Il 21 marzo 1511 veniva decretata la fondazione del Monte di Pietà e la costruzione del monumentale edificio. infatti, nell'aprile del 1514, sull' area del "guasto degli Orsi", furono poste le fondamenta del nuovo palazzo, per il quale vennero poi donati, il 12 aprile 1535, da Pauluccio dei Paulucci, ben cinquantamila mattoni bollati con la sigla del Sacro monte di Pietà.

L' istituzione di un Monte di Pietà era già stata proposta verso la fine del 1487 dal senese Giovanni Novello, venuto a predicare a Forlì; il signore di Forlì, Girolamo Riario, aveva sostenuto la proposta al  Consiglio della Comunità, proponendo un suo finanziamento, ma questa fu rifiutata. L' anno seguente, nel 1488, veniva saccheggiato e demolito il palazzo della famiglia Orsi per la parte da questi avuta nell' uccisione dal Riario, e il luogo dov'era ubicato il palazzo venne poi indicato come "guasto" e adibito ad usi diversi. Il ricordo delle distrutte case degli Orsi si trova ancora il 29 maggio 1497. Il Monte di Pieta’ fu fondato a Forlì il 21 marzo 1511, a seguito di predicazioni del frate francescano Orfeo da Bologna, la sua attività iniziò il 2 maggio del 1512 in alcuni locali al piano terra di un fabbricato posto sempre in corso Garibaldi dove ora si trova l’Hotel Masini. Nel 1514 il Comune, visto l’andamento favorevole del Monte, pensò di erigergli una sede degna, utilizzando lo spazio di fronte, sulle rovine dell’antico Palazzo degli Orsi dove poi è rimasto fino al 1998. La nuova costruzione non ricalcò i volumi e caratteristiche del precedente se non in minima parte rispetto alla pianta originaria. La ricerca archeologica in corso ha, infatti, evidenziato che la pianta del nuovo edificio messa a confronto con quella del Palazzo degli Orsi fu arretrata dal fronte stradale occupando una parte della corte interna del fabbricato precedente. Nell’aprile del 1514 furono gettate le fondazioni del nuovo edificio, probabilmente su progetto dell’urbinate Girolamo Genga (1472/1551, pittore e architetto molto attivo a Forlì, dove tra l’altro nel 1518 affrescò la cappella Lombardini nella distrutta Chiesa di San Francesco Grande); cronisti cittadini attribuiscono tale progettazione nientemeno che a Michelangelo o al Bramante. I rilievi archeologici in corso fanno supporre che l’edificio, progettato e costruito a un solo piano, articolato in una pianta più limitata della successiva ampliata su via Giorgina Saffi, fu subito collegato ad un corpo laterale esistente su via Guasto degli Orsi, demolito successivamente per dar spazio alla costruzione della Chiesa di San Filippo. Due gli accessi pensati per l’edificio in corso Garibaldi, poi demoliti durante la sistemazione della facciata nel 1931. Le strutture orizzontali si caratterizzavano per i solai a volta in laterizio sui piccoli ambienti sul fronte, per la struttura di legno sui solai del retro e nella copertura. Non si hanno indicazioni su cosa possa essere successo esattamente nell’area oggetto di indagine tra il 1488, anno della demolizione del Palazzo degli Orsi, e il 1514, anno della nuova costruzione. Dagli scavi archeologici sono emersi solo i resti di alcuni modesti manufatti; la mancanza di ruderi e/o di rovine riguardanti le strutture murarie e le finiture dell’originario edificio ci inducono a ritenere, come già menzionato precedentemente, che in quegli anni fu effettuata la completa spogliazione del Palazzo degli Orsi, addirittura si ritiene che il sito possa essere stato usato, anche per la qualità dei materiali, come cava per la costruzione di altri Palazzi forlivesi. La costruzione ebbe poi fasi successive: il 12 aprile del 1535 Pauluccio dei Paulucci donava alla fabbrica ben cinquantamila mattoni bollati con la sigla del Sacro Monte di Pietà. Nel 1608 si procedette all’ampliamento del piano terra con la costruzione degli splendidi soffitti a volta, la sopraelevazione del primo piano con ampi saloni adibiti a magazzino, la creazione della scala di collegamento al nuovo piano e la sistemazione dell’accesso principale. Nel 1624 per la necessità di utilizzare anche il primo piano si sopraelevò nuovamente, per creare il magazzino nel sottotetto. I lavori proseguirono poi con opere di finitura ed adeguamento fino al 1646. Fu eseguito anche lo splendido cornicione di ordine corinzio in legno di pioppo dipinto, opera del forlivese Andrea Meschini e l’affresco posto nell’ingresso al piano terra. Nel 1781 il Palazzo subì parecchi danni a seguito dei terremoti del 4 aprile e del 17 luglio, vennero perciò eseguiti dei lavori di ripristino che furono ultimati nel 1793. A testimonianza è ancora conservata una targa nella parte alta del prospetto su via Giorgina Saffi con la scrittura: “TECTUM / RENOVATUM / ANNO / 1793 / MELCH. / COM. GADDI / PRIORE”. Nel marzo 1797 le truppe napoleoniche spogliarono l’edificio di tutti gli oggetti preziosi e di una parte del ricco archivio con i progetti originali del Palazzo. L’11 agosto 1839 nelle sue sale fu fondata e aperta la Cassa Forlivese di Risparmio. Nel 1866 fu abbassata di circa 50 cm la quota del pavimento del piano terra con conseguente eliminazione di un rialzo di terra sul fronte e di due gradini che servivano per accedere all’ingresso; al posto del terrapieno fu costruito l’attuale marciapiede in lastre di pietra veronese e invece lasciati come in origine i dieci fittoni in sasso istriano con la dicitura “Monte Pietà”. L’11 settembre 1891 con Circolare n° 1028 il palazzo fu dichiarato “Edificio Monumentale” e quindi soggetto al controllo delle preposte Soprintendenze. Nel 1896 furono eseguiti alcuni lavori di sistemazione e l’apertura di un finestrone sul prospetto est. Attorno alla metà degli anni venti furono consegnati alla pinacoteca comunale pregevoli dipinti di scuola forlivese ed antichi mobili artistici appartenenti all’edificio del Monte di Pietà tra cui la tradizionale Tribuna (1746) che era collocata nella sala delle vendite con appeso un quadro raffigurante la Madonna col Bambino in grembo della scuola di Carlo Cignani. Nel 1931 si rilevò un estremo stato di degrado sia all’esterno sia all’interno dell’edificio causato soprattutto dall’abbandono in cui era stato lasciato; internamente molti vani risultavano inutilizzabili, esternamente particolarmente deteriorati erano i prospetti su via Giorgina Saffi e corso Garibaldi con gli ornati in pietra arenaria (cornici, capitelli, ecc..) visibilmente alterati da fenomeni di diffusa erosione. L’esigenza di creare nuovi spazi per collocare i negozi provenienti dalle demolizioni degli edifici per la costruzione del nuovo Palazzo delle Poste in piazza Saffi, portò a convincere le autorità cittadine che si poteva trovare una collocazione a tali attività sul fronte del piano terreno del Palazzo del Monte di Pietà, inoltre gli affitti che la Congregazione avrebbe ricavato potevano compensare le spese dei lavori di ristrutturazione. I ripetuti solleciti da parte del Comune di Forli’ alla Congregazione di Carità, allora amministratrice del Monte di Pietà, erano mirati ad una generale ristrutturazione del Palazzo ed in modo particolare alle facciate. Furono eseguiti importanti lavori di trasformazione e ristrutturazione del fabbricato. I lavori ebbero inizio alacremente nel gennaio del 1931 senza autorizzazione della Soprintendenza e nonostante il Soprintendente il 18 febbraio 1931 ne avesse ingiunto la sospensione e fossero state disattese le indicazioni ministeriali trasmesse dal Soprintendente di Bologna il 23 febbraio che consentivano le aperture per le vetrine dei negozi solo in arcate alterne provvedendo nelle altre a una sola apertura ad uso porta a sagoma rettangolare con piattabande e stipiti in mattoni con inserita nella calotta dell’arco una finestrella quadrata. Si proseguì con il progetto originario della facciata predisposto dalla Congregazione e all’esecuzione degli altri lavori consistenti in: - apertura delle otto nuove arcate con inserimento di vetrine per trasformare i relativi vani interni in negozi nel fronte principale; incorniciatura di tutte le finestre del primo piano con una fascia di intonaco; inserimento nelle murature dei pluviali e di capichiavi dei tiranti posti a livello del sottotetto (originariamente esterni); sostituzione di molti ornati in arenaria con altri di analogo disegno; innalzamento del portone di legno posto nell’arcata centrale con modifica dello stesso nella parte bassa; - ristrutturazione completa del prospetto est su via Giorgina Saffi con rifacimento di quasi tutta la muratura in mattoni e l’apertura di due finestroni, ad arco a tutto sesto, centrali al primo piano; apertura al piano terra di due portoni anch’essi ad arco e di due finestre con bancali modenati in arenaria; - lavori interni necessari sia per lo stato di degrado dei locali sia per la nuova esigenza di collocare al primo piano gli uffici centrali della Congregazione, spostando i magazzini del Monte di Pietà dal primo al piano terreno, nei saloni dietro ai negozi. Al piano terra i lavori riguardarono principalmente la demolizione e la ricostruzione di tramezzi e la chiusura delle porte di collegamento ai negozi, oltre al rifacimento di tutte le pavimentazioni con nuove in gres con relativi sottofondi e stato drenante in ghiaia; - al primo piano furono demolite tutte le precedenti tramezzature, tra cui quelle dello splendido salone su via Giorgina Saffi, furono create le separazioni delle altre sale a formare nuovi uffici disimpegnati da un corridoio centrale coperto da una volta a botte in arelle intonacate ed illuminato da un finestrone aperto sul prospetto ovest; - vari solai di legno furono demoliti e ricostruiti o ristrutturati riutilizzando i disegni originali ed in gran parte lo stesso legno fu pulito con piallatura, sulle quattro facce, diminuendone così la sezione e conseguentemente la portata. Furono rifatti tutte le pavimentazioni in piastrelle gres e dei gradini della scala in splendide lastre sagomate di graniglia con toro, eseguite da artigiani forlivesi e i sottofondi: interessante è quello del salone principale dove probabilmente per mantenerne la planarità sono stati posti degli elementi lignei a formare una specie di controsolaio sopra al riempimento delle volte. Sono state inoltre inserite delle decorazioni lungo il nuovo corridoio e probabilmente anche riposizionate le testine dei peducci sotto le unghie delle volte; - completarono i lavori le decorazioni pittoriche delle due sale principali, le opere di sistemazione di parte del manto di copertura, oltre ad altri interventi di rinforzo delle travi, della copertura e ddi altri infissi. Terminati i lavori l’inaugurazione ebbe luogo il 28 ottobre 1931, il costo totale comprensivo di arredi sommò a Lire 257.010,90. Rimase inalterato solo il secondo piano con la relativa scala di accesso dove sono rimasti gli ultimi elementi originari dopo quest’ultima ristrutturazione. Durante la seconda guerra mondiale l’edificio subì svariati danni di seguito riparati senza però apportare modifiche né alle strutture né alla disposizione degli arredi. Il 21 febbraio 1948 con Decreto del Presidente della Repubblica ed il 20 marzo del 1948 con Decreto del Ministro del Tesoro la Cassa dei Risparmi di Forlì ha incorporato il Monte di Pietà su Pegno di Forlì acquisendo così la proprietà dell’immobile fino al 1999, quando è stato venduto alla Fondazione della Cassa dei Risparmi di Forlì. Nel 1950 i due piani superiori furono affittati all’A.C.I. che vi rimase fino al 1994. Sempre in quegli anni furono eseguiti lavori di ristrutturazione al piano terra con sistemazione della sala al pubblico con accesso su via Giorgina Saffi, la costruzione di un caveau in cemento armato, con parziale chiusura dell’androne principale, la costruzione di soppalchi in alcuni negozi per sopperire alle sempre maggiori esigenze di spazio nate dalle nuove caratteristiche di vendita ed una nuova sistemazione ed ampliamento di tutti gli impianti elettrici e termoidraulici. Non si rilevano notizie sulle pavimentazioni originarie del piano terra e del primo piano che furono completamente asportate per il loro rifacimento. Buoni risultati sono stati ottenuti dalle prove e dalle campagne di saggi sugli intonaci, sulle parti di legno, sui decori di gesso e in arenaria, sulle murature in mattoni e sulle tinteggiature, dove si è riusciti a far emergere i cromatismi ed i materiali originari. L’edificio, articolato su tre livelli, contiene al piano terra negozi e l’ex sede del Monte di Pietà, al primo piano uffici. Il secondo piano è costituito da sottotetti che erano utilizzati come magazzini. Non risulta, nemmeno dai saggi archeologici effettuati recentemente, un piano cantinativo. E’ certamente un’anomalia nel panorama dei Palazzi storici cittadini, anche se memorie storiche ricordano di passaggi e cunicoli con accesso su via Tavani Arquati, dove ci si andava a rifugiare durante la guerra. Nel saggio archeologico sull’androne principale si è trovata traccia di questi cunucoli che sono stati probabilmente chiusi durante i lavori di sistemazione dei danni dopo la guerra o durante i lavori di adattamento del 1950. Per un maggiore approfondimento sarebbero necessari degli scavi più estesi. La pianta, di forma trapezoidale, affaccia i due lati lunghi, tra loro paralleli, su Corso Garibaldi e su via Guasto degli Orsi, un lato corto ortogonale ai primi su via Tavani Arquati, l’altro lato corto su via Giorgina Saffi è leggermente inclinato e non ortogonale agli altri, probabilmente per risultare parallelo all’edificio allora di fronte o per riprendere le fondazioni di una precedente costruzione, il posizionamento su apparati fondali precedenti è per il momento rilevabile solo per uno dei muri centrali trasversali portanti. Le strutture portanti verticali sono tutte in muratura in mattoni in parte piene per quanto riguarda le murature esterne, in parte a sacco con all’interno frammenti di mattoni o sasso legati da calce di scarsa consistenza. Sono disposte secondo una chiara impostazione di tipo geometrico; esse si basano sulla reiterazione in senso longitudinale di nove moduli base costituiti da rettangoli allungati tagliati al piano terra da un elemento trasversale, fa eccezione solo il modulo centrale che funge da androne. Al piano terra tutti i locali sono coperti da volte portanti in mattoni, in particolare: a botte per gli otto piccoli locali sul fronte, a botte unghiata per l’androne, a padiglione unghiato (tipiche dell’architettura rinascimentale) per le tre grandi sale su via Guasto degli Orsi, con testate a padiglione e parte centrale a crociera, a contornare l’affresco attribuito al Francesco Menzocchi e per la saletta adiacente (vecchio atrio di accesso al Monte). Al primo piano il modulo centrale contenente lo scalone ne sviluppa altri due simili ai lati tutti coperti da volte a botte unghiate, una delle quali presenta sui lati corti due pregevoli terminazioni “ad ombrello”. Gli altri locali sono tutti coperti da solai lignei a cassettoni ampiamente restaurati e modificati nel 1931. Al secondo piano sottotetto è ben visibile la struttura di copertura con orditura principale costituita in travi lignee di grandi dimensioni disposte parallelamente ai prospetti principali, secondaria in travicelli che sostengono il sottomanto in tavelle e il manto in coppi. La copertura è a due falde con colmo parallelo ai due prospetti lunghi e con timpani sugli altri due; è presente a cavallo del colmo un piccolo campanile a vela senza campana. Le volte a botte o a padiglione unghiate del piano terra e del primo piano presentano quasi tutte peducci in stucco di pregevole fattura, uguali tra loro in ogni locale, databili al sedicesimo secolo, sicuramente quelli più interessanti sono quelli della volta a botte unghiata dell’atrio raffiguranti delle testine e quelli della volta con terminazione ad ombrello del primo piano raffiguranti dei puttini alati. Gli elementi plastici di maggior rilievo sono i quattro capitelli posti nel corridoio al primo piano nei quali è presente al centro lo stemma degli Ordelaffi. Poiché questa famiglia si estinse nel 1504 e la costruzione del palazzo cominciò solo nel 1514 per proseguire per oltre un secolo, si ritiene che questi capitelli siano di recupero, provenienti forse dalla “Caxa Granda”, l’antico palazzo della casata Ordelaffi, anch’esso distrutto nel 1488 insieme al Palazzo Orsi. Tuttavia non è nota la collocazione originaria di questi capitelli all’interno del palazzo, perché il corridoio nel quale attualmente sono posti è stato realizzato solo nel 1931. I saggi però hanno accertato una sostanziale analogia nelle tecniche e nei materiali con gli altri peducci presenti nel palazzo. Le decorazioni pittoriche attualmente presenti al primo piano sono tutte risalenti agli anni trenta in particolare le pareti della grande sala presentano un motivo a tendaggi sopra al quale corre una fascia con gli stemmi delle principali famiglie forlivesi. La sala riunioni all’estremità opposta del palazzo è decorata con pesanti stampigliature rappresentanti leoni rampanti; i soffitti a cassettoni sono tutti riquadrati da una fascia di ornato sulla parte terminale delle pareti. Più antichi e sicuramente interessanti sono gli affreschi conservati al piano terra: a seguire quelli nella saletta, l’antico corridoio di accesso agli uffici, una pittura attribuita a Francesco Menzocchi e databile agli inizi del 1700 raffigurante una pietà con i Santi Mercuriale e Valeriano e gli Arcangeli Michele e Gabriele, con sotto la scritta “Mortales immortales inspicite pietatis opus” e quelli all’interno di un negozio, ufficio dell’amministratore delegato o Cappella del Palazzo secondo altri, di stile settecentesco con ornamenti e figure in chiaro scuro tra cui i quattro Evangelisti, Mosè recante le tavole del Sinai e il sacrificio di Abramo. Nell’atrio d’ingresso è inserito nelle murature un bassorilievo policromo raffigurante un “Ecce-homo” inserito in un’edicola a timpano degli anni trenta, al di sopra è collocata la tavola a pittura monocromatica attribuita al Bibbiena probabilmente originariamente collocata all’esterno sulla lunghezza del portone centrale, rappresenta il Cristo morto tra le braccia e le ginocchia di Maria, da un lato San Valeriano recante Forlì in mano e dall’altro San Francesco D’Assisi. Un’altra edicola a timpano, probabilmente cinquecentesca, è collocata in uno dei saloni sul retro sempre al piano terra. La facciata principale, in corso Garibaldi, è caratterizzata da un assetto monumentale, presenta nell’ordine inferiore nove arcate cieche a tutto sesto, con ghiere in cotto, volute in chiave e capitelli all’imposta in pietra d’Istria. Le arcate sono scandite da dieci lesene, con basi anch’esse in pietra d’Istria e capitelli di ordine ionico in arenaria. Questi capitelli, in parte sostituiti nei restauri del 1931, sono realizzati secondo tre varianti, diverse nel numero e disimmetricamente distribuite nella facciata. All’interno di otto delle nove arcate, negli stessi restauri del 1931, furono aperte quelle che contengono le vetrine dei negozi. Esse erano originariamente tutte uguali e sormontate da un’inferriata a maglia quadrata con un motivo decorativo al centro. Le porzioni di muratura che delimitano le vetrine furono rifatte nel 1931 e visibilmente si discostano da quelle cinquecentesche, sia per la non corrispondenza dei corsi di mattoni, sia per le stuccature, realizzate con cemento invece che con calce. Su un mattone posto lateralmente alla terza vetrina da sinistra è incisa la data 19.3.1931. Al di sopra della trabeazione in pietra arenaria, largamente rifatta nei restauri del 1931, si dispone il secondo ordine, costituito da semplici finestre rettangolari, separate da lesene con capitelli corinzi. Anche quest’ultimi, in pietra arenaria, sono in parte quelli originali. Le finestre presentano una semplice incorniciatura costituita da una fascia di intonaco, aggiunta nel 1931, e sono dotate di pesanti inferriate, dovute al fatto che all’interno del palazzo erano custoditi i preziosi dati in pegno. La facciata si conclude superiormente con il coronamento, realizzato nella prima metà del sec. XVII, che, per la sua ricchezza decorativa, si distingue stilisticamente dal resto della facciata, sobria e austera. E’ costituito da una lunga fascia intonacata scandita dal serrato ritmo di elementi decorativi sottomensola, realizzati in legno. Sono ornati con motivi geometrici vegetali, ad eccezione dei quattro centrali e dei due angolari, che presentano invece una raffigurazione antropomorfa. Questi motivi decorativi sono disposti in modo simmetrico rispetto all’asse centrale della facciata e sono uguali a due a due ai lati della finestrina del sottotetto, queste ultime collocate in asse con le aperture sottostanti. Il cornicione d’ordine corinzio, interamente in legno di pioppo è caratterizzato dall’alternanza di mensole e rosette. I pluviali attualmente incassati nelle murature erano originariamente esterni. La facciata è preceduta, per tutta la sua lunghezza, da un marciapiede in pietra veronese (calcare ammonitico dei Monti Lessini: “verdello, così chiamato per la colorazione tendente al verde). In corrispondenza del gradino anteriore del marciapiede sono allineati, in asse con le retrostanti lesene, dieci fittoni in pietra d’Istria, ciascuno dei quali reca incisa, sulla facciata esterna, una lettera capitale a formare la scritta “Monte Pietà”. Il prospetto laterale su via Giorgina Saffi è quello dove si è maggiormente intervenuti durante i lavori di restauro del 1931, si presentava fino allora asimmetrico e privo di ogni qualità architettonica; si presenta oggi con un’impostazione rigorosamente simmetrica con quattro aperture per piano e due finestroni ad arco a tutto sesto al primo piano che trovano riscontro nei due portoni al piano terra. Tutte le finestre sono dotate di bancali modanati in arenaria. Sempre inseriti nel 1931 arricchiscono la facciata, al centro, uno stemma di Forlì in pietra con ai lati due piatti in ceramica policroma con lo stemma cristologico. Del 1793, la targa in pietra posta al di sotto del colmo ricorda il rifacimento del tetto. Il prospetto laterale su via Tavani Arquati si presenta asimmetrico e privo di una logica compositiva, le uniche aperture presenti risalgono ai lavori del 1931 e consistono nelle tre finestre del sotto tetto e nel finestrone del primo piano. Nell’occasione fu chiusa la grande apertura al piano terra, ancora oggi ben visibile per la diversa tessitura muraria. La facciata termina verso via Guasto degli Orsi senza risoluzione dello spigolo facendo supporre in parte un vecchio edificio in aderenza e in parte un elemento d’ammorsatura per un futuro ampliamento. Il prospetto sul retro, su via Guasto degli Orsi, è sicuramente quello che ha subito meno variazioni nel tempo, è caratterizzato, sui tre piani, da lunghe sequenze orizzontali di finestre interrotte nel loro allineamento da quelle della scala; molto ben visibili nelle murature sono le fasi successive di costruzione del palazzo e la caratteristica cordolatura in legno alla base della copertura. Durante i lavori del 1931 furono alzate quattro finestre del sottotetto, realizzate due aperture ovali per illuminare i bagni del primo piano e creata la scarpa al di sotto del cordolo in pietra “spungone”, probabilmente per sopperire ad alcuni cedimenti che si erano verificati su quel lato del fabbricato. Sono da attribuire verosimilmente anche a questo periodo le sistemazioni di alcune finestre del piano terra.

indietro