Perla

Presentazione | Nero | Giallo-rossiccio | Blu-smalto | Perla | Piombo

 

Vecchie Carcasse

Antonino Spadaro

1945

 

Notte di maggio piena di stelle. Un esile falcetto di luna sta per tramontare dietro il cocuzzolo di Pizzo Campana e, a poco a poco, par venga inghiottito dalla montagna. Silenzio per le strade del paesello rischiarato ora dalla luce stellare. Non una persona; solo qualche gatto traversa lento lento la strada principale per andare a finire, chissà, su qualche tetto o in qualche angolo ancor più recondito, in cerca forse di una lisca di pesce o di qualche avventura.

Calma. Dal mare che è lì a pochi passi, subito dietro quella fila di bianche, basse casette giunge, con l'odore delle alghe, il ritmico ansare dell'onde brevi che si trastullano ora con la ghiaietta del lido, ora con gli irti bordi della scogliera.

Nella quiete notturna, uno strider di chiavistello, lo sbatter d'una porticina sgangherata che si spalanca e l'allungarsi sulla strada deserta di un rettangolo di fioca luce rossiccia proveniente da un fumoso lume a petrolio acceso nell'interno della casa, e, nel rettangolo, un'ombra umana, come in uno schermo.

Il vecchio 'zu Paolo s'è levato dal letto per affacciarsi alla porta a scrutare le stelle per osservare che tempo fa.

Perché le stelle parlano ai pescatori; le stelle, più e meglio di qualsiasi barometro, sanno predire ai vecchi pescatori se possono o meno avventurarsi sul mare. E 'zu Paolo le conosce tutte: la Stella di Tramontana la Puddara, il Triale, la Stella del Giorno... e sa che quando esse tremano non annunziano nulla di buono!...I giovani pescatori no, che non sanno leggere nel firmamento; essi leggono la bussola, il barometro.

Il primo gallo, lontano, canta. E' tempo. 'Zu Paolo trae da una tasca mezzo sdrucita la pipa di terracotta - forse sua coetanea- vi infila una

cannuccia di bambù, tutta masticata ad un'estremità; da un borsellino di lana a maglia - già regalo di fidanzamento della sua compagna, da anni scomparsa - cava un mozzicone di sigaro, lo tritura tra le sue palme callose; riempie la pipa calcandovi il tabacco con l'indice; poi da un taschino del cosiddetto panciotto rattoppato con mille pezze -delle quali non si conosce ormai più l'originale - estrae una scatola di zolfanelli. Ne sfrega uno al muro, ma invano; un altro fa appena la scintilla e si spegne, uno ancora e salta via la capocchia... Un grugnito, un accidenti a chi li fabbrica; un quarto, e, finalmente la fiammella è accostata alla rantolante pipa, dalla quale egli trae voluttuose boccate e boccate di fumo

Ora si apparecchia ad uscire. Avvolge ai fianchi stringendola perché tenga su i pantaloni, una lunga fascia di lana azzurrognola, comprata a Sfax, ove ogni anno, durante tutta la giovinezza, si recava alla pesca delle spugne; mette dentro una cesta, mezzo scassata, qualche stroppo, due scalmi, delle funicelle di ampelodesma, da lui stesso intrecciate, per legare, una accanto all'altra, le aragoste che troverà incappate nelle nasse giacenti da due giorni a più di duecento metri di profondità, laggiù, alla secca di Sant'Antonino; spegne con un soffio il lume ed esce, tirandosi dietro la porta che chiude, come meglio può, con una arrugginita chiave senza l'anello.

Alla spiaggia altri due vecchi lo attendono. Scambio di saluti:

- Viva Maria!

- Viva Gesù!

Nient'altro. Come ad un rito.

 

Si rimboccano i calzoni fin sopra il ginocchio. I giovani, no; essi portano gli stivali alti, di gomma.

Spingono in mare la barca, - già fanatico orgoglio di Paolo quando lui alla barra, agile e lieve, la vela latina mollata di scotta, turgida al vento gagliardo di grecale, soleva ogni anno slittare sull'onde africane, - or vecchia carcassa tutta impeciata, con gli staminali malfermi. Vi saltano dentro, come possono, quei tre aiutandosi con le mani e con le ginocchia; infilano gli stroppi, già legati ai remi, negli scalmi, e via: ’zu Paolo di spinta, con due remi, gli altri alla voga...

Arranca, in silenzio, quel cumulo d'anni, - più di due secoli e

mezzo tra uomini e barca... - arranca lento, sì, ma tenace, per giungere sulla lontana secca ove le nasse attendono d'esser tirate e vuotate della agognata preda.

Appena giunti, salpano gli ormeggi, tiran su le nasse che vengono svuotate dei crostacei, innescate ancora e riaffondate, per la prossima volta.

Quindi, stanchi, trafelati ma soddisfatti, i tre, taciturni, ritornano col prezioso carico, delizia di ricche, laute mense.

Ciascuno, nella propria stamberga, siede ora su una rozza panca per riposare e sgranocchiare un tozzo di pane scuro e raffermo accompagnato, quando c'è, da una cipolla o da un bicchiere di vino.

Le piccole stelle lontane già sono sparite; occhieggia ancora qualcuna vicina, ma con luce sempre più scialba. L'oriente comincia a sbiancare.

Il mare è nitidissimo specchio con diffusi riflessi di perla.