Giuseppe Pedriali

un grande forlivese sconosciuto

ne parla Vittorio Mezzomonaco

 

Ancora una volta Vittorio Mezzomonaco ha intrattenuto piacevolmente i soci del Racoz unendo alla profonda conoscenza la sua nota arguzia; prima di parlarci di Giuseppe Pedriali, oggetto della conferenza della serata, ha soddisfatto la curiosità di alcuni soci illustrando le origini di Gino Cervi (1901-1974), l’indimenticabile attore bolognese cui è indissolubilmente legata la figura cinematografica di Peppone, bonario ma al contempo collerico sindaco comunista, eterno antagonista dell’altro personaggio letterario di Giovanni Guareschi (1908-1968), il sanguigno parroco emiliano Don Camillo.

Mezzomonaco ha ricordato come, durante la sua attività di critico teatrale, negli anni Sessanta ebbe modo di conoscere personalmente tra i grandi attori del momento che calcavano le scene del Teatro Bonci di Cesena (Renzo Ricci, Giorgio Albertazzi, Anna Proclemer, Raffaella Carrà, paolo Poli, Renzo Giovampietro e tanti altri) lo stesso attore bolognese, dal quale fu preso in simpatia, tanto da essere da lui sempre chiamato confidenzialmente con il nomignolo di Furlè.

Interessò molto Cervi sapere che Mezzomonaco lavorava nella Biblioteca comunale, l’attore era figlio di Antonio, intellettuale bolognese, critico teatrale che scriveva sul Resto del Carlino.

Mezzomonaco e Cervi s’incontrarono a cena (su invito dell’attore) e in una di tali occasioni Vittorio ebbe modo di parlare con un interlocutore attento e curioso della Biblioteca, delle raccolte in essa conservate, del Fondo Piancastelli; da parte sua l’attore lo mise a conoscenza della sua discendenza per parte di madre da Felice Orsini (1819-1858), nostro conterranno e sfortunato protagonista dei movimenti rivoluzionari europei della prima metà dell'Ottocento, di cui ricorre quest'anno il 150°anniversario della morte.

Felice Orsini venne ghigliottinato, con Giuseppe Andrea Pieri (uno dei complici[1] nel fallito attentato a Napoleone III di Francia, che ritenevano  responsabile del fallimento dei moti rivoluzionari italiani del 1848-49 a Parigi il 13 marzo 1858. Dal suo matrimonio erano nate due figlie durante il periodo forse più sereno, quando visse a Nizza gestendo la ditta “Monti & Orsini” che commercializzava la canapa prodotta dallo zio Orso.

Ernestina (1851-1927) e Ida (1853-1859), così si chiamavano le figlie di Felice; Ernestina ebbe delle figlie, da una di queste nacque poi la madre di Gino Cervi.

Ma il rapporto tra Mezzomonaco e Cervi doveva ancora evolversi: l'attore infatti espresse a Vittorio la sua intenzione di mettere in scena il dramma Das Kapital[2] scritto da Curzio Malaparte (1898-1957) dopo il 1947, durante la permanenza Parigi. Felice Rossini sarebbe stato interpretato da Paolo carlini (attor giovane della compagnia), mentre Cervi avrebbe riservato per sé la parte di Carlo Marx; purtroppo questo proposito non poté realizzarsi; mentre Vittorio stava sviluppando ricerche bibliografiche sulla figura rivoluzionaria del celebre e chiacchierato bisnonno, il 3 gennaio 1974 Gino Cervi moriva a Punta Ala.

Sono state quindi proiettate numerose diapositive riproducenti opere pittoriche della Collezione Pedriali che personalmente Vittorio Mezzomonaco organizzò negli spazi, ove ora si trovano nella Pinacoteca comunale con l’aiuto del pittore, ravennate di origini ma forlivese di adozione, Giorgio Spada (1927-1999.)[3].La Collezione Pedriali consiste in ventinove opere di artisti europei: fiamminghi del XVII e XVIII secolo come Rachel van Ruysch (1664-1750), Jan Janz Hans van Buesem (1600-1649), Adrien Ferdinand  de Braekeleer (1818-1904), Eugene Verboeckhoven (1798-1881), il francese Jacques Henri Sablet (1749-1803), l’inglese Llewelyn Lloyd (1879-1949) di famiglia benestante inglese, ma nato a Livorno e morto a Firenze; italiani come Gaetano Luciani (XVII secolo), Paolo Anesi (1700-1761), Alessandro Magnasco (1667-1749) oppure  Sebastiano Ricci (1659-1734), Giovanni Crivelli detto il Crivellino (XVIII secolo), Giovanni Fattori (1825-1908), Beppe Ciardi (1875-1932), Giuseppe Abbati (1836-1868), Pompeo Mariani (1857-1927), e altri artisti europei di non minore interesse. 

Rachel Ruysch nacque ad Amsterdam nel 1664, figlia del botanico Frederik Ruysch (1638–1731), professore di anatomia e pittore, e di una delle figlie dell’architetto Pieter Post, all’età di 15 anni Rachel diventò apprendista di Willelm van Aelst (forse precedentemente servitore di Maria Van O

sterwyck; Ruysch continuò a lavorare da van Aelst fino alla morte di quest’ultimo, nel 1683), specializzandosi nella pittura di fiori, divenendo senz’altro la donna più apprezzata nella pittura di ogni tempo; nel tempo le sue opere avrebbero raggiunto quotazioni astronomiche. Nel 1693 sposò il ritrattista Juriaen Pool (1665–1745), da cui ebbe dieci figli.

All’opera del padre della pittrice si ispirò pure Leopardi nel dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie contenuto nelle Operette morali scritte tra il 1824 e il 1832 e pubblicate tra il 1827 e il 1835, con le quali il poeta sviluppò il rapporto dell'uomo con la storia, con i suoi simili e in particolare con la Natura, di cui Leopardi maturò una personale visione filosofica; il confronto tra i valori del passato e la situazione statica e degenerata del presente; la potenza delle illusioni, l'infelicità, la gloria e la noia.

Di Giovanni Fattori abbiamo potuto ammirare Buoi al carro, opera preferita da Pedriali e collocata nel suo studio dietro la sua scrivania.

Abbiamo ammirato Cristo e l’adultera, qui Gesù inginocchiato traccia segni misteriosi sulla sabbia sul luogo, dove gli è stata condotta l’adultera. Le figure, attribuite al genovese Alessandro Magnasco, potrebbero essere state pure opera del bellunese Sebastiano Ricci (1659-1734), mentre le rovine assegnate al pennello del novarese Clemente Spera (1661-1742), potrebbero pure essere del nipote di Sebastiano, Marco Ricci (1676-1730), visto che i due – zio e nipote – lavorarono spesso assieme. Certo è che questi artisti gravitarono nell’area milanese dove lo stesso Magnasco ebbe modo di conoscere Sebastiano Ricci.

Interno di stalla, con mucca e vitellino, considerata un esempio del primo verismo dell’abruzzese Filippo Palizzi, era conservata a Villa Virginia (così si chiamava la signora Pedriali) di San Remo.

Ne Il battesimo di Costantino vediamo due protagonisti della famosa "Donazione di Costantino", papa Silvestro I che battezza l’imperatore Costantino. Secondo il famoso documento l'imperatore Costantino era stato colpito dalla lebbra, papa Silvestro lo aveva battezzato e lui, subito dopo, era guarito. Costantino si era convertito al cristianesimo e aveva donato al papa la città di Roma e l'Occidente, spostando a Costantinopoli la sede del potere imperiale. L’opera precedentemente era stata attribuita a Giambattista Tiepolo (1696-1770), ma più tardi si è ridimensionato il suo valore, pur sempre elevato, legandola come copia al pittore veneto esclusivamente attraverso la pala d’altare della chiesa di Folzano (Brescia) che può essere stata modello per lo sconosciuto autore dell’opera da noi ammirata.

Natura morta con pesci e Natura morta con pollame sono opere del Crivellino, al secolo Giovanni Crivelli, milanese molto attivo alla la Corte di Parma.

Queste opere arredavano la Villa Virginia e si salvarono miracolosamente durante l’occupazione tedesca solo per l’intervento della signora Pedriali che fece realizzare una camera di sicurezza all’interno della villa dove ricoverare le opere, mentre la stessa villa era occupata dal Comando tedesco. La camera non fu mai scoperta e con essa si salvarono pure le opere raccolte. Mentre scorrevano le diapositive, Mezzomonaco ha ricordato come gli anni tra il 1950 e il 1960 abbiano rappresentato un felice momento per la vita culturale della nostra città, con la presenza d’interessanti esperienze tra le quali quelle del Teatro Minimo, della Polifonica Forlivese diretta dal maestro Cesare Martuzzi. Dopo l’istituzione della Fondazione Garzanti del 1957, il 1961 fu l’anno dell’acquisizione da parte dell’Amministrazione comunale di due importanti donazioni: La Collezione Verzocchi e La Collezione Pedriali, alla morte della consorte del donatore, Virginia Pedriali Dutilleul, avvenuta il 10 dicembre del 1960. Il patrimonio comunale si ampliava quindi di un centinaio di opere d’arte che andavano dal XVII al XX secolo, per la massima parte sino ad allora sconosciute alla maggioranza dei cittadini forlivesi e non solo. Mezzomonaco ha sottolineato come entrambi i donatori non fossero di Forlì (Verzocchi era nato a Roma, Pedriali a Cannuzzo di Cervia  alla foce del Savio. Entrambi partirono giovani per la grande avventura all’estero, armati di grande impegno e volontà, affrontarono i lavori più umili e divennero manager, imprenditori di fama internazionale, sempre legati alla città di adozione, Forlì, anche se lontani. Ma, come ha fatto notare Mezzomonaco, vi sono pure caratteristiche che li distinguono, Verzocchi fu soprattutto uno sponsor che coinvolse una settantina di artisti nella campagna pubblicitaria per i suoi prodotti, Pedriali fu mecenate, benefattore e non solo, tanto è vero che realizzò opere sociali, scuole, asili, fornì Borse di studio con le quali aiutare gli studenti più dotati e impegnati. Nacque così il Concorso destinato a un cittadino italiano che, con pubblicazioni scientifiche o con invenzioni o con opere di qualunque specie avesse contribuito efficacemente al progresso delle scienze della fisica, della chimica e dell'elettricità, rivolte al miglioramento della produzione industriale italiana (nelle sue volontà testamentarie volle che il bando fosse emesso al 24 marzo, data del suo genetliaco).Pedriali nacque, infatti, a Cannuzzo, frazione di Cervia, il 24 marzo 1867. Con la famiglia si trasferì a Forlì nel 1871, ha quattro anni. Nel 1889 s’iscrisse alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Torino, suo maestro fu Galileo Ferraris (1847-1897), approfondì gli studi sulla produzione, trasporto e applicazioni dell’energia elettrica. La sua avventura iniziò nel 1890 quando, appena laureato, colpito negli affetti dalla morte della madre, si trasferì in Belgio, a Liegi, studiando per specializzarsi negli studi sull’elettricità, sostenendosi finanziarmente facendo l’operaio. Due anni dopo si laureò in elettrotecnica e ben presto si affermò come il più giovane laureato esperto in scienze applicate. Nel 1892 fu inviato quindi a Roma per completare la sua conoscenza sulle applicazioni della scienza e della tecnica sulle attività produttive e industriali; in tale occasione Pedriali inviò il suo curriculum al Ministro competente dell’allora Governo Zanardelli per essere assunto, tanto era il suo interesse a ritornare in Italia e lavorare per il suo Paese, ma non ebbe alcuna risposta. Fu forse la sua fortuna, ciò lo mise nelle condizioni di continuare e sviluppare la sua attività internazionale e divenire un grande manager. Nel 1983 era già una celebrità, furono scritti articoli su di lui su Il Risveglio, dove è indicato quale <<…un concittadino che si fa onore…>>. Pedriali tornò in Belgio ma mantenne rapporti con il giornale, forse nel giovane ingegnere stavano germogliando già simpatie per il movimento socialista. Infatti, il Partito Socialista si stava già formando anche nella repubblicana Forlì, dove Pedriali, nel febbraio del 1893, sviluppò studi sull’illuminazione elettrica dei negozi. Pedriali ritornò quindi in Belgio, dove sposò Virginia Dutilleul e fu assunto alla Societé des Tramways Bruxellois, di cui dopo quattro anni divenne direttore Pedriali aveva trent’anni e nel settore trasporti era già un’autorità; nel 1903 a Parigi, la stazione tramviaria di Les Couronnes fu teatro di una tra le più gravi sciagure di tutti i tempi, dove trovano la morte centinaia di persone, l’ingegnere italiano fu chiamato quale massimo esperto per analizzarne le cause e fornire le indicazioni affinché ciò non potesse più accadere. Gli elaborati e le indicazioni di Pedriali resteranno per lungo tempo fondamento insostituibile nella progettazione e gestione delle linee tramviarie.

Il vecchio secolo se n’era andato e il Novecento si era aperto nella frenesia del Ballo Excelsior che nella sua dinamica coreografica voleva onorare il trionfo della scienza. Le grandi scoperte scientifiche, le opere innovative, le invenzioni di quel periodo erano esaltate nell’allegoria della vittoria della Luce e della Civiltà sull’Oscurantismo, nemico del Progresso. Erano rappresentati il battello a vapore inventato da Dioniso Papin, il piroscafo, la pila di Alessandro Volta, il telegrafo, la lampadina di Thomas Edison, il canale di Suez, il traforo del Fréjus. Durante il dispiegarsi dei grandi successi della Scienza, continuava la lotta fra Luce e il Genio delle Tenebre, che si risolveva con la Civiltà che finalmente liberava lo Schiavo dalle sue catene.

Tutti erano ormai consapevoli che l’impiego dell’elettricità poteva cambiare i destini dell’umanità e Pedriali era sulla ribalta internazionale.

Nel 1907 l’importante società di trasporti di massa Anglo-Argentina Tramways Co. lo incaricò di riorganizzare le comunicazioni urbane del Paese, al tempo gestite da otto società, tutte con il bilancio in rosso.

Pedriali in vent’anni di lavoro trasformò quella rete obsoleta di trasporti nella massima società tramviaria del mondo, di cui divenne il proprietario stesso.

Ma l’impegno di Pedriali non si fermò alla gestione degli impianti, egli divenne il capo morale degli italiani in Argentina, punto di riferimento per tutti coloro i quali là si volevano trasferire.

L’impegno di Pedriali proseguì parallelamente sul piano sociale, creando una “Società Mutua” a favore dei lavoratori, realizzò asili, scuole, istituti dove i figli dei dipendenti trovarono assistenza e educazione. Durante la Grande Guerra fu presidente del Comitato di Mobilitazione  Civile di Buenos Aires e membro del Consiglio Interalleato Industriale e s’impegnò nella ricerca di fondi e sostegno degli orfani.

Mezzomonaco si è interrogato su come Pedriali possa essere giunto in Argentina, certo la sua fama era e diffusa a livello mondiale, ma è vero anche che molti erano gli italiani in quel Paese, anche nostri concittadini, tra questi Emilio Rosetti di Forlimpopoli; anch’egli, giovane ingegnere, andò ventiseienne nel 1839 a Buenos Aires dove realizzò Gabinetti di Fisica dove svolgere studi e attività finalizzate a sostegno dell’agricoltura.

Per il suo impegno, Emilio Rosetti, quando ritornò in Italia, svolse attività politica quale console della Repubblica Argentina.

Quando il Fascismo arrivò al potere, Pedriali ne ebbe conoscenza soltanto indiretta, a migliaia di chilometri egli non poteva valutare la reale natura del movimento, poteva solo comprendere come l’Italia e Mussolini avessero acquisita stima in tutto il mondo; ritornò quindi in Italia nel 1925, fascista convinto.

Egli acquistò la villa L’Antella a Bagno a Ripoli, nelle vicinanze di Firenze, che divenne la sua dimora e la villa di San Remo che nominò Virginia, il nome della moglie; quindi profuse anima e corpo nell’attività sociale, nulla rilevando per lui se fosse o meno favorevole al regime.  

Curando l’arredamento delle sue residenze, Pedriali cominciò ad acquistare e collezionare dipinti e oggetti d’arte; fu Pedriali a creare nel 1932 la prima Manifestazione floreale a San Remo per promuovere l’attività già presente sul territorio.

Nelle foto dell’inaugurazione si può osservare l’ingegner Pedriali che nasconde il pigiama sotto il cappotto, a sottolineare il suo stato di salute già compromesso, sarebbe morto due mesi dopo, il 21 giugno 1932 nella sua villa L’Antella.

Su giornale Il Rubicone fu pubblicato il necrologio e fu annunciato il ritorno della salma per essere tumulata nella Cappella di Famiglia nel Cimitero monumentale sulla destra del Famedio. Prima dei funerali, che ebbero grande partecipazione di popolo, la salma fu esposta nella Sala della Provincia.

All’interrogativo perché l’ingente patrimonio sia stato donato alla Provincia di Forlì, si può rispondere che Forlì era allora molto importante, la città del Duce, nato però a Predappio (così la donazione  alla Provincia copriva tutto il territorio); la nipote di Pedriali, Giulia, aveva sposato Mario Fabbri, Podestà della città. Per commemorare la donazione Pedriali, l’Amministrazione provinciale commissionò all’artista forlivese Edgardo Zauli Sajani una pergamena che fu messa in mostra nella vetrina del, Caffè Baccini (l’attuale negozio di biciclette di Piazza del Duomo).

L’impianto allegorico della pergamena comprendeva tutto ciò che poteva decantare il successo dello sviluppo della scienza e della tecnica, del progresso: un nudo di giovane uomo a cavallo che regge la fiaccola della Civiltà, rappresentante le Scienze, tra due fasci littori, che costringono ai bordi dell’opera l’oscurantismo che fugge veloce dalla scena.

In un cielo che ricorda i quadroni di Cagnacci, un aereo abbatte un’aquila; sullo sfondo il profilo di Forlì, il ritratto di Pedriali e gli stemmi della città e della Provincia.

Il Comune dedicò al benefattore la via che allora si chiamava Del Sole ora Via Pedriali: La torre che si trova sulla via, era di proprietà di Giulio Pedriali, nipote di Giuseppe, alla sua morte, il di lei marito Mario Fabbri la donò all’Aereo Club che ancora oggi ha lì la sede.

Da una nicchia posta sopra l’ingresso della Cappella di famiglia, dove riposano i coniugi Pedriali, si sporge un pellicano che rappresenta Cristo che si sacrifica per l’umanità; fornendo da becco il cibo prima ingurgitato, il pellicano sembra strapparsi pezzi delle proprie viscere per alimentare i piccoli, ecco il massimo sacrificio, il dono di sé. Alla base dei due sarcofagi, in un ambiente spoglio, severo, senza null’altro, se non i busti dei defunti, c’è una scritta “ HANNO VISSUTO CIRCA 40 ANNI SOLI /  NELL’AMORE PRIMA,NELL’AFFETTO IL PIÙ PURO E PIÙ LEALE DOPO / HANNO VOLUTO CONTINUARE AD ESSERE SOLI”.  Pedriali aveva quattro fratelli ma non ebbe figli suoi.

I busti sono dello scultore carrarese Valmore Geminiani, del busto di Giuseppe ne esistono altre tre copie, una nel Famedio del Cimitero, una in Pinacoteca[4] e una in Provincia, nella vecchia Sala del Consiglio. 


[1] Gli altri due saranno graziati.

[2] Nel suo lavoro Malaparte immagina che Carlo Max ebbe modo di conoscere Felice Orsini a Londra; nel dramma l’incontro fra i due riempie tutto il secondo atto, ma nella realtà non avvenne mai.

[3] In precedenza le opere erano state stivate in una soffitta della Pinacoteca esposte a notevolissime escursioni termiche che potevano andare da diversi gradi sotto zero durante gli inverni più freddi a 30-40° nelle estati più torride.

[4] Un pronipote di Pedriali incontrato da Mezzomonaco durante le sue ricerche informò questi dell’esistenza di un busto di Pedriali e dell’intenzione di donarlo alla città; fu così che Mezzomonaco curò personalmente il trasporto dell’opera e la sua collocazione nei locali della Biblioteca comunale. Oggi si trova ad un capo di un corridoio ad “elle”; simmetricamente dall’altro capo c’è il busto della moglie Virginia.

 

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