ELEMENTI DI MECCANICA QUANTISTICA

 

Problematiche generali. Natura della luce

La natura corpuscolare e ondulatoria della luce era oggetto di dibattito nel 1700. La teoria corpuscolare che ebbe il suo massimo sostenitore e studioso in Newton affermava che la luce  era composta di corpuscoli o particelle, soggette alle leggi della meccanica. La teoria ondulatoria sosteneva che la luce  era un ‘onda elastica che si propaga attraverso l’etere. I suoi sostenitori erano Huyghens, Fresnel . 

La teoria corpuscolare spiegava le leggi dell’ottica geometrica ma non i fenomeni di interferenza, diffrazione, diffusione. La teoria ondulatoria al contrario spiegava molto bene questi fenomeni ma non l’ottica geometrica. Solo dopo la formulazione da parte di Maxwell  delle sue quattro equazioni  fu dimostrato che tutte le radiazioni sono di natura elettromagnetica  compresa la luce.

Nel 1848 Maxwell formulò le  quattro leggi dell’elettromagnetismo e dimostrò teoricamente l’esistenza delle onde elettromagnetiche.

La teoria dell’elettromagnetismo aveva, tuttavia, dei limiti.

Un problema che si presentò agli scienziati alla fine del 1800 fu la radiazione termica emessa dai corpi caldi e le discrepanze fra risultati teorici e sperimentali.

Furono,inoltre, scoperti dei fenomeni, quali l’effetto fotoelettrico, effetto Compton che non potevano essere spiegati con tali leggi ma , anzi, apparivano in contrasto con esse.

Fu soprattutto lo studio delle particelle sub-atomiche a richiedere l’elaborazione di nuove teorie.

 

Il corpo nero

Tutti i corpi  a qualunque temperatura emettono radiazioni.  A temperatura ambiente la radiazione  si trova nell’infrarosso, quindi invisibile. A temperatura elevata i corpi diventano incandescenti e la radiazione emessa si sposta verso lunghezze d’onda più corte. Lo spettro della radiazione è uno spettro continuo, cioè sono presenti tutte le lunghezze d’onda dell’intervallo di emissione che gli è caratteristico.

Una superficie capace di assorbire nello stesso modo tutte le radiazioni che riceve, indipendentemente dalla loro frequenza, si chiama “corpo nero”.

La radiazione emessa da un corpo nero può essere studiata disperdendola con un prisma e misurando l’intensità delle singole radiazioni emergenti dal prisma.

 

In pratica è impossibile avere una superficie perfettamente nera.

Si può ottenere, sperimentalmente, una radiazione con le stesse caratteristiche praticando un piccolo foro in un forno a temperatura uniforme. La radiazione che penetra viene riflessa e assorbita al suo interno rimanendone imprigionata. Infatti qualsiasi radiazione incidente sul foro dall’esterno sarà quasi completamente assorbita a causa delle riflessioni multiple all’interno, avrà quindi una probabilità piccolissima di uscire. Una cavità siffatta è chiamata cavità di Kirchhoff.

 

Interpretazione teorica

Secondo la meccanica classica era possibile  ottenere lo spettro del corpo nero immaginando che gli atomi della superficie interna della cavità agissero come delle piccole antenne in grado di assorbire e poi emettere la radiazione elettromagnetica, in pratica gli elettroni colpiti da radiazione si comportano come degli oscillatori che emettono radiazioni della stessa lunghezza d’onda incidente, in tutte le direzioni.

Il loro moto oscillatorio si trasmette agli atomi aumentandone l’agitazione termica, quindi una parte dell’energia trasmessa si trasforma in calore.

La relazione ricavata per via teorica da Rayleigh e Jeans  è l’equazione di una parabola il cui grafico della densità di energia in funzione della frequenza è in accordo con il modello classico ma non trova conferme sperimentali. Questa legge prevede inoltre che  qualunque radiazione venga introdotta all’interno del corpo, dopo una serie di emissioni e assorbimenti ci sarà un emissione di raggi ultravioletti, X, γ molto più intensi della radiazione visibile, ovvero se si invia una radiazione infrarossa all’interno della cavità essa subirà una trasformazione in rosso ,viola, X, γ e di conseguenza sarà sempre più penetrante. Questo fenomeno venne definito da Ehrenfest catastrofe ultravioletta.

Il modello classico, proposto da Rayleigh e Jeans, spiega l’emissione del corpo nero tenendo conto del fatto  che ogni oscillatore presente nel corpo assorbe ed emette  radiazione della  stessa  frequenza con cui vibra. Si ottiene in questo modo uno spettro continuo.

I fisici Stefan e Boltzman nel 1879 utilizzando le conoscenze di termodinamica ricavarono la legge che lega l’energia emessa da un corpo nero con la temperatura

La legge di Stefan-Boltzman afferma che l’intensità di irraggiamento di un corpo nero, numericamente uguale alla quantità di potenza emessa per unità di superficie, misurata in Watt fratto metro quadrato, è direttamente proporzionale alla quarta potenza della temperatura.

 

IE = P/S = σ ·T4

σ = 5,67×10-5 (Watt/m2K4)  costante di Boltzman

 

Dalla distribuzione spettrale dell’intensità della radiazione in funzione della lunghezza d’onda, si nota che l’intensità tende a zero per piccoli e grandi valori della lunghezza d’onda e presenta un massimo per un valore l che dipende solo dalla temperatura.

Dai grafici ricavati a diverse temperature si vede che maggiore è la temperatura, minore è la lunghezza d’onda.

La legge di Wien consente di determinare la lunghezza d’onda massima, nota la temperatura del corpo, o al contrario, nota la temperatura determinarne la lunghezza d’onda.

 

Spettro del corpo nero

Dallo studio dello spettro di emissione del corpo nero si nota che:

Ø          la lunghezza d’onda a cui corrisponde il massimo di irraggiamento diminuisce all’aumentare della temperatura.

Ø          l’intensità totale della radiazione emessa aumenta con la temperatura.

Ø          A una determinata temperatura la curva presenta un massimo di intensità. Il valore dell’intensità diminuisce alle lunghezze d’onda inferiori e superiori

 

 

Confrontando la curva teorica e quella sperimentale della distribuzione della radiazione di un corpo nero in funzione della lunghezza d’onda, si vede che quella teorica è in accordo con quella sperimentale solo per valori di l elevati.

Il metodo usato per ottenere tale curva era basato sui postulati della termodinamica e della fisica classica secondo i quali:

“la radiazione elettromagnetica è un’onda elettromagnetica emessa e assorbita da elettroni oscillanti”.

Secondo la meccanica classica il corpo  nero dovrebbe emettere radiazione con una intensità inversamente proporzionale alla quarta potenza della lunghezza d’onda, quindi I=k / λ4.

Poiché l’intensità di irraggiamento totale è dato dall’area sottesa dalla curva I(λ), al diminuire di λ cresce la distribuzione spettrale, quindi l’energia emessa sotto forma di onda elettromagnetica dovrebbe essere infinita.

L’andamento previsto dalla fisica classica è in netto contrasto con la legge di Wien ottenuta sperimentalmente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ipotesi di Planck

La fisica classica non era in grado di spiegare le caratteristiche della radiazione.

Planck pensò di modificare la seguente teoria classica dell’emissione.

Tale teoria classica affermava che:

un elettrone in moto oscillatorio con una certa frequenza f, può emettere o assorbire in modo continuo radiazioni elettromagnetiche della stessa frequenza”.

Egli, quindi, ipotizzò che gli oscillatori all’interno del corpo nero  potessero acquistare ed emettere energia non con continuità ma per salti quindi l’assorbimento o emissione di energia non avviene in modo continuo ma solo in “quanti discreti” di energia.

I valori dell’energia  di un oscillatore sono multipli interi di una quantità minima ν proporzionale alla frequenza di oscillazione.

Gli scambi di energia fra radiazione ed oscillatore possono avvenire solo per valori discreti, multipli interi di  h·ν. La conclusione di Planck fu che l’energia come la materia avesse una struttura discontinua.

Il valore molto piccolo di h fa si che anche l’energia sia un valore molto piccolo

Quindi abbiamo che un quanto elementare di energia (o atomo di energia) è pari a      E = h·n

Il valore della costante h nella legge di Planck, chiamata appunto costante di Planck, si ottiene dal confronto tra la legge di Planck  e i risultati sperimentali.

Il valore di h è:  h = 6,626·10-34J·s

 

L’effetto fotoelettrico

 

Si definisce effetto fotoelettrico  l’emissione di elettroni dalla superficie di un materiale fotosensibile.

Il fenomeno fu osservato da H.Hertz prima e da Lenard poi. L’esperimento si realizza in un tubo in cui viene praticato il vuoto: fra anodo e catodo viene  applicata una differenza di potenziale  variabile, mediante un generatore e un reostato. La luce colpisce il catodo che emette elettroni. Si ha un passaggio di corrente segnalato dal galvanometro inserito nel circuito.

 

 

Gli elettroni colpiti dalla radiazione  ed emessi dal catodo, vengono accelerati per tensioni positive tra catodo e  anodo, acquistano energia cinetica, dando luogo ad una fotocorrente.

Secondo la teoria classica l’energia cinetica dei fotoelettroni aumenta con l’intensità della radiazione, ma l’esperienza  mostra che EC(energia cinetica)= e·V (prodotto della carica dell’elettrone per il potenziale) non dipende dalla intensità della radiazione.

 

Frequenza di soglia

L’energia  degli elettroni emessi dal metallo non dipende dall’intensità della radiazione incidente ma dalla frequenza della radiazione.

Se la frequenza della radiazione incidente  supera un valore ν0 della frequenza detta frequenza di soglia, caratteristica per ogni  materiale, si ha emissione di elettroni.

 

 

 

 

Secondo la fisica classica, al crescere dell’intensità luminosa dovrebbe crescere l’ energia cinetica degli elettroni, quindi una maggiore intensità luminosa dovrebbe dar luogo ad emissione di elettroni con una energia cinetica maggiore. Poiché l’energia della radiazione è direttamente proporzionale alla sua intensità, per estrarre gli elettroni dal metallo deve essere loro fornita una energia superiore  a quella che li tiene legati al metallo, quindi proporzionale alla intensità luminosa,  indipendentemente dalla frequenza.

Il fenomeno fu spiegato da Einstein  riprendendo la relazione di Planck per la radiazione del corpo nero:

l’energia irradiata e assorbita dai corpi non può variare di una quantità arbitrariamente piccola, ma risulta sempre uguale o multipla di una quantità finita di energia, che è quella associata ad un fotone.

Einstein stabilisce che le onde elettromagnetiche si comportano come particelle che viaggiano nello spazio in pacchetti chiamati fotoni. L’energia di un fotone è data dalla relazione E=hν.

 

                                         

 

 

L’effetto fotoelettrico può essere spiegato nel seguente modo:

Per estrarre un elettrone dalla superficie di un metallo occorre compiere un lavoro e dunque spendere una certa quantità di energia , chiamata “energia di estrazione” E0

Si ha emissione di elettroni solo se l’energia fornita all’elettrone dal fotone è maggiore di quella necessaria ad estrarlo dal metallo, quindi una parte viene spesa nel lavoro di estrazione la restante parte viene acquistata come energia cinetica dell’elettrone.

Se non vi sono perdite dovute ad urti con gli atomi del metallo, l’energia di un elettrone che assorbe un fotone è data da:      h·ν= E0+E

dove E0=h·ν0 è l’energia necessaria per uscire dal metallo e E è l’energia cinetica  acquistata dall’elettrone. Con l’ipotesi dei quanti si eliminano le apparenti discrepanze fra teoria ed esperienza: infatti se aumenta l’intensità luminosa aumenta solamente il numero di elettroni emessi dal catodo quindi aumenta solo la fotocorrente.

Se la radiazione ha un’energia E < h·ν0   quindi   E = 0  gli elettroni non possono uscire dal metallo  di conseguenza non vi è fotocorrente.

La radiazione elettromagnetica libera elettroni solo se l’energia di ogni fotone è maggiore di E0

h·ν > E0                    da cui:     ν > E0 /h

       La frequenza   ν =  E0 /h

 è chiamata “soglia fotoelettrica”.

 

Un elettrone del  metallo che ha ricevuto da un fotone l’energia h·ν , spende una parte di tale energia per uscire dal metallo, l’energia rimanente:

E = h·ν -  E0

 

si manifesta sotto forma di energia cinetica dell’elettrone e aumenta linearmente col crescere della frequenza della radiazione.

Gli elettroni emergono con energie cinetiche differenti perché essi hanno all’interno dell’atomo energie di legame diverse.

L’ipotesi dei quanti di luce  spiega i fenomeni che la fisica classica non è in grado di chiarire.

Se aumenta l’intensità luminosa, aumenta il numero dei fotoni che colpisce il catodo di conseguenza aumenta il numero degli elettroni emessi ma non la loro energia cinetica.

Al disotto di una certa frequenza i fotoni non hanno energia per liberare elettroni. L’energia hν0  posseduta da un fotone viene ceduta all’elettrone, ma questa energia viene spesa dall’elettrone per uscire dal metallo, non basta quindi per fornirgli energia cinetica,  non si ha fotocorrente.

Non si può verificare alcun ritardo nell’emissione di elettroni perché l’energia viene assorbita in quantità discrete  e non in maniera continua e progressiva.

 

Effetto Compton

 

L’esperimento decisivo nei riguardi dell’esistenza dei quanti di radiazione e dunque la manifestazione di un aspetto corpuscolare della radiazione, è lo studio della diffusione di  radiazione di frequenza elevata, raggi X e γ, da  parte di solidi.

Compton eseguì un esperimento di diffusione  di un fascio monocromatico di raggi X su un blocco di grafite.

Compton studiò, più precisamente, la diffusione su grafite di raggi X di lunghezza d’onda λ=0,7Å, corrispondente ad una energia di circa 20 KeV, molto maggiore dell’energia di legame degli elettroni più esterni del carbonio.

L’unità di misura eV è chiamata elettronvolt, che corrisponde all’energia che acquista un elettrone accelerato da una differenza di potenziale di un volt. 1eV = 1,6·10-19J

Egli osservò due fatti importanti:

 

 

 

La fisica classica non è in grado di spiegare  la radiazione diffusa perchè considera i raggi X come onde elettromagnetiche che colpiscono gli elettroni dei materiali  i quali oscillano con la stessa frequenza della radiazione incidente. Questi elettroni sono analoghi agli elettroni oscillanti di una antenna, quindi assorbono ed emettono onde elettromagnetiche della stessa frequenza.

Compton osservò che:

La radiazione diffusa da elettroni liberi  ha due componenti:

Una componente viene spiegata mediante la teoria ondulatoria della radiazione.

La seconda  chiamata “componente Compton” è dovuta alla collisione fotone-elettrone quasi libero.

 

 

 

 

 

Compton ipotizzò che  il fascio di raggi X non fosse un’ onda ma un pacchetto di fotoni di energia E= h·ν che, urtando con gli elettroni del materiale, trasferiscono una parte della loro energia  a questi  come avviene nell’urto  elastico fra  particelle. Si può  fare una analogia con l’urto fra due palle da biliardo.

Nel processo di diffusione un fotone con energia E =  h·ν e quantità di moto p, urta un elettrone a riposo. Dopo l’urto l’elettrone acquista una quantità di moto p’ e  energia E’    muovendosi in una direzione  che forma un angolo j con la direzione del fotone incidente.

L’energia e la quantità di moto del fotone diffuso sono minori di quello incidente.

Supposto l’urto elastico, applicando il principio di conservazione dell’energia e della quantità di moto, si arriva  a determinare lo spostamento osservato della lunghezza d’onda dei fotoni diffusi.

 

 

 

 

La fisica per molto tempo si trovò di fronte ad una situazione  complessa a seconda che dovesse spiegare i diversi fenomeni osservati.

La teoria ondulatoria della luce spiega esperimenti classici su interferenza, diffrazione e polarizzazione della luce.

Questa teoria non riesce a spiegare fenomeni in cui interagiscono materia e radiazione, quali lo spettro del corpo nero ed effetto fotoelettrico.

Questi fenomeni sono invece spiegati con l’introduzione dei fotoni. In questa teoria i fotoni non sono dei veri e propri corpuscoli, infatti a differenza delle particelle viaggiano alla velocità della luce ma non hanno massa.