IL PENTITO HA PARLATO – “IL CASO D’URSO”

di Maurizio Bolognetti
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Quando un Pm antimafia decide di debellare il “male”, può succedere che il pentito diventi la spada fiammeggiante da brandire contro i cattivi. E allora a cosa servono i riscontri oggettivi, è sufficiente la parola: una parola ispirata e il rapporto di fiducia che si instaura tra inquirente e collaboratore di giustizia.

Il pentito parla e il Pm gli crede, e non esita, sulla scorta di quelle dichiarazioni, a perseguire, inseguire, braccare un uomo. A privarlo del lavoro, degli affetti, della libertà.

Basta la parola!!! Basta una parola e sei finito. Il pentito ha parlato, il Pm gli ha creduto e al diavolo la necessità, l’obbligo di trovare riscontri a quelle parole.

Per debellare il “male” non possiamo certo stare a rispettare le più elementari regole dello stato di diritto.

Cosa vale la vita di un uomo di fronte alla missione quasi divina di un professionista dell’antimafia?

Ho parlato qualche ora fa con Gianfranco D’Urso, commerciante di Padula(provincia di Salerno), protagonista suo malgrado di una vicenda giudiziaria allucinante. Gianfranco vuole dimenticare. “Voglio tornare alla normalità”, mi ha detto.

Comprendo, posso capirlo, ma intanto la normalità in questo Paese è fatta anche di vicende come “Il Caso D’Urso”, una storia d’ordinaria ingiustizia nel Paese del “Pentito dire”.

Rileggendo l’articolo pubblicato dal Il Mattino e ripensando alla conversazione con Gianfranco non posso fare a meno di pensare che siamo e restiamo tutti cittadini in libertà provvisoria.

Un giorno la roulette della giustizia dell’antimafia potrebbe fermarsi e chiamare il nostro numero: il pentito ha parlato e le sbarre del carcere potrebbero chiudersi dietro le nostre spalle.

E allora potremmo renderci conto che la “normalità” in questo Paese è anche questo.

8 febbraio 2004
 
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