Racoz “
da Cervia a Forlì sul percorso della devozione alla MADONNA del FUOCO PROTETTRICE di FORLI’ e PATRONA
dei SALINARI” ne parlano Gabriele Zelli, socio de’ Racoz lo
storico Renato
Lombardi Oscar
Turroni, Pres.
Ass. Culturale Civiltà Salinara di Cervia |
Dopo
le presentazioni de' Minestar Marino Monti ed il graditissimo saluto di
sua Eminenza il Vescovo ha preso la parola Gabriele Zelli; egli ha
introdotto il tema della devozione della Madonna del Fuoco che unisce i
Salinari e Cervia alla nostra città, precisando che allo scopo ha
consultato numerosi volumi ripercorrendo così circa 600 anni di
storia forlivese e non solo. Tra questi Storia della Madonna del
Fuoco di monsignor Adamo Pasini che fu una figura centrale della
vita ecclesiastica e culturale forlivese. Dopo essere stato abate di San
Mercuriale, dal 1944 fu vicario di mons. Rolla, quindi di mons. Babini,
morì nel 1963. Studioso e storico, fondò e diresse dal 1901 il
settimanale cattolico Il Lavoro d'oggi. Divenuto nel 1903
canonico della Cattedrale, ebbe l'idea di fondare il periodico cui
assegnò il nome La Madonna del Fuoco e che diresse dal 1915 al
1928 e dal 1937 al 1943. Zelli ha rilevato come, consultando questi
periodici si trova una grande quantità di notizie straordinarie che non
riguardano solo gli avvenimenti che caratterizzavano i festeggiamenti
alla Madonna del Fuoco ma ci danno pure un preciso spaccato della storia
della città a partire dal 1428 quando nell'attuale via Leone Cobelli
avvenne il miracolo, ...in tempi orridi per la Romagna... come
ebbe a scrivere il prelato. Citando
Dante Alighieri e Machiavelli, Zelli ha ricordato come a quel tempo le
nostre città fossero amministrate ... da principi poveri che
volevano vivere da ricchi... e per vivere da ricchi ...erano
necessitati volgersi a molte rapine...mentre, dall'altra parte,
facevano leggi che proibivano tali azioni, ma siccome loro erano i primi
a compierle, sta di fatto che nessuno era mai condannato. Un periodo
quindi decisamente difficile, anche se all'inizio del dominio pontificio
seguì un breve periodo fecondo per la città di Forlì, dovuto alla
venuta in città del giovane governatore Domenico Capranica che pose al
suo fianco un personaggio di grande rilievo come Flavio Biondo, mentre
nel 1427 fu nominato vescovo della città il romano Giovanni Caffarelli
sino al 1437 quando fu trasferito ad Ancona. Durante questo periodo, che
brillò per notevoli interventi promossi dalle autorità nel campo
dell'istruzione, dell'edilizia, dell'igiene pubblica, avvenne che nella
scuola di mastro Lombardino da Rio Petrosa si sviluppasse nella notte
tra il mercoledì ed il giovedì 5 febbraio 1428 un incendio dal quale
uscì incolume l'immagine della Madonna. la domenica successiva, 8
febbraio, la sacra immagine fu portata solennemente in Duomo. Del
miracolo della traslazione abbiamo memoria anche attraverso una lunetta,
esposta in Duomo, dipinta attorno al 1450 da Giovanni Merlini, meglio
conosciuto come Giovanni di Mastro Pedrino, pittore e cronista del
tempo, che narra dell'evento miracoloso anche nelle sue cronache. Zelli
ha proseguito ricordando come sarebbe difficoltoso in una breve
conversazione illustrare l'evoluzione della devozione alla madonna del
Fuoco da quei momenti ad oggi, quindi ha preferito tracciare dei brevi
flash, citando i primi importanti benefattori della Madonna del Fuoco.
Tra il '400 ed il '500 troviamo l'Arcidiacono Ugolino da Orvieto (1446),
il generale della milizia della Chiesa Andrea di Giovanni Lerri (1451),
il Vescovo Giacomo Paladini e il nobile Lorenzo Ercolani.
L'Arcidiacono Ugolino da Orvieto fu testimone stesso del miracolo e
nonostante avesse lascito Forlì nel 1430 per trasferirsi a Ferrara, nel
suo testamento del 1446 lasciò 30 tornature, equiparabili ad un bel
podere, per il culto della Madonna con l'obbligo che fosse celebrato un
certo numero di messe. Il testamento è il documento più antico che dà
all'immagine il titolo di Madonna del Fuoco. Il suo lascito si
aggiunse ad un patrimonio a quei tempi molto consistente da farci
comprendere come già fosse sviluppata la devozione attorno a questa
Madonna. Il
generale Andrea di Giovanni Lerri era stato investito da papa
Eugenio IV del controllo dei castelli di Rocca d'Elmici, delle
Camminate, di Predappio, Monte Maggiore, Farazzano e Sadurano.
Riconoscendo forse la sua fortuna militare come opera della Madonna,
promosse il restauro del suo santuario e la costruzione di una cappella
dedicata alla Madonna del Fuoco. il patrizio forlivese Giacomo Paladini,
canonico e arcidiacono della Cattedrale, forse già sacerdote al
momento del miracolo, prima di essere nominato Vescovo della città dal
1463, dispose che i suoi beni lasciando erede il santuario della Madonna
del Fuoco di un cospicuo patrimonio. il patrizio Lorenzo Ercolani fondò
la Congregazione dello Spirito Santo, composta da otto sacerdoti che
dovevano ufficiare all'altare della Madonna del Fuoco e nel suo
testamento, del 1497, lasciò vari consistenti beni sia ai Battuti Neri,
sia alla Madonna del Fuoco. La Compagnia da lui fondata sopravvisse sino
all'epoca napoleonica. Zelli ha sottolineato come tale istituzione fu un
atto di fondamentale importanza per mantenere concentrata la devozione
dei fedeli attorno all' immagine della Madonna del Fuoco. A
questo vescovo successero a reggere la diocesi della città governata
dagli Ordelaffi, altri due forlivesi, il patrizio figlio dell'importante
famiglia Alessandro Numai, dal 1470 al 1485, quindi Tommaso Dall'Aste.
Il 10 settembre 1474 Alessandro Numai consacrò sette altari nel Duomo,
tra questi al secondo posto, subito dopo l'altar maggiore, figura quello
della cappella della madonna del Fuoco. nel 1477, quando morì Pietro
Bianco, fondatore del Santuario di Fornò, la sua salma, in attesa di
essere tumulata nel Santuario, fu posta per due anni nella cappella
della Madonna del Fuoco. Passando
nel secolo successivo, 1500, va rilevato che questo fu il secolo che
vide in città la nascita di alcune istituzioni che si richiamarono alla
devozione alla Madonna del Fuoco, come la Milizia dei XC Pacifici che
aveva il compito di governare la Giustizia, la Confraternita della
Madonna del Fuoco che ne doveva diffondere il culto e l'Accademia dei
Filergiti che doveva promuovere la cultura. Avvenne
così, ha continuato Zelli, che il culto della Madonna del Fuoco si
sviluppò enormemente oltre che un’espressione popolare divenne pure
di interesse comunale; infatti, come ricordato da monsignor Pasini,
l'Amministrazione civile, non potendo rimanere estranea, venne alla
deliberazione di assumere quasi il monopolio delle numerose
manifestazioni che erano divenute ormai consuetudine religiosa e
popolare, riservando a sé di deliberare quando fosse il caso di fare
istanza al Vescovo per processioni e funzioni sacre. Dal 1503 al 1598
furono organizzate in forma solenne una dozzina di processioni, sempre
formalmente richieste dalla Municipalità nei confronti del Vescovo.
Vari erano i motivi per tali processioni, in genere per richiedere
l'intercessione della Madonna contro pestilenze, terremoti, calamità
meteorologiche; contestualmente divennero sempre più numerosi i
pellegrinaggi di fedeli provenienti da altre città. Nel frattempo la
cappella dedicata alla Madonna del Fuoco aveva acquisito nuovo splendore
attraverso gli affreschi di Livio Agresti (Forlì 1505, Roma 1579), dei
preziosi marmi di Giacomo da Venezia ed il tabernacolo michelangiolesco
del forlivese Giovanni Giardini. in
occasione del 4 febbraio giungevano pellegrini organizzati dalle varie
confraternite, da Cesena organizzati dalla Compagnia del
Sacerdozio, da Fusignano quelli della Compagnia del Rosario, da Meldola
con la Confraternita delle Stigmate. Il culto della Madonna del Fuoco
giunse a svilupparsi ancor più lontano, a San Mauro di Romagna tra i
canettini, dediti al lavoro della canapa, che nel 1790 decisero di porre
nella chiesa parrocchiale il quadro con l'immagine della Madonna del
Fuoco accanto all'Altar maggiore. mentre sino al 1618 non era stata
realizzata alcuna riproduzione dell’immagine sacra, in quell'anno il
Consiglio comunale deliberò di farne realizzare una piccola incisione
in rame da fare stampare in grande quantità per favorirne la massima
diffusione; fu pure deliberato di farne eseguire una riproduzione
dipinta su tela da esporre nella Sala del Magistrato. L'immagine
originale è una rara incisione su carta, un’immagine xilografica dei
primi anni del XV secolo, ed è uno dei più antichi esemplari
realizzati con questa tecnica in Italia. Recenti ricerche ed esami
radiografici curati tra il 1989-1990 dal socio Sergio Fabbri, hanno
portato questi ad individuare l'autore della xilografia nel bolognese
Michele di Matteo, pittore attivo a Bologna nel cantiere di San Petronio
agli inizi del XV secolo e formatosi alla scuola di Giovanni da Modena. Nel
caso di Cervia, è probabile che la devozione verso la Madonna del Fuoco
sia stata introdotta dal Vescovo Francesco Maria Merlini, di nobile
famiglia forlivese, che resse la diocesi di Cervia dal 1635 al 1644.
Risale appunto al 1653 la prima documentazione della partecipazione dei
salinari alle celebrazioni della Madonna del Fuoco (Storia della
Madonna del Fuoco del Reciputi). I Salinari costituirono una
Confraternita, quella della Beata Vergine del Fuoco, che tutelava gli
iscritti e li sosteneva finanziariamente in caso di necessità. Nel 1671
avevano eretto un altare dedicato alla Beata Vergine del Fuoco nella
Chiesa di san Giorgio degli Agostiniani; in tale chiesa fu ricollocato
anche dopo la ricostruzione dell'edificio nella nuova cerchia. Nel
periodo napoleonico, quando la chiesa di San Giorgio fu sconsacrata,
l'altare fu portato nella cattedrale, qui fu poi distrutto per un
discutibile ammodernamento della cattedrale. I
salinari celebravano la festività del 4 febbraio con una solennità
tutta particolare, per sostenere le spese, alcuni di loro, durante
l'estate, facevano la questua del sale che poi vendevano liberamente. A
Forlì, per la Festa della Madonna, una loro rappresentanza si univa ai
cittadini forlivesi, portando ricchi doni per l'altare della
Protettrice, lampade, calici d'argenti, piante, arredi sacri; nella
Sacrestia della Beata Vergine del Fuoco, nella cattedrale di Forlì,
all'interno dei grandi armadi degli Arredi del Tesoro, è conservato
ancora oggi lo stemma della Comunità di Cervia, tra quelli dei maggiori
offerenti. Veniva in quell'occasione trasportato in processione da
Cervia a Forlì il grande Crocefisso ligneo del XIV secolo, oggi
conservato nella Chiesa del Suffragio ed il priore della Compagnia
faceva comporre e stampare su carta e fazzoletti di seta inni in cui si
esaltavano i meriti della Vergine insieme, ma in tono minore ovviamente,
a quelli del Tesoriere di Romagna, dal quale dipendevano la produzione
ed il pagamento del sale. Il Fondo Piancastelli conserva una vasta
collezione di tali fogli. degna di nota è anche la costituzione del
1845, sempre a Cervia, della Pia Unione della Beata Vergine del Fuoco
presso l'Oratorio di san Giorgio di Montaletto, che nel 1927 contava un
centinaio di iscritti, per poi lentamente decadere, come quella dei
Salinari di Cervia verso il 1860 all’Unificazione d'Italia. Pochi
decenni fa è anche scomparsa la stessa classe dei salinari con la
trasformazione e modernizzazione dello stabilimento salifero, dando
fine, almeno apparentemente, ad una delle pagini secolari di storia di
Cervia. Infatti, da una decina d'anni, i salinari, costituitisi in
Associazione, hanno ripreso a rendere omaggio alla Madonna partecipando
alla messa celebrata da monsignor Vescovo, accompagnati dal gonfalone
della città di Cervia accompagnato da un Amministratore comunale.
Non vi sono più i salinari quale classe lavoratrice, ormai scomparsa,
c'è un rapporto diverso nei confronti della protettrice, ma c'è una
continuità nella devozione verso la Beata Vergine del Fuoco che unisce
Cervia a Forlì. Fra
il 1619 ed il 1636 fu realizzata l'attuale cappella della Beata
Vergine del Fuoco la cui cupola fu decorata successivamente, dal 1680 al
1706 con gli splendidi affreschi, l'"Assunzione della Vergine"
dal pittore. bolognese di origine ma forlivese di adozione. Carlo
Cignani (1628-1719). Iniziata
nel 1797, nel 1819 fu completata la Chiesa del Miracolo, in via Leone
Cobelli dove un tempo vi era la scuola in cui si trovava l' immagine e
dove avvenne il miracolo. su progetto dell'architetto Luigi Mirri. Poi
il XIX secolo, dopo quello napoleonico, fu ancora una volta un periodo
di smarrimento religioso, come ricorda mons. Pasini; le vicende
politiche influirono negativamente sulla devozione ed il culto della
Madonna del Fuoco, cominciarono ad esserci pressioni per la rimozione
della colonna a Lei dedicata sulla Piazza Maggiore per essere trasferita
da altra parte. Contro queste proposte vi fu una vera e propria
sollevazione di popolo, lo stesso Aurelio Saffi si oppose affermando che
:<< demolire per demolire è vandalismo>>. l'abbattimento
avvenne però solo nell'ottobre del 1909 dopo la manifestazione
organizzata per protestare contro la fucilazione a Barcellona il 13
dello stesso mese dell'anarchico Françisco Ferrer. Nel
1928 la colonna fu ripristinata nella posizione attuale, nei pressi del
Duomo, inaugurata il 6 maggio di quell'anno a conclusione delle
celebrazioni del 500° anniversario del miracolo. Zelli
ha concluso affermando che da allora il paese ha visto e superato altri
drammi, ha vissuto e sta vivendo ancora pagini difficili, ma i motivi
per ricorrere alla benevolenza della Madonna del Fuoco sono sempre
quelli indicati da mons. Adamo Pasini che scriveva :<<gli
avvenimenti della vita, nel bene e nel male, hanno sempre bisogno di
essere sostenuti dall'aiuto della Madonna>>. E'
stata quindi la volta del dottor Renato Lombardi; egli ha esordito
ricordando come la devozione della Madonna del Fuoco si diffuse ben
presto anche nel territorio di Cervia, l'antica città del sale,
significando con ciò che la storia, l'evoluzione di questa città fu
legata strettamente sul valore strategico di questo prodotto, che
serviva al condimento ma, molto importante, anche alla conservazione dei
cibi. In antichità quindi la produzione del sale aveva il valore
strategico che si può paragonare a quello attuale del petrolio. Il sale
faceva pure parte del salario dei soldati, al tempo dei Romani ed ancor
prima, ma ha anche un valore religioso, vedi il suo uso nel Battesimo ed
in altri significativi momenti e riti religiosi. Il
legame tra Cervia e Forlì era quindi connaturato proprio nella
produzione e nella commercializzazione del sale perché attraverso Forlì
passavano poi varie direttrici che portavano all' entroterra romagnolo e
toscano; gli stessi nomi dati a numerose importanti arterie stradali
riaffermano l' importanza del sale e la sua commercializzazione, vedi la
via Salaria. Ma
andando all'aspetto devozionale e religioso, va ricordato il vescovo
forlivese Francesco Maria Mellini che dal 1635 al 1644 resse la diocesi
di Cervia, che fu diocesi a partire dal VI secolo; in anni recenti è
stato scoperto in prossimità delle saline un edificio religioso
denominato San Martino propre litus maris, un edificio religioso
collocato proprio in prossimità della fascia costiera, dovendo tenere
conto che allora la linea di costa era molto più arretrata
dell'attuale. nel VI secolo la diocesi di Cervia aveva un legame molto
stretto con il papato tanté che dal Medioevo al 1908, quando cessò
di vivere l'ultimo vescovo residenziale di Cervia Federico Foschi, alla
diocesi di Cervia furono legati territori del ferrarese, otto, nove
località tra cui Migliarino e Massa Fiscaglia. Cervia ha pure dato
anche un papa dal 1464 al 1471, Paolo II al secolo Pietro Bardo,
veneziano e vescovo di Cervia; a questo papa si deve la cadenza
venticinquennale del Giubileo e la costruzione di Palazzo Venezia a
Roma. Fu un papa di nobile famiglia veneziana; Venezia dominò per
diversi secoli il commercio del sale a partire dal XIII secolo, ed in
particolare nel territorio cervese dal 1463 al 1509, influendo
notevolmente sulla vita politica, economica e sociale e religiosa della
città. Il
dottor Lombardi ha parlato poi del crocefisso ligneo conservato
attualmente nella Chiesa cervese del Suffragio; si tratta di una delle
opere più pregevoli presenti in città, un'opera anonima risalente
presumibilmente al XIV secolo e proveniente dalla Chiesa dei Frati
Minori Conventuali di Cervia Vecchia, poi trasferita al Suffragio tra il
XVII e XVIII secolo. Purtroppo
oggi non si possono più ammirare due delle porte dalle quali si entrava
nel borgo, la Porta Ravenna e la Porta Cesenatico demolite durante
l'ultimo conflitto mondiale. Cervia era quindi una sorta di città
fortificata che sorgeva all'interno di grandi specchi d'acqua, poiché
la fascia costiera era più vicina di adesso, all'interno esistevano le
saline, un comparto di oltre 800 ettari. In questo contesto diffuse
erano le barche e al paesaggio di allora facevano contorno le pinete,
molto più estese di ora. Sulla piazza della nuova Cervia abbiamo la
Cattedrale che fu costruita dal 1699 al 1702 e che conserva al suo
interno il ciclo di affreschi di Francesco e Barbara Longhi che sono
stati oggetto di una recente interessante mostra. sempre nel centro
storico, lungo il corso principale, vi sono le abitazioni delle
antiche famiglie nobili, vi è ancora un'antica pescheria del 1790, il
Palazzo Priorale, oggi sede del Comune, costruito tra il 1702 e il
1712 dall'architetto Francesco Fontana. Il dottor Lombardi ha
sottolineato come notizie e documentazione sugli antichi edifici di
Cervia sono stati ritrovati in numerosi archivi di tutta Europa e
d'America, a Londra, Parigi, Vienna e nell'Illinois. Con impegno e
tenacia, tali documenti sono stati poi recuperati. Documenti sulla città
sono pure a Roma, Venezia ed altre città italiane, e attraverso questi
si possono ritrovare le tracce di una storia importante della città di
Cervia. Da ultimo il dottor Lombardi ha voluto illustrare il ruolo
dell'Associazione Gruppo Culturale Civiltà Salinara, attiva da
oltre vent'anni, che ha avuto una rilevante importanza nello sviluppo
dei rapporti tra Cervia e la nostra città. Dell’Associazione fanno
parte il Museo all'aria aperta delle saline Camillona e il Museo del
sale, che ci inviata a visitare. Ha
preso quindi la parola il Presidente dell'Associazione, Oscar Turroni. Turroni
ha illustrato le origini dell'Associazione, nata da un salinaro,
Agostino Finchi, un uomo eccezionale, in un momento molto difficile, lo
Stabilimento salifero stava chiudendo, 149 saline a raccolta multipla
che dava lavoro a 150 famiglie che gestivano familiarmente l'impianto,
tramandandosi questo lavoro da padre in figlio; un lavoro difficile, che
non s’imparava immediatamente ma occorreva una lunga disciplina, i
bambini venivano presto avviati a piccoli lavori in salina perché
imparassero il mestiere. negli anni '50, quando il mercato del sale fu
liberalizzato, non era più solo con il sale che si potevano conservare
i cibi ma si era pure sviluppata la tecnologia del freddo, la diffusione
degli impianti frigoriferi, il prezzo del sale quindi diminuì. Di 149
saline ne rimase una sola gestita industrialmente, ma ne fu lasciata una
quale testimonianza, gestita ancora nei modi tradizionali, quella
Camillone. Gli ultimi salinari di cui faceva parte pure lo stesso
Turroni, organizzati nel Dopolavoro dello Stabilimento, sotto l'impulso
di Finchi, dopo oltre vent'anni d'abbandono, ripristinarono
quest’unica salina, in uno stato ormai di massimo degrado. Piano,
piano la salina è ritornata così all'aspetto originale e si è
cominciato a fare il sale, ma non solo, il gruppo ha cominciato a
proporre visite guidate all'impianto, ha promosso campagne di
informazione tra i turisti, scuole e dal 1990 si è costituito il
Gruppo Culturale Civiltà Salinara che ha proseguito quest’attività,
ha realizzato un piccolo museo all'interno degli splendidi locali dei
Magazzini del Sale che dal 2004 si è trasformato in un vero e proprio
museo, il MUSA, il Museo del Sale, ormai molto conosciuto e frequentato
da numerosi turisti ed associazioni ed istituti. L'Associazione oggi
conta più di 400 soci di cui 20-30 continuano a fare il sale
"dolce"nella salina Camillone, a gestire il Museo e gestire
numerose iniziative che vogliono recuperare e diffondere la conoscenza
di quest’antica lavorazione, principalmente trai bambini ed i giovani;
per questo è stata pure recuperata negli anni '90, dopo un incontro con
Alteo Dolcini, uomo di profonda cultura, appassionato custode delle
tradizioni della sua terra, studioso e scrittore,
il
culto della Madonna del Fuoco e il pellegrinaggio a Forlì in
occasione dei festeggiamenti della Vergine. Ritornando
alla salina ed alla tecnica della produzione del sale, Turroni ha
proseguito ricordando che la salina Camillone è l'unica artigianale
rimasta in Italia. Fu veramente importante la presenza dei vecchi
salinari che gestivano quest’ultima salina quando, nel 1999 i Monopoli
chiusero la Salina industriale; L'Amministrazione comunale poté
acquisire la concessione all'utilizzo della salina poichè vi era in
atto ancora questa gestione artigianale ed utilizzando l'esperienza dei
vecchi salinari fu possibile riorganizzare il personale per la gestione
della salina industriale. Quindi Turroni è passato a spiegare perché
si chiama "dolce" il sale qui prodotto; il sale è prodotto
solo all'estate, nei tre mesi centrali, con le modalità comuni con le
saline dell'Istria e del Nord della Francia, a "raccolta
multipla". Il sale è raccolto ogni cinque giorni. L'acqua del
mare, evaporando, da 3°di salinità naturale arriva a circa 26°, a
25,8-26° comincia a depositarsi il sale. Raccogliendo il sale già dopo
cinque giorni, quando ha raggiunto questa salinità, s’impedisce, si
anticipa la formazione di sali potassici, che si depositano solo quando
l'acqua del mare raggiunge i 29-30 gradi di salinità. questo sale
quindi è chiamato "sale dolce" perché il cloruro di sodio è
un sapore gradevole, contrariamente ai sali potassici, più amari. |