Immaginazione, coinvolgimento e soprattutto emozione: sono le parole chiave per le imprese del
terzo millennio. Già applicate da aziende come Hp, Canon e General electric.
Va' dove ti porta il cuore. Non è un richiamo al best seller di Susanna Tamaro, ma è l'ultima trovata
manageriale sulla strada della qualità. Le aziende hanno sempre puntato tutto su fatti e cifre eppure
la percezione della qualità dal punto di vista del consumatore non ha a che fare solamente con
giudizi freddi riguardo convenienze e costi.
Non è solo la mente razionale a giocare un ruolo importante nello scegliere beni e servizi, anche le
emozioni pretendono la loro parte: il fatto è che spesso è sottostimata. C'è chi si spinge oltre,
convinto che per essere vincenti nel terzo millennio le aziende dovranno portare "le intuizioni
dell'immaginazione poetica fuori dalle soffitte e dentro le sale dei Consigli di amministrazione e delle
fabbriche". Non solo per trovare la propria strada attraverso il turbinio dei cambiamenti, "ma anche
perché la poesia esige di rendere conto a una comunità umana, cioè richiede radicamento e
responsabilità anche nel cambiamento". L'autore in questione è David White, poeta inglese che ha
messo la sua fervida immaginazione al servizio di multinazionali americane. Ne Il risveglio del cuore
in azienda, un saggio pubblicato di recente, nella versione italiana, dalla Guerini associati, White
analizza la scissione tra vita lavorativa e psiche umana e come l'anima cerchi di curare e preservare la
propria esistenza, schiacciata tra le pressioni della programmazione e dell'ambizione. Le conclusioni,
motivate dalla sua stessa esperienza personale di poeta-consulente aziendale, sono che l'uno ha
bisogno dell'altro. "Fino a ora il mondo del commercio si è tenuto lontano da questo mondo
nascosto", scrive White," più spesso le organizzazioni hanno considerato i desideri sotterranei e
apparentemente eccentrici come la fonte di continue interruzioni alla normale attività produttiva e al
perseguimento dei propri obiettivi". "Ora tutto ciò sta cambiando", è la visione del consulente-poeta,
"richiedendo continuamente ai propri manager e operai sempre maggior creatività, dedizione e
adattabilità, per la prima volta nella sua breve storia il mondo aziendale sta avanzando in punta di
piedi, proprio verso il luogo da cui quella dedizione, quella creatività e adattabilità non possono che
provenire: il luogo turbolento dove l'anima di un individuo si forma e si esprime".
Anche l'azienda ha un'anima.
L'invito a manager e professionisti aziendali è "di affrontare il lavoro in
modo più contemplativo, cioè meditare sui problemi lavorativi tanto con il cuore quanto con la
mente". E se la strada della super-qualità, dopo aver appiattito piramidi aziendali, infranto gerarchie
storicamente inossidabili, invertito il flusso della comunicazione, avesse ora scoperto che anche
l'azienda ha un'anima? Alla Hewlett-Packard ne sono convinti soprattutto se quest'ultima parla il
linguaggio delle emozioni del consumatore. La società, una delle multinazionali più convinte
dell'applicazione della total quality, dopo averla messa in pratica per oltre dieci anni, ha pensato che
fosse giunto il momento di reinventarla. E per fare questo sono andati a vedere cosa facevano i
concorrenti. Nonostante tutti i programmi di qualià parlassero di soddisfazione del consumatore, le
aziende facevano ben poco in concreto per realizzarla.
Inoltre, in contrasto con il ritmo crescente dello sviluppo della tecnologia nel business, la
metodologia della qualità sembrava congelata agli inizi della sua applicazione. "In sostanza ci siamo
resi conto che la qualità era datata", dice Richard LeVitt, direttore corporate quality della
Hewlett-Packard "che non era in grado di affrontare le nuove sfide emergenti e i ritmi crescenti della
globalizzazione. Era necessario un nuovo approccio, che si concentrasse sull'esperienza unica e
personale del consumatore con la compagnia, una strada che desse più spazio all'intuizione e alla
passione per il cliente oltre che ai dati e alle analisi".
Il peso delle intuizioni. Nasce così quality 1 on 1, un programma realmente concentrato sul
consumatore come individuo con emozioni e reazioni del tutto personali, che la multinazionale ha
lanciato in una conferenza interna nel novembre del 1995 lasciando via libera alla sperimentazione da
parte delle unità di tutto il mondo nei tempi e nei modi di applicazione. Il concetto sulla carta è
semplice. Basta pensare al vino, la cui qualità non dipende solamente da come sono cresciute le viti,
da come è stata pigiata l'uva, dalla fermentazione del mosto; ma alla fine quello che conta è
l'esperienza sensoriale del consumatore, che ne apprezza colore, aroma, gusto in base a criteri del
tutto personali. Lo stesso vale per i prodotti ad alta tecnologia. La qualità non è completa finché non
lascia la sua impressione su qualcuno. Tutta l'organizzazione deve concentrarsi sul consumatore e su
come questi percepisce la qualità, e quindi agire sistematicamente su quelle conoscenze per
accrescere il business. Ma come? Sviluppando l'intuizione basata su storie ed esperienze personali
piuttosto che su statistiche e ricerche di mercato. Solo in questo modo si possono capire i problemi
individuali e gli obbiettivi del consumatore e, per quanto è possibile, collaborare alla loro soluzione.
Ogni persona all'interno dell'organizzazione deve imparare a ragionare in questo modo e a prendersi
così a cuore le sorti del cliente da desiderare di agire per il suo bene.
E così le emozioni, per tradizione bandite dalle compagini aziendali come elemento di turbativa della
produttività, vi fanno capolino sotto il segno della qualità. I sintomi del cambiamento erano già
nell'aria. Negli ultimi tempi nella selezione e nella valutazione dei futuri manager ha cominciato a
farsi strada un criterio nuovo, il q.e., quoziente emotivo, più collegato al mondo della fantasia e
dell'intuizione rispetto al q.i., quoziente intellettivo, freddo indicatore della capacità raziocinante del
candidato.
L'originale è giapponese. L'esperienza giapponese prima e quella americana poi della total quality è
sicuramente più radicata di quella europea. Esistono modelli collaudati e programmi di supporto che
fanno da esempio alle aziende che li vogliono applicare. Uno di questi è 6 Sigma, nato in Motorola
nel 1987, a sostegno del programma di qualità totale. Il presidente Bob Galvin inviò una lettera a
tutti i dipendenti sfidandoli in un obiettivo quasi impossibile: migliorare la qualità di 10 volte entro il
1989, di cento volte entro il 1991, raggiungendo la qualità 6 Sigma entro l'anno successivo: e cioè al
massimo 3,4 difetti per milione nei processi principali della società, dal produttivo al commerciale,
all'amministrativo. I risultati sono stati significativi: produttività aumentata del 126% in 7 anni, tasso
di difettosità dei semiconduttori di 2 parti per miliardo, riduzione del 90% della difettosità dei
processi ogni due anni, risparmi di 2,2 miliardi di dollari ottenuti dal 1989 al 1995. Sulla stessa onda,
Jack Welch, ceo della General electric, la società che ha il maggior valore di mercato
(capitalizzazione di Borsa) a livello mondiale, alla fine del 1995 ha lanciato la sua "Vision 2000" di
cui è parte integrante il progetto 6 Sigma, dichiarando che la compagnia avrebbe investito nel 1997
300 milioni di dollari nella qualità, con la previsione di risparmi tra i 400 e i 500 milioni e di un
aumento del profitto operativo tra i 100 e i 200 milioni di dollari: "una valanga che rotolerà sopra i
nostri concorrenti meno focalizzati sulla qualità".
I benefici di 6 Sigma sono caduti a pioggia anche sulle unità italiane, che naturalmente hanno messo
in pratica la lezione della casa madre. In particolare alla Nuovo Pignone. Ma ci sono altri esempi. Sia
la Ibm sia l'Abb made in Italy hanno ottenuto una riduzione delle difettosità superiori all'80% nei
processi analizzati con 6 Sigma. Gli europei prima sono stati a guardare, poi lentamente hanno
cercato in qualche modo di adeguarsi e per non fare brutte figure intorno al 1988 si sono creati una
fondazione, la European fondation for quality management, con tanto di premio, consegnato ogni
anno all'azienda che più eccelle nella qualità.
Seconda generazione. Nel Vecchio Continente ha registrato un forte interesse lo standard Iso 9000,
ormai superato. Per la nuova qualità ora il mondo del management è in cerca di nuove definizioni.
Oltretutto si tratta di norme standardizzate che da sole non contribuiscono alla competitività
dell'azienda. "La qualità basata sulle Iso 9000 è tipica di una gestione incentrata su standard, per
questo vissuta in termini obbligatori", dice Alberto Galgano, presidente dell'omonimo gruppo di
consulenti di direzione. "Molte aziende sanno che per vendere si devono fare certificare. Le
normative Iso poi si sono progressivamente arricchite, e sicuramente dal 1998-1999 includeranno
condizioni che spingeranno in due direzioni: da un lato al miglioramento continuo, dall'altro al
potenziamento dell'aspetto umano e a una cura maggiore del personale".
"Ma non è tutto", aggiunge il consulente. "La qualità totale è una rivoluzione, un diverso modo di
pensare basato non sulle norme ma sulle persone, che coinvolge ogni livello dell'azienda a
cominciare dalla leadership". Le Iso non fanno eccellenza e per dirla con punteggi e parametri di
riferimento della qualità, se per la certificazione un'azienda deve raggiungere 300 punti, per
classificarsi con il modello europeo ne deve realizzare almeno 700. "Indicativo è l'esempio del
giocatore di calcio", semplifica Galgano: "se in campo non rispettasse norme e regolamenti
sarebbero guai, ma al tempo stesso il fatto che la squadra conosca alla perfezione fuorigioco e linea
di fondo campo non le garantisce la vittoria". La Canon Italia, per esempio, la duemillesima azienda
certificata da Dnv secondo Iso 9000, ha voluto certificare il proprio servizio di assistenza tecnica
come valore aggiunto sulla strada del total quality commitment. "Per noi la certificazione Iso 9000 è
un punto di partenza", afferma Hiroshi Komatsuzaki, presidente di Canon Italia, "uno stimolo a
raggiungere altri riconoscimenti universalmente approvati. Del resto il nostro target è un'azienda
zero defect, un obiettivo decisamente ambizioso ma al quale puntiamo con estrema volontà".
L'attività legale della certificazione di Canon Italia, iniziata nel marzo 1996, si è conclusa nel luglio
1997 con un impegno di quattro persone a tempo pieno sul progetto, di circa 30 persone coinvolte
nella stesura del manuale della qualità e delle procedure e di oltre 200 persone addestrate.