Racoz Antonio
BELTRAMELLI VITA E LETTERATURA Racconti, approcci e letture di brani con lo
storico Prof. Dino Mengozzi ed il ricercatore Prof. Giuseppe Bellosi |
Come al solito, la serata si è aperta con il saluto de' Minestar che ha presentato
gli ospiti. Dopo la cena ha preso la parola il prof Dino Mengozzi che ha illustrato
la figura e l’opera dell’illustre romagnolo. Lo scrittore romagnolo e le sue opere non hanno purtroppo la stessa
notevole notorietà e consenso fuori dei confini della sua Romagna perché i
suoi lavori non si stampano più da anni. Il prof. Mengozzi ha citato la frase
del 1964 del critico Claudio Marabini, che scrisse sul Resto del Carlino, ‹‹… Beltramelli è circondato da un oblio
totale...››. Questo perché Beltramelli ebbe lo
strano destino di finire tra coloro che furono indicati dalla critica
letteraria del secondo dopoguerra come gli scrittori che furono responsabili
di quel cattivo gusto che caratterizzò il periodo fascista. Secondo quella
critica il Fascismo, considerato “azione”, non “pensiero”, fu prodotto da
questo cattivo gusto, cioè da una “non-cultura”. Se il Fascismo era
considerato azione, evidentemente non vi poteva essere cutura; ovviamente
questa era una critica di “sinistra”, non a caso aveva, quale suo esponente
massimo, Antonio Gramsci, che fa proprio di Beltramelli uno di questi esempi
negativi della cultura italiana che spiegherebbe il Fascismo, ed assieme a
lui tanti altri. Ma se si va alla biografia del personaggio, si vede immediatamente che
Beltramelli il Fascismo non ha avuto nemmeno il tempo di viverlo in verità. Dopo la Marcia si Roma del 1922, il Fascismo si costituì in dittatura
nel 1925 ma già nel 1927 Betramelli non scive più nulla, colpito da un cancro
che lo porterà alla morte nel 1930; quindi fu impossibile per lui essere uno
scrittore di regime. Per conoscere meglio la figura dello scrittore il
prof. Mengozzi invita alla lettura dell’ultima opera curata
dall’indimenticato Elio Santarelli “Maria Beltramelli. Alla ricerca del fratello perduto. Lettere
a Lorenzo Morigi 1933-1936, Forlì, Tipolitografia Valbonesi, 2002. Dalle
lettere si evince come la sorella, che vive nella villa lasciatale dal
fratello, non sa come arrivare a fine mese; lei non ha alcun lavoro, Antonio
non le ha lasciato null’altro che la villa, in realtà donata da una zia dello
scrittore. Maria quindi si rivolse a chi allora aveva il potere, quindi ai
gerarchi fascisti per fare pubblicate da Mondadori l’”Opera omnia” del
fratello, ed avere quindi i diritti d’autore quale sostentamento. Per questo
Beltramelli è considerato inopportunamente “scrittore di regime”,
semplicemente perché è il fascismo a pubblicare le sue opere, ma che in
realtà furono pubblicate ancor prima della Marcia su Roma, solo la Biografia del Duce è del 1923, ed il
prof. Mengozzi quindi ha concluso che di fatto non esiste in Beltramelli “lo
scrittore fascista”. Di ciò alcuni critici si sono poi accorti, come Renato
Bertaccini, professore di letteratura italiana, nonché critico letterario, scrittore,
giornalista, esperto collodiano, che ha scritto come in verità Beltramelli è
stato uno scrittore che:‹‹ha saputo mettere nelle sue pagine
una densa cronaca romagnola (…) ha saputo ritrarre la lotta di classe
trasferita nel novero delle vendette paesane››, attraverso ad un realismo
anche simpatico, non esiste quindi veramente un Beltramelli fascista, anche
perché egli, nell’ultima fase della sua vita, riesce ad imporre alle lettrici
ed ai grandi industriali che ruotavano attorno a Mussolini per goderne i
favori, la Legge sui Diritti d’Autore che loro e gli editori certamente non
volevano. Beltramelli s’impegnò in tale battaglia e seppe pure mantenere
ritta la schiena; se oggi abbiamo tale legislazione, lo dobbiamo anche allo scrittore
romagnolo ed al suo impegno. Ancora
Claudio Marabini, in un suo libro del 1961, scriveva:‹‹…La letteratura di
Beltramelli rientra in una vena della letteratura romagnola più in generale,
che è la vena picaresca, e cioè la follia che sta sotto la superficie e che
segna la grande originalità della produzione letteraria romagnola››
riferendosi, ad esempio, a Fellini, personaggi maschera che contengono però,
sotto la maschera, una profonda vena di umanità. Il professor Mengozzi ha
citato Tombari, Baldini, Tonino Guerra, ma anche Aldo Spallicci e molti dei
poeti e scrittori contemporanei, quali gli stessi Marino Monti e Sanzio Zoli
che descrive quei volti di popolo, è ed era questa la vena creativa che
appunto Beltramelli ha nutrito forse per primo. Per questi elementi, ha
sottolineato Mengozzi, Beltramelli merita un riesame. Anche se non si
pubblicano più sue opere, il suo archivio contiene ancora delel sorprese; nel
1999 a Mengozzi capitò di trovare un manoscritto dedicato al Futurismo, che
poi fu pubblicò dalla Mandragora Editrice di Imola con il titolo Ugola il futurista. Questo libro non è
certamente servito a rilanciare Beltramelli però dimostra quanto fosse ricca
la vena beltramelliana. Ma Mengozzi
è ritornato a illustrare le origini di Beltramelli parlando di uno dei suoi
più bei romanzi, Uomini rossi, un’opera
del 1904 che ebbe un discreto successo e fu subito ristampata nel 1910; Uomini rossi inventa una Romagna che è
ancora sotto i nostri occhi, la Romagna “rossa”, questa diventa un’immagine nazionale
della Romagna, quella degli uomini rossi, cioè degli uomini innamorati della
politica, sempre un po’ esagerati con un loro carattere, il carattere appunto
del romagnolo che viene poi coltivato da riviste alle quali Beltramelli non
solo collaborò, ma contribuì alla fondazione, Il Plaustro del 1911 e La
Piê che
è pubblicata ancora oggi e che nel 1919 fu fondata con Spallicci e Pratella
leggendone il programma in quella che è una sorta di Vittoriale dei romagnoli, la casa di Beltramelli a Borgo Sisa. Ma per
conoscere meglio Beltramelli, occorre esaminare la sua biografia, un dato
curioso che contiene molto del carattere dello scrittore è il fatto che egli
avesse il vezzo di ringiovanirsi, si dichiarava nel 1879, qundo in verità era
nato nel 1874. Non lo fa solo perché pure lui è un donnaiolo, ama le donne e
fa di tutto per conquistarle; vi è anche questo, ma vi è, secondo Mengozzi
qualcosa di più in verità. Se noi rileggiamo con questo sospetto la sua
autobiografia, ci rendiamo conto che vi è una sorta di dramma nella vita di
Beltramelli, un dramma interiore che poi si riflette in tutta la sua
scrittura. Già nel 1910 Renaro Serra scrisse:‹‹…la sua
opera è nata così, da una nostalgia di sogno infantile (…) che non gli sia
toccata una giovinezza solitaria e chiusa…››, non è un caso unico, anche Beethoven che voleva così
negare la famiglia di origine, voleva negare il padre. Probabilmente qualcosa
del genere è successo pure a Beltramelli, suo padre era un ufficiale
dell’esercito, uomo impegnato nelle campagne del Risorgimento, carattere
probabilmente autoritario, nel Meridione combattè il brigantaggio dal 1861 al
1864. Ritornato a Forlì si dedicò alla politica nelle fila dei Monarchici, fu
eletto nel Consiglio comunale e d in quello provinciale. Quindi un militare e
uomo di politica, un conservatore, un uomo che oggi potremmo definire di
destra. A quei
tempi la famiglia viveva in una traversa di corso Diaz, la villa della Sisa
la ereditteranno da una zia, una sorelal del padre. Gli Uomini rossi, del 1904, è
appunto dedicato al padre Francesco, che morirà solo nel 1916. Antonio
Beltramelli era un figlio tardivo, fu concepito quando il padre era di
quarantaquattrenne, allo perciò già avanti negli anni. Un figlio tardivo
quindi ed il genitore compare anche nel romanzo nelel vesti del capitano
Pietro Ramelli, che ha combattuto i briganti nel Sud e narra di avere ucciso
due preti, gloriandosene in quanto monarchico ma anche anticlericale. Il
capitano riflette le vicende del padre e, quando sente dire che:‹‹i monarchici
sono vecchi, una generazione passata!›› egli si inalbera e risponde:‹‹… ho
tanta energia da vendere a tutti quei signori, sono le nuove idee che
traviano le masse!››, quindi un tipo tutto d’un pezzo, militare severo e
tradizionalista, che trova il suo regno non in casa, ma fuori di casa, nella
politica, nella vita pubblica, è questo il problema. La ragione dell’infanzia
triste di Beltramelli è questa casa vuota per colpa della politica. C’è quest’ossessione
della politica che distrugge le famiglie, che mette le famiglie le une contro
le altre, che persino separa le famiglie all’interno di odi tra fratelli o
diversi rami della stessa famiglia; ecco la ragione, fonte di dolore. Beltramelli,
nei suoi romanzi, è ossessionato da questi personaggi che sono una sorte di
posseduti, non hanno autonomie individuali, sono posseduti dalla politica.
Loro non fanno qualche cosa deciso dal loro io ma deciso dalla politica, sino
a fare l e coltellate se uno del gruppo viene offeso, anche se personalmente
non hanno nulla in comune, la politica funziona così. Beltramelli
quindi reagisce a questa politica ridendone, cercando di metterla in
ridicolo, ecco l’esagerazione che si trova nei personaggi, l’esagerazione è
una critica a questi personaggi dominati dalla politica. Il
problema è che forse Beltramelli non riesce davvero a riderne, perché la
questione è troppo importante e lo stesso Beltramelli ne è troppo coinvolto;
per riderne davvero occorrerebbe essere in grado di starne distanti, ma la
realtà è troppo “calda” ed egli non riesce a prenderne le distanze. Beltramelli
vorrebbe fare riderne, ma molti critici, come Renato Serra, dicono che in
verità il suo, più che un riso, è una smorfia; Mengozzi però lascia ai
lettori verificare se davvero è così o se in qualche occasione Beltramelli
riesce veramente a riderne. Politica è
anche la figura del padre, un rapporto non risolto con i genitori, e questo
lo si vede in un altro aspetto di Beltramelli, nel suo stile di scrittore. Lo
stile di uno scrittore è un poco la sua virilità, egli deve avere il coraggio
e la forza di intervenire sulla propria scrittura impietosamente, togliendo
quello che c’è di più, sapendo costruirsi un proprio stile, una propria
personalità. La scrittura è uno specchio terribile, ebbene, Beltramelli questa
forza virile non ce l’ha. Egli è innamorato di se stesso, è infantile, non è
capace di togliere una riga alla sua scrittura, non rinuncia a nulla di essa,
è incapace di severità verso se stesso, è in un certo modo un bambino. E quest’analisi
è supportata da altri elementi di lui che ne evidenziano questi aspetti come
ad esempio, le donne, o sono delle ragazzine (egli sposa una giapponesina
giovanissima) oppure sono donne più mature di lui, figure materne.
Beltramelli non ha una via di mezzo, fidanzato con una contessa molto più
vecchia di lui, le concede di poter andare in bicicletta (cosa molto
riprovevole a quei tempi) dimostrando di essere uomo moderno,
all’avanguardia. A questo
punto Mengozzi ha lasciato la parola al professor Bellosi che ha letto l’inizio
del 3° capitolo de romanzo Uomini rossi.
Nel brano l’autore
fa un ritratto degli anarchici forlivesi, una colonia di anarchici molto
nutrita, con personaggi eccezionali, che Beltramelli ha conosciuto e
descritti, e conclude:‹‹…tutta l’anarchia si riassumeva in questi sei tipi, i
quali non avrebbero minacciata neppur l’ombra di un uomo, eppure, nella gaia
città del piano essi erano come il simbolo di ogni crudeltà, di ogni efferatezza
onde non avveniva assassio o furto senza che la coscienza pubblica ne l’incolpasse!››. Riprendendo
la parola il professor Mengozzi ha messo in evidenza come il brano mostri uno
dei nodi, chi tratta da delinquenti questi “ribelli” è proprio Francesco, il
padre di Beltramelli, che nel romanzo li raffigura in tal modo. Qui c’è un
rapporto non risolto con la figura del padre, e nelle descrizioni, più che
realismo, Beltramelli usa l’esagerazione, la caricatura, eppure, se noi
volessimo fare un riscontro strorico, noi troveremmo che egli, in fondo,
racconta la verità. In uno di questi personaggi possiamo ritrovare ê zop ad Vitori, di cui esiste nella Pinacoteca
comunale la testa scolpita nientemeno da Bernardino Boifava, scultore del
ventennio. Quindi vi
sono elementi di realismo in questa cronaca paesana e politica. Riguardo ai
contenuti del romanzo va ricordato come uno dei critici di Beltramelli,
Renato Serra, con il suo saggio critico del 1910 forse segnò in qualche
misura il destino negativo dello scrittore, ma, fra tutte le opere di questi,
salvava tuttavia proprio Uomini rossi. Serra
scrisse che per i contenuti la Romagna di Beltramenlli è una Romagna che non
esiste, questi personaggi caricaturali erano personaggi inesistenti, di
fantasia, contrariamente al riscontro storico che si è precedentemente evidenziato.
La storia tuttavia è a volte crudele e paradossale, perché proprio Serra, che
negava la Romagna anche violenta che compare nel romanzo di Beltramelli,
vivrà sulla sua pelle una di quelle pagine della Romagna violenta. Tal
episodio è stato raccontato da Dino Pieri nel libro Appuntamento a mezzanotte. Renato Serra e uno
scandalo di provincia, edito da La Mandragora Editrice, egli ha ricostruito un episodio capitato a
Renato Serra il 4 dicembre 1911, un anno dopo la critica a Beltramelli ed alla
sua inesistente Romagna. Serra
subisce a Cesena l’assalto di un marito geloso che a colpi di spranga e di
pistola cerca di ucciderlo, ma egli, visto le intenzioni dell’energumeno,
estrae la pistola che portava sempre con sé e gli spara per primo senza
colpirlo per l’emozione. L’altro invece gli spara tre colpi, una pallottola
gli spezza un braccio, un’altra gli stacca metà del padiglione di un orecchio
e la terza viene fermata casualmente da un borsellino che Serra normalmente
teneva nella tasca di dietro dei pantaloni ma, caso vuole, quella mattina si
era messo nel taschino della giacca. Quindi Serra doveva la vita a quel
borsellino ed alle monete in esso contenute, una vera e propria pagina della
Romagna descritta da Beltramelli. Ma l’ira dell’energumeno non si ferma qui,
egli va a casa e con un coltello da tasca sfregia la moglie “infedele”,
guadagnondosi così cinque mesi di carcere. Scontata la
pena, si rimette alla caccia di Serra, che l’aveva disonorato, e vediamo che
qui si decide il destino di Renato Serra. Egli deve lasciare Cesena per
sfuggire all’ira del marito tradito e furibondo, quindi si arruolerà,
trovando la morte in guerra. Quindi l’originalità
di Uomini rossi sta nel descrivere
questa Romagna che esiste, come se esiste!, dove però la politica non è la
politica, ma come dice lo stesso Beltramelli è la puletica, cioè il volto popolare della politica. L’aspetto
originale della Romagna è che precocemente si politicizza nei ceti bassi. La
politica, intesa come argomento dei ceti intellettuali, quelli che leggono
quotidiani e riviste, in Romagna non esiste, non c’è una vera separazione di
classe; Ferrero scrive che in Romagna non vi è ancora un modo di vita
borghese, ma un modo di vita pre-borghese, quindi l’interclassismo. Naturalmente
i ceti bassi vivono la politica come una religione. Un altro elemento che
Serra non aveva individuato in Beltramelli era il suo forte impegno nel
documentarsi sulla vita politica del paese; a Forlì esiste l’Archivio
Beltramelli, la figlia dello scrittore, per poche lire, diede tutte le carte
del padre al Comune di Forlì. Chi ha
visitato tale archivio avrà notato i “cartoncini” con i ritagli di articoli
di giornale, spesso relativi a congressi di partito. Beltramelli quindi,
prima di scrivere, si documenta, in questo esiste un aspetto orginale, egli
ha il piglio del giornalista, lui racconta una storia, ma non, come fanno gli
scrittori, una storia di un secolo prima, Beltramelli scrive la storia mentre
essa si compie, giorno per giorno, con la grande capacità intuitiva propria
del giornalista. Per questo occorre riflettere sul romanzo Il passo dell’ignota, edito da
Mondadori nel 1927, un romanzo sui conflitti agrari, rurali romagnoli;
Beltramelli scive ciò che sta accademdo in quel tempo. Ritornando
al romanzo Uomini rossi ed alla
trama di questo, è tipicamente romagnola incentrata sulla fuga di amore di
due giovani appartenti a casate politiche diverse; lui è figlio di una
notevole famiglia clericale, confidente del vescovo di Forlì, lei è la figlia
del sindaco repubblicano, quindi i due giovani appartengono a due “religioni”
diverse, non si possono sposare. I due giovani quindi scappano in montagna,
verso San Benedetto e qui si sviluppa la trama, come ritrovarli, i conflitti
che nascono tra rossi e neri, clericalie anticlericali, ecc.,
ma Mengozzi non ha voluto raccontare come il tutto finisce per non togliere
ad eventuali lettori il gusto della sorpresa. La trama è
piuttosto esile, Beltramelli tesse il tutto attorno ad una serie di conflitti
tra le famiglie per ragioni politiche, quindi ha passato la parola a Bellosi
che ha letto un altro momento del romanzo, una scena d’ambiente romagnola
molto interessante, corale, un pranzo che il sindaco organizza a casa sua in
occasione di una visita in Romagna di alcuni scienziati. La filosofia seguita
dal padrone di casa è questa “ non si
offre, serve!”, quello che veniva dato, occorreva mangiarlo, a rischio di
scoppiare. È seguito
quindi un altro brano che rappresenta in un certo modo la conclusione
politica, dove si vede ancora quel conflitto non risolto tra Beltramelli e la
politica. Proseguendo nella narrazione, è accaduto che il Segretario dei
Repubblicani, Ardito Popolini, ha ricevuto un telegramma da Roma, dalla Direzione
del Partito, quindi ha radunato i compagni nel circolo per informarli che è
stato informato da Roma che il deputato romagnolo eletto nelle ultime
elezioni è arrivato alla Camera e qui ha fatto una proclamazione nella quale
ha dichiarato decaduta la Monarchia ed incredibilmente hanno votato a favore.
La scena è quella della Romagna ancora un po’ esagerata ma in questo caso vi
è pure l’utopia politica della Repubblica, cioè di un mondo diverso, di un’Italia
che non esiste perché in quel tempo è l’Italia dei Savoia, finalmente l’utopia
realizzata. |