Quella del 1° giugno 2009, doveva essere una passeggiata per il centro storico di Forlimpopoli accompagnati ancora una volta dalla amabilissima e preparatissima Serena Vernia; si doveva visitare il Museo archeologico "Tobia Aldini", appena ristrutturato, e l'interessante borgo della cittadina artusiana prima di visitare la bella Chiesa di S. Maria dei Servi ed andare poi a cena a Casa Artusi ma, a causa del prolungamento dei lavori di restauro e l'inclemenza del tempo, sotto una antipatica pioggia, si è cambiato programma inserendo la visita all'interessante 

Basilica di San Rufillo

non meno interessante del Museo e dell'antico borgo, e per questa va il nostro ringraziamento al parroco Don Agostino Fornasari. 

L'edificio della chiesa risale  a tempi antichissimi, si pensa al VI sec., nel 582, accanto a questo, fu eretta l'abbazia intitolata a San Rufillo come ci ha illustrato Serena Vernia, adopera dei monaci benedettini, i quali rimasero a Forlimpopoli fino ai tempi dell'Albornoz, trasferendosi poi a Forlì presso la chiesa di S. Giacomo, l'attuale chiesa di Santa Lucia, ove nel 1362 venne traslato il sarcofago del Santo Patrono, che li si trova ancora sopra l'altare maggiore, mentre le spoglie del santo sono state traslate  nella basilica a lui dedicata il 16 maggio del 1964 ( nella stessa data, da allora, a Forlimpopoli si celebra la festa del santo).

Nel corso della sua storia millenaria, la chiesa di S. Rufillo ha opsitato papi e imperatori ed ebbe privilegie e titoli notevoli fra i quali anche quello di Colegiata (chiesa di una certa importanza, nella quale è istituito un Collegio o Capitolo di canonici, con lo scopo di rendere più solenne il culto a Dio).che dal 1725 mantiene tuttora.

 All’interno,  profondamente rimaneggiato nel corso dell’Ottocento, sono conservate numerose opere di maestri romagnoli del XV e XVIII secolo come Giuseppe Marchetti (1722-1801). Le antiche cronache riportano che fra Forlimpopoli e Forlì, si annidava un mostruoso drago, che col solo fiato ammorbava l'aria, provocando la morte di diverse persone. Il vescovo Rufillo esortò i fedeli della diocesi a fare digiuni e pregare, affinché la zona venisse liberata dal mostro, nel contempo invitò pure il vescovo di Forlì Mercuriale a partecipare all'impresa. Si recarono ambedue alla tana del drago, qui gli strinsero attorno alla gola le loro stole e lo gettarono in un profondo pozzo, chiudendone l'imboccatura con una pietra sulla quale avevano inciso alcune parole che ricordavano l'evento. 

Questa storia in realtà vuole rappresentare l'instancabile opera di evangelizzazione del vescovo contro l'eresia di Ario che come un morbo malefico si  stava espandendo da Rimini al resto della regione. Rufillo morì a 90 anni il 18 luglio del 382. 

L'edificio è stato rifatto e modificato in varie epoche, l'abside, circolare all'interno e poligonale all'esterno, risalente al VI sec, fu rasa al suolo e ricostruita a sei metri più spostata verso oriente nel Medioevo. radicali modifiche furono poi apportate tra il 1819 ed il 1821 con il rialzamento della navata centrale, il rifacimento totale della facciata, portata più ad Ovest per ampliare lo spazio interno, e con la costruzione del pronao neoclassico, dove furono trasferiti i monumenti sepolcrali del '500, in pietra d'Istria, eretti a Brunoro I, morto nel 1525, ed al nipote  Brunoro II Zampeschi, morto nel 1574, signori di Forlimpopoli, originariamente all'interno  dell'edificio ai lati dell'altare ( nella ricollocazione dei monumenti furono invertite le lunette degli stessi). Il primo, a sinistra, è attribuito a Jacopo Bianchi da Dulcigno, il secondo, a destra, a A. Formaino. 

Dopo la distruzione di Forlimpopoli da parte del cardinale Albornoz (1360) si verificò una rinascita militare e strategica in cui si ricostruì la Rocca, dominio prima degli Ordelaffi e poi di Girolamo Riario, quindi di Caterina Sforza.
Solo dal XVI secolo la città tornò a rifiorire allorché lo stato della Chiesa concesse in feudo il territorio a nobili famiglie. Ci fu la signoria dei Rangoni, e successivamente quella degli Zampeschi che ottennero il dominio sulla città e sulla Rocca.
Antonello Armuzzi Zampeschi ottenne il privilegio di tramandare ai discendenti maschi il vicariato. Fino alla morte di Brunoro II (1574) Forlimpopoli godette di  una relativa tranquillità, inoltre il governo dei nuovi diede un nuovo impulso alla crescita culturale della città romagnola. Gli Zampeschi si rivelarono anche degli ottimi mecenati. Il mecenatismo degli Zampeschi interessò l’ambito artistico e culturale: accogliendo presso la loro dimora, appositamente ricavata nella Rocca Albornoziana, artisti, letterati e poeti, contribuirono ad arricchire la biblioteca, misero insieme una raccolta di quadri e fecero donazioni alla chiesa di San Rufillo, divenuta cappella di famiglia.

Tutto ciò che era stato raccolto purtroppo si perse sia a causa delle numerose lotte e distruzioni che caratterizzarono la pianura romagnola, sia per la dispersione delle opere in diversi musei e collezioni private.  Fortunatamente nella chiesa di San Rufillo si custodiscono ancora alcune importanti testimonianze artistiche commissionate dagli Zampeschi. Si tratta due tavole a tempera e olio su tavola eseguite dai manieristi Francesco Menzocchi (1504-1574) e Luca Longhi (1507-1580).
Seguendo la consuetudine delle maggiori famiglie principesche del Cinquecento, anche gli Zampeschi ricorsero ad opere celebrative, in particolare, commissionarono i due monumenti funerari della Chiesa di San Rufillo, dedicati a Brunoro I e Brunoro II Zampeschi. 

La realizzazione del Monumento funerario di Brunoro I, più antico,  è attribuita allo scultore Jacopo Bianchi da Dulcigno, e venne fatto erigere da Antonello Zampeschi in onore del padre Brunoro I. Questi fu un uomo dalla personalità ferrea, ma di indole mutevole ed incostante.

Brunoro I fu un valoroso cavaliere al servizio di papa Giulio II a partire dal 1504, come condottiero combattè anche a fianco di Lorenzo dei Medici nel 1515, e attraverso questi passò al servizio del papa Leone X. Da lui ottenne diversi feudi in Romagna, tra cui Santarcangelo. Dopo la sua morte, il figlio Antonello Zampeschi volle seppellirlo nella chiesa di San Ruffillo a Forlimpopoli. A tale scopo commissionò a Jacopo Bianchi da Dulcigno questo monumento funerario.

L’opera riprende lo schema tradizionale fiorentino quattrocentesco dei monumenti funerari. E' composto da un arco cieco a tutto sesto con pilastri e basamento. All'interno della nicchia, distesa su un sarcofago che riprende quelli romani, vi è la figura di Brunoro I Zampeschi.
L'uomo è ritratto addormentato, coricato sul fianco ed appoggiato sul gomito per sostiene il capo con la mano sinistra. Indossa l'armatura ed ha appoggiato vicino a sé l’elmo e la spada, come se il guerriero si stesse riposando tra una battaglia e l'altra. La figura è ben proporzionata e la lavorazione manifesta una certa raffinatezza e cura nei dettagli.

Sulla parete di fondo campeggia una grande croce e più in alto si nota un fregio con teste di cherubini.

Nella lunetta è inserito un rilievo con la Madonna col Bambino, che secondo lo storico Rosetti, venne scambiato, nel trasferimento avvenuto nel 1817, con quello della Pietà del Monumento a Brunoro II. Lo stile, molto sintetico di questa lunetta, infatti è diverso da quello del resto del monumento.Curata e di grande sensibilità è tutta la parte ornamentale e decorativa tipicamente rinascimentale, che presenta motivi a grottesche, con innumerevoli elementi floreali, animali e armi.

Il Monumento funerario di Brunoro II è stato realizzato da Formaino da Ravenna; ispirato probabilmente al precedente della stessa famiglia, presenta la stessa composizione con arco trionfale impostato su pilastri e sarcofago, con ornamentazione a grottesche e stemmi.

Ultimo discendente maschio della famiglia Zampeschi, Brunoro II ebbe una vita breve (morì nel 1578 a 38 anni) e intensa, trascorsa solitamente lontano da Forlimpopoli. Nonostante la piccola statura e la corporatura gracile, fu un abile condottiero e capitano di ventura, combattè in diverse guerre, divenne governatore di Crema, della Dalmazia, e dell'isola di Candia, al servizio della repubblica di Venezia. Giovanissimo, sposò la principessa Battistina, della famiglia Savelli di Roma. Appassionato di letteratura, scrisse un trattato amoroso e alcuni sonetti.

Anzichè la figura giacente, come nel vicino Monumento a Brunoro I, Formaino ha preferito inserire un altorilievo con Brunoro II a cavallo. Il signore di Forlimpopoli viene quindi presentato come un condottiero, nel momento del suo massimo splendore, quando in armatura sul cavallo passava in rassegna i suoi soldati prima della battaglia.
Lo stile di questo artista non sembra seguire un ideale di perfezione e armonia, ma piuttosto si concentra sulla resa espressiva, attraverso un linguaggio semplice e diretto. All'incedere un po' convenzionale del cavallo e la posa irrigidita dall'armatura del cavaliere, si contrappone il movimento esuberante delle piume del cimiero, che conduce l'attenzione sullo sguardo corrucciato dell'uomo, con la visiera sollevata e voltato verso sinistra. Le increspature create da dettagli come la criniera, le piume, le decorazioni della corazza e dell'elmo, inoltre, danno più vivacità alle superfici, contrastando con le ampie superfici lisce del corpo del cavallo. Il gioco dei contrasi di superficie si ripete con coerenza anche tra la parete liscia dello sfondo che mette in risalto la scena equestre, la decorazione dei pilastri con stemmi e maschere e il fregio a festoni. Anche il sarcofago, di foggia classicheggiante, presenta una decorazione fittamente intrecciata con foglie d'acanto e girali nella fascia inferiore, motivi di armi in quella superiore. Come nell'altro monumento, è sostenuto da zampe di leone.
Nella lunetta  in alto è realizzata a bassorilievo una Pietà, che come si è già detto, secondo il Rosetti, apparteneva originariamente al Monumento di Brunoro I.  Alcuni elementi della scultura del Formaino sono in contrasto con gli ornamenti e con il Cristo che si distaccano dallo stile rinascimentale. L’opera infatti è collocata intorno alla fine del XVI secolo, dopo la morte di Brunoro II nel 1578.

Sul basamento si trova l’epigrafe che la moglie Battistina Savelli fece scrivere per il compianto marito. L’opera è stata notevolmente danneggiata, ma è ancora in gran parte leggibile.  

Ritornando all'interno,  la chiesa è divisa in tre navate e poggia  al centro su otto colonne  e due pilastri, sostegno di una cantoria ottocentesca poi demolita tra durante gli ultimi restauri tra il 1961-1963, al 1881-1882  risalgono le decorazioni  che ancora possiamo osservare nella navata centrale, in fondo ad essa, al centro del presbiterio, sono custodite le spoglie di S. Rufillo, dentro una cassa-reliquiario, che si trova nel moderno altare maggiore, opera di C. Adani (1963).

Altri elementi di rilievo sono la Cattedra marmorea del Protovescovo S. Rufillo, il coro in legno di noce del sec. XVIII, la vetrata policroma di G. Zaccheria sull'ingresso principale. Concludendo, voglio pure ricordare le gigantografie di disegni  del forlimpopolese Pietro Novaga con episodi della vita di S. Rufillo, poste attorno all'abside.   

Uscendo dalla Basilica, sotto la pioggia che ci ha sempre accompagnati, siamo andati quindi a visitare la 

Chiesa dei Servi 

dove abbiamo incontrato il sindaco di Forlimpopoli, Paolo Zoffoli, che salutando il gruppo ha illustrato l'impegno dell'Amministrazione comunale nella cura e conservazione dei Beni Artistici ed in particolare della Chiesa dei Servi e del vicino convento restaurato e valorizzato con l'insediamento di Casa Artusi che vuole perpetuare la memoria del famoso concittadino e le tradizioni gastronomiche locali, con l'obiettivo di sviluppare la memoria delle tradizioni, ma anche di sviluppare nuove opportunità imprenditoriali e occupazionali.   
La Chiesa dei Servi fu costruita verso la metà del XV secolo quando i Servi di Maria si insediarono a Forlimpopoli nell'ospedale e nell'oratorio dei Battuti Neri, locali che furono trasformati in una chiesa più ampia con annesso convento. Fu tuttavia all'inizio del '700 che i Servi diedero alla chiesa l'aspetto odierno: una serie di costruzioni alla cui sommità si staglia il caratteristico torrione settecentesco, che supera in altezza anche il campanile. Nell'interno ricco di decorazioni ed eleganti arredi spiccano sei grandi nicchie con altari ornati da dipinti di pregio. All’interno è l'altare dell'Annunciazione completato nel 1735; al centro dell'ancona dipinta e dorata è l'opera più prestigiosa della

chiesa: la pala dell'Annunciazione dipinta nel 1533 da Marco Palmezzano, allievo di Melozzo da Forlì.

 

La serata quindi è proseguita con la cena a Casa Artusi che, a detta di numerosi partecipanti, ha avuto un notevole successo.