PIERLUIGI MORESSA

presenta

la nuova 

Guida storico-artistica di Forlì e del suo comprensorio

edizione ampliata 

Pier Luigi Moressa ha aperto la conversazione con alcuni cenni autobiografici ed invitando tutti i presenti a partecipare alla presentazione con interventi e domande; è poi passato ad interrogarsi sul perché si scrive una guida della propria città. La risposta può trovarsi nei versi virgiliani dell'Eneide "anticam exquirite matrem - ricercate l'antica madre", quella detta
dall'oracolo di Apollo a Delo ad Enea, che lascia Troia e deve cercare l'antica madre dei Troiani; la troverà nel Lazio ove fonderà tra le altre città, Gaeta, e darà origine alla stirpe romana. ecco che allora, ai nostri giorni, dove la Cultura si dice che è omologata, si perdono i dialetti, il senso delle cose, scrivere una guida è cercare l'antica madre, consegnare a delle pagine scritte qualcosa che non deve perdersi. Andare a cercare in maniera filologica le radici dei nomi, i significati delle fondazioni, delle antiche strade. Moressa, nello scrivere la guida, si è immaginato un percorso emotivo, affettivo, andando ad interrogare le antiche pietre, "saxa loquuntur- le pietre raccontano" dicevano i latini. Se si indaga su Forlì, si scoprono pagine della storia; l'aquila e il capricorno, quest'ultimo il segno zodiacale della città, della provincia romagnola, un segno molto testardo, come spesso sono testardi i forlivesi, mentre l'aquila è il simbolo del nostro comune, ad esso donata da Federico II di Svevia per il sostegno ricevuto dal 1241 in poi nella lotta contro i guelfi di Faenza. I forlivesi inflissero sette mesi di assedio ai faentini, sino alla loro capitolazione, ecco perché Forlì fu prediletta all'imperatore che le concesse di coniare moneta, le consegnò la nera aquila sveva come stemma e la promosse a piccola capitale delle sue terre, non prevedendo che dopo pochi anni il papa, di ritorno da Avignone, sarebbe tornato a chiedere conto del potere sulla Romagna e sulla città. Tutte le volte che Forlì è stata investita di onori e poteri, diventando, in un qualche modo, una capitale, questo purtroppo è  durato poco, forse è scritto nelle stelle, forse colpa del segno zodiacale ? Moressa suppone che possa essere sempre mancato alla città, uno stile, una figura che potesse liberarla da quell'aria di provincia, che è un pregio e, insieme, un difetto. Forlì finisce sempre per essere una città gregaria, e non è riuscita a mantenere neppure la sua sigla sulle targhe degli automezzi. Forlì fu quindi, seppur per tempi molto brevi, più volte capitale: abbiamo visto sotto Federico II di Svevia, XIII secolo, viene rivestita di onori, il Senato forlivese è più forte e rispettato di quello di Bologna "delibera in vesti di porpora ornate di ermellino"; segue quindi un lungo periodo di dominazione papale, interrotta dal "sanguinoso mucchio" del 1282, ma l'indipendenza dei forlivesi dura solo un anno, nel 1283 Guido di Monforte ritorna ed in nome del papa abbatte le mura e sottopone Forlì ad un gravosissimo dominio.  Caterina Sforza pensa poi di potere unire Forlì a Imola, con Girolamo Riario, ai possedimenti ferraresi. Le terre di Ferrara fanno gola a papa Sisto IV, e sembra si possa costituire un grande stato che da Ferrara scende sino a Forlì, contrastando Venezia, stringendo alleanze con i fiorentini. La manovra non riesce, Girolamo Riario non piace per la sua politica troppo debole; Caterina Sforza poi tenterà con un matrimonio, un'alleanza con Firenze, ma ormai è troppo tardi, Cesare Borgia sta scendendo dalla Francia con i suoi soldati ed il sigillo di questa storia è impresso nelle mura della rocca di Ravaldino, con le armi le armi del Valentino ed i gigli di Francia. Napoleone fa Forlì capoluogo del Dipartimento del Rubicone,  anche questo un dominio che dura poco, segue il passaggio a Ravenna, ben più potente. Infine con Benito Mussolini, Forlì riceve una incredibile addizione edilizia, tra il 1925 ed il 1941, si comincia dalla nuova Stazione ferroviaria, il viale "Benito Mussolini", poi "XXVIII Ottobre", oggi "della Libertà", la cittadella degli Istituti di Istruzione, Scuola elementare, Istituto tecnico, Casa del Balilla, Stadio, Piscina, Collegio aeronautico, Stazione agraria; un intero quartiere che porta a Forlì il nuovo linguaggio architettonico. La Stazione dell'eclettismo, il Collegio aeronautico e la Casa del Balilla del razionalismo. Per il Monumento ai caduti vengono chiamati gli artisti più in vista del tempo, Cesare Bazzani che progetta la strutture, Bernardino Boifava e Bernardo Morescalchi che realizzano i bassorilievi e le sculture. Quest'ultimi avevano lavorato pochi anni prima avevano lavorato assieme per lo Stadio dei marmi. Boifava aveva realizzato la statua in marmo che rappresenta la provincia di Forlì, "il Pilibulus - il giocatore di pallone a bracciale", mentre il carrarese Morescalchi aveva scolpito "il calciatore" per la provincia di Ravenna e "l'Arciere" per la provincia di Catanzaro. Boifava avrebbe poi avuto lo studio a Forlì, nei pressi del Ricovero, in via Fausto Andrelini. Boifava realizzò altre numerose opere per chiese ed il Cimitero monumentale della città. Moressa ha poi illustrato che per Forlì era stato scelto "il giocatore di pallone a bracciale" per la popolarità che tale gioco vantava in città e non solo. Tale gioco si svolgeva appunto in quello spazio, ancora oggi chiamato piazzale "sferisterio" adiacente a via Mura di Porta Cotogni. Il nostro era uno dei campi più famosi in Italia, tanto che fu posta sul, luogo una lapide, ora dispersa, che ricordava il record italiano di lancio in altezza della palla raggiunto nel luglio del 1823 dal giocatore di nome Carlo Didimi, originario di Treia. A tale personaggio Leopardi dedicò l'ode "A un vincitore nel pallone". I monumenti del razionalismo, allora, non ancora inseriti in un contesto urbano, come una sorta di cattedrali nel deserto, dovevano sorprendere, stupire, lasciare a bocca aperta i contadini, i viandanti che qui giungevano. Un fine che si poneva il governo fascista era pure quello di "ammonire con la monumentalità degli edifici", mostrare una Roma reviva, "...tornata Roma a proclamare l'impero sui fatali colli...". Forlì ricevette, più di altre città, questa impronta; non come le città di fondazione. Forlì aveva già il suo anello trecentesco di mura, poi abbattuto agli inizi del Novecento, ma riceverà questa impronta indelebile che poi si propagherà pure alla più antica piazza con le Poste, per cui saranno sacrificati interi isolati, case antiche, importanti, come la dimora di Girolamo Mercuriali, il Palazzo degli uffici statali, sorto dove si trovava la casa di Nuffo Lumai. Il Fascismo voleva svecchiare, abbattere, distruggere, come a Roma dove la via della Conciliazione è uno sventramento che produce una prospettiva su Piazza San Pietro, privando però per sempre il viaggiatore che percorresse gli stretti vicoli di Borgo Pio, dell'incanto,  dell' emozione  di ritrovarsi all'improvviso davanti alla maestà di San Pietro. Intenzione di Mussolini era quella di riportare Roma agli antichi fasti entro il 1975, ovviamente non c'è riuscito; così pure Forlì, con la caduta del regime, patì per la fama di piccola Roma e per essere stata la capitale estiva del regime. La conseguenza fu una trascuratezza voluta, Forlì si accontenterà di essere una sana città di provincia, con una sua storia, con riverenza, ma non con soggezione verso realtà più grandi, contenta che ogni tanto qualche tratto di storia si posi ancora sulle sue contrade. Il tempo è trascorso, punteggiato da eventi più o meno positivi, lo stesso Hotel della Città con le su finestre esagonali ricorda il progetto di Gio Ponti, del 1957, quando fu chiamato da un forlivese illustre, l'editore Aldo Garzanti che in questo spazio, sottratto agli orti del tenore Angelo Masini, volle realizzare un pensionato per gli artisti in pensione, sostenuto, finanziato dalla gestione dell'annesso albergo. Vicino infatti all'Hotel è ancora il palazzo che fu del tenore, e dove questi morì; forse le cariatidi che ne decorano la facciata vogliono ricordare i fondali dei teatri principali in cui Masini aveva cantato. Una memoria di qualcosa che è passata per Forlì, che raccoglie echi da fuori, se ne lascia attraversare, poi continua la sua vita, con quella  indifferenza provinciale che poi è la sua ricchezza, garanzia di solidità. Il forlivese pensa a lavorare, a guadagnare, a costruire; Forlì è l'unica città d'Italia in cui non esiste una Cassa di Risparmi, ma una Cassa dei Risparmi, i risparmi sono " i baióch", li si accolgono e si conservano i risparmi di tutti, una iper concretezza, un fatto mentale, una concretezza. Chi viene da fuori, qui, può avere gloria e successo, per un pò di tempo, poi passa, tutto se ne va; le mode passano e la forlivesità è mantenere una struttura di carattere per cui non si può essere capitale, u i è tròp da
immatĭ !!!  

Marino Monti ha poi proposto al relatore questa considerazione "... Forlì a sì perso i suoi valori, perchè allora, in apertura ad una sua guida ha scritto Forlì è Forlì , al che Moressa ha risposto che nell'Ottocento, tra gli europei colti c'era la moda di viaggiare l'Europa, era il Gran Tour, si visitava Venezia, Firenze, Roma, Napoli, qualcuno si spingeva sino a Palermo. Tra i tanti, anche Sigmund Freud fece numerosi viaggia in Italia, nel 1896 visitò Padova, Venezia, Bologna, Ravenna, Faenza e Firenze, Proprio Ravenna lasciò un'emozione fortissima nel viaggiatore, che Freud citò nel suo libro del 1899 "L'interpretazione dei sogni" .... Negli

acquitrini intorno a Ravenna, ho colto nell'acqua nera le più

belle ninfee... Se qualcuno capitava per errore in treno a Forlì, rimaneva folgorato,  un viaggiatore francese dell'Ottocento, Gaston de Marrice (?) scese a Forlì e disse poi che un posto così bello non se lo sarebbe aspettato, non che  non lo avesse mai visto, non c'era niente di più che altrove, ma c'era una combinazione di cose così composte bene. gente simpatica, case ordinate, il verde nella città, le colline, le coltivazioni, la gente cordiale, il turista rimane folgorato da tutto ciò. Moressa ha quindi ricordato lo scultore Del Zozzo, pure lui marchigiano, che, vinto un posto di ruolo come insegnante di disegno, venne a Forlì da Porto San Giorgio, dove era nato. Anche Del Zozzo ricordava come... qui la gente non è come nelle Marche, qui si da un pò di arie, non mi parla nessuno, io li guardo, loro mi guardano... c'è un contatto poco gradevole, Forlì è una specie di città che va conquistata, e ciò non è immediato. Del Zozzo però è conquistato da Forlì a tal punto che ne scrive pagine indimenticabili. ...C'è una cosa a Forlì di particolare - scrive - lo dico io che vengo da fuori, la luce, c'è la straordinaria luce del tramonto, roba da oltr'alpe... Forlì può quindi essere capitale delle piccole cose, dei piccoli valori. Come diceva Missirini, Forlì è una città che non ha delle perle, molte di quelle che aveva sono andate perdute durante gli eventi bellici, una per tutte la Cappella Feo. Il valore di questa città sta nella omogeneità, Forlì ha un contesto medio, omogeneo che la rende speciale. 

Monti ha poi proseguito, domandando a Sauro Rocchi, che ha illustrato la Guida, se, come Moressa, è stato abbagliato dal fascino del territorio forlivese, e quale filo conduttore abbia legato il suo lavoro di grafico all'autore della Guida.

Sauro Rocchi ha ricordato che questo è il diciottesimo volume nel quale egli si è impegnato; i primi quindici li ha realizzati in collaborazione con amici, il compianto Elio Santarelli, Sanzio Zoli, Flavia Bugani ed altri. Ha conosciuto il dottor Moressa attraverso l'editore Foschi con il quale pubblicò, prendendo spunto da quella a suo tempo realizzata dal compianto Giuliano Missirini,  la Guida "Vedere Forlì" da lui illustrata con integrazioni proprio di Moressa. Da ciò è nata la collaborazione tra Rocchi e Moressa con la prima edizione di una Guida illustrata dal primo e scritta tutta dal secondo e la successiva edizione ampliata della stessa.  

Insieme hanno fatto pure due edizioni della Guida di Ravenna, quella di Cesena e è in uscita quella di Cervia e Milano marittima.

Moressa, riprendendo la conversazione, ha ricordato come l'architettura razionalista, per essere stata legata ad un periodo storico deprecabile, sia stata a torto trascurata e solo oro sia rivalutata; egli si auspica che ciò avvenga per il valore storico, perchè le strutture di quel periodo hanno una loro cifra stilistica ricorrente, la freddezza: Al contrario, non era freddi gli edifici dell'antica Roma, al contrario, mentre quelli del periodo fascista sono freddi e generano quello stesso senso di straniamento che la politica fascista aveva generato con l'eccessivo rigore e disciplina militarista, quella che poi ci ha portato al disastro che fu la seconda guerra mondiale.

A questo punto si è inserito e' segreteri con una benevola provocazione rivolta a Moressa, citando i quattro bassorilievi realizzati da Bernardino Boifava per il  monumento ai Caduti di piazzale della Vittoria. Secondo Lucchi essi, specie alla luce del tramonto, mostrano una plasticità, una morbidezza, una tenerezza, una dolcezza estrema che si distinguono decisamente dalla freddezza tipica delle opere razionaliste in genere. Analizzando la Guida di Forlì, ha trovato pure molto bello come, dopo aver illustrato con estrema attenzione le date salienti che hanno costellato la nascita e lo sviluppo della città e del comprensorio, averne quindi descritto la sua collocazione, a volo d'uccello, tra i due fiumi che l'abbracciano, abbia quasi voluto accogliere il viaggiatore, sceso alla stazione, avviarlo alla visita della città accompagnandolo lungo il viale della stazione.

Moressa ha quindi risposto a Lucchi commentando il Monumento ai Caduti, i bassorilievi di Boifava sono in effetti gli elementi più belli, l' "Attacco, la Difesa, il Sacrificio ed il Trionfo" atti umanissimi dell'umana vicenda che si oppongono ai grevi  mascheroni, alla cella mortuaria, un sepolcro gravosissimo, un immagine di morte, poco lontani alla statua di Icaro, lo sfortunato eroe del volo. Intitolare un Collegio aereonautico alla protezione di Icaro che era caduto volando sembrò di cattivo auspicio, ma nessuno ci pensò, forse perchè il Fascismo voleva rappresentare la rivincita di Icaro, e quindi una sfida che però non riuscì. Mussolini lo intitolò nell'ottobre del 1941 a Bruno, suo figlio, caduto pochi mesi prima nei cieli di Pisa in un incidente di volo. C'è sempre sempre questo rimando alla morte nella liturgia fascista, il colore nero, teschi, gagliardetti di un certo tipo, la bellezza del morire, me ne frego di morire, che costituisce in realtà una intrinseca debolezza dello stile del regime, che proclamava l'enfasi muscolare ma in realtà non era innervata da una necessaria vitalità. Sono quindi seguite numerose domande da parte dei presenti, alle quali Moressa ha risposto con la puntualità e l'amabilità che lo contraddistinguono.

 

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