A fine gara, il sabato. A fine gara, il mercoledì. Nell'affanno di raccogliere le diecimila lire a testa e nella fretta di fare prima possibile la doccia e andare a casa - anche - a mangiare qualcosa, ci (vi) si chiede, rispettivamente: ci stai mercoledì? Ci stai sabato?
Le risposte, in altri momenti e per altre occasioni sicuramente lineari, sintetiche e chiare, diventano, negli spogliatoi, tra i vapori spessi dell'acqua calda e Dio solo sa di cos'altro, stranamente contorte sibilline farraginose e pletoriche. Sarà anche per il fatto, ho pensato, che in mezzo a tutte quelle antenne scarsamente tarate che compaiono all'improvviso come pezzi importanti delle nostre anatomie, i messaggi passano con difficoltà dal trasmittente al ricevente.
Eccone un esempio: "Il fatto è che, se poi fa caldo, chi ce la fa a correre? Ci vorrebbe una temperatura fresca, ma non fredda, al tempo stesso un po' ventilata, che ti aiuta a respirare...insomma una temperatura intorno ai venti-venticinque gradi. Facciamo così, se supera i venticinque gradi non giochiamo, sennò giochiamo". E qui vengono a galla le solite obiezioni di natura prettamente logica che già conoscete per averle il sottoscritto malignamente e ripetutamente sottoposte alla vostra riflessione: ma i 25°, dove andranno misurati, in quale zona di Teramo, al sole o all'ombra, e, poi, a che ora del giorno e con quanto anticipo rispetto all'inizio della partita? E se le condizioni atmosferiche dovessero cambiare all'improvviso durante il corso della gara?