonno salutò e si allontanò rimettendosi il basco in testa. All'alba del giorno dopo ero con lui davanti ai cancelli della tonnara.

Per giorni e giorni fui messo da solo a ripulire l'interno dei vascelli e delle altre barche di tonnara dalle macchie di sangue disseccato della mattanza dell'anno prima, senza che i tonnaroti scambiassero una parola con me. Il tempo non passava mai; presto cominciai ad invidiare i miei compagni di scuola, che almeno dopo le lezioni potevano giocare tra loro, anziché farsi venire la nausea dall’odore di acqua salata e sangue di tonno incrostato.

Ai primi di maggio la tonnara era stata già impiantata e il rais era diventato sempre più taciturno. Dormiva sulla barca ancorata all'imboccatura della grande trappola di reti, con un occhio chiuso e un occhio attento ai movimenti delle onde. Una sera mi chiese di non andare a casa e mi fece dormire accanto a lui, su una coperta militare sdrucita che mi avvolse dopo che, distrutto da una giornata di lavoro, mi ero sdraiato sul fondo del vascello.

La mattina presto mi svegliai al rumore di un gozzo che era stato ormeggiato accanto. Il nonno era già a bordo e mi chiese di salire.

Ero saltato a fatica sulla barca, ancora con le gambe e braccia legate dal sonno, che già il nonno aveva messo la barra per Lèvanzo, un'isola vicina di una bellezza un po’ selvatica, abitata da un pugno di persone.

Passammo vicino ai faraglioni e raggiungemmo una spiaggia di scogli piatti e bianchi. Con una certa fatica mettemmo la barca a secco per non farla sfasciare dalla risacca e ci arrampicammo verso una grotta che sorgeva in alto, a mezza montagna.

Mio nonno da tempo mi parlava poco. Più i giorni passavano e meno era mio nonno; meno parlava e più diventava il rais, non più il padre di mio padre.

All'improvviso, durante l'arrampicata, ruppe il silenzio iniziato da quando mi aveva preso insonnolito nella barca:

- Ci sei mai stato nella Grotta del Genovese?

- Mai vista né sentita nominare.

- E' un posto che vedo sempre prima della mattanza. Nessuno lo sa, a parte il guardiano; hai capito?

- Ho capito - risposi per farlo contento. Il rais diventava sempre più difficile da decifrare.

All’imboccatura della grotta ci salutò il guardiano appena sceso dalla mula; si stava adoperando per accendere un lume a petrolio. Entrammo a fatica attraverso lo stretto passaggio, chinandoci per non sbattere la testa contro la volta distinguibile a malapena.

Il forte contrasto tra la luce dell’antegrotta e il buio dell’antro rendeva incerti i miei passi, mentre il guardiano ed il rais procedevano con sicurezza. A poco a poco cominciai ad intravedere figure nere di animali e uomini, assieme a qualche rara immagine dipinta in rosso. Sotto le figure, via via che i miei occhi si adattavano al buio, cominciavo ad distinguere graffiti di cervi e cavalli; si capiva che erano stati tracciati da una mano più sicura di quella che aveva creato le figure nere.

Avrei voluto soffermarmi a guardare quelle immagini così aggraziate, ma il guardiano e il rais camminavano spediti verso il fondo della grotta, e il timore di perdermi in quel mondo buio mi fece affrettare il passo. Quando li raggiunsi, il rais fissava delle immagini visibili nella parte alta della parete, mentre il guardiano teneva il lume ben sollevato.

Mi apparvero strane figure a forma di vaso vicino ad animali e pesci, tra cui riconobbi un tonno e un delfino. Fu davanti alla figura del tonno che il rais cominciò a bisbigliare orazioni; poi si chinò e con una pietra appuntita abbozzò sul suolo umido la sagoma di un grande pesce, colpendola dodici volte con violenza crescente, mentre mormorava nomi di santi. Alla fine cancellò con il piede ciò che era rimasto del suo disegno rudimentale, avviandosi di gran fretta all’uscita della caverna. Quando anche il guardiano ed io riguadagnammo la luce del giorno, nonno Michele stava buttato per terra. Tremava e sembrava come spossato da una fatica immane.

Mentre mi avvicinavo allarmato al rais, il guardiano aveva già spento il lume e si apprestava a slegare la mula per tornare con calma in paese; sembrava fosse abituato a quello strana cerimonia nella grotta.

Mezzora dopo tornammo in barca e puntammo la prua verso la tonnara di Favignana; il mare era colore del piombo e non spirava un alito di vento. Fu all’improvviso, in quell’aria sospesa, che apparve a ponente, verso Marettimo, la sagoma di una tromba marina.

Nuvole nere stavano saldandosi alla superficie del mare, facendo scendere un filo di turbine che stava puntando verso la tonnara, oramai distante da noi non più di un miglio. Il rais mi affidò la barra del timone e diede ordine di accostare in direzione della tromba marina. Mentre il mare cominciava a gonfiarsi, vidi il rais ritto a prua, con in mano il coltello nero pronunciare queste parole:

-Prudenza del Padre, prudenza del Figlio, diligenza di Maria, taglia questa coda di ratto per conto mio!

Un gesto rapido del coltello seguì l’invocazione, tagliando in due la colonna vorticosa di acqua e nube, che ricadde in un mare ribollente. La tonnara era salva.

La sera dormimmo a Favignana e l’indomani all’alba tornammo al nostro lavoro. Raggiunto il palo di San Pietro, posto nel punto di ingresso dei tonni nella grande trappola di reti, il rais si tolse il basco e recitò:

-Un credo o Signuri,

una Salve Regina a Maronna ri Trapani

una Salve Regina a Maronna du Suffragio

una Salve Regina a Maronna ri Fatima

una Salve Regina a Sacru Cori di Jesù

un Credo o Patriarca san Juseppi

un Credo a Sant’Antuninu

Un patre Nostru a San Petru chi prea u Signuri pi nna bunnanti pisca

nna Reca Materna all’armiceddi santi priatori ri nostri morti.

 

I tonnaroti risposero:

-Chi Diu lu facissi!

Il vecchio riprese quindi posto nella sua barca, di nuovo chiuso nel suo silenzio, in attesa del primo branco. Da diversi giorni, in mancanza di tonni, il rais aveva avvolto in una rete la statuetta di S.Antonio e l’aveva legata ad una lenza; poi, come da tradizione, l’aveva buttata in mare con il grido:

-O dentro tu, o dentro i tonni!

Adesso si trattava di attendere e pregare, pregare e attendere; ma per quanto tempo ancora? Quella mattina il rais era stanco, stremato dalla tensione e da un senso di scoramento che si guardò bene dal mostrare alla ciurma. Alle tredici qualcuno annunciò l’ingresso di un numero straordinario di tonni nella camera della morte. Il rais si alzò di scatto, mi guardò con occhi febbricitanti e mi chiese a bassa voce:

-Tira  la lenza. Fai uscire S. Antonio dal mare.

Stava iniziando l’ultima, memorabile pesca di rais Michele.