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Lo sfruttamento sessuale dei minori e le tecnologie informatiche

 

1.  Introduzione

 

Parlare della legge 269/98 significa camminare sul filo di lama che separa le posizioni di chi da una parte ne vede l'espressione massima e perfetta di un Parlamento che definitivamente rifiuta qualsiasi sfruttamento dei minori e di chi dall'altra ne sottolinea l'inutile insistere sui mezzi telematici, quasi a voler porre dei paletti, delle censure soprattutto alla rete di internet.

Occorre dunque fare un notevole sforzo intellettuale per mantenere il senso dell'equilibrio, su un tema che tra l'altro coinvolge aspetti sociologici, criminologici e, per quanto riguarda le vittime, psicologici non indifferenti; sforzo che è tanto più grande quanto più si predilige un punto di vista particolare, per certi versi "defilato" rispetto alle impostazioni tradizionali che analizzano semplicemente i vari reati ivi previsti.

Ed è esattamente ciò che si propone di dare questa trattazione, ossia uno scorcio, uno sguardo sui reati previsti dalla legge da quel particolare osservatorio che è rappresentato dalle tecnologie informatiche e soprattutto da internet, per gli uni il principale responsabile della diffusione della pornografia minorile, per gli altri la vittima di una caccia alle streghe senza precedenti.

Ciò che alcuni purtroppo scordano è che la rete, come del resto ogni altro portato del progresso informatica, non è che un mezzo e in quanto tale suscettibile degli usi più disparati, non esclusi quelli illeciti: ma le responsabilità, specie in materia penale, son pur sempre personali e i reati della legge 269/98 sono reati di persone che usano la rete, non certo reati della rete.

Fatte queste premesse necessarie occorre inquadrare la normativa nell'ambito dei nostro sistema penale (ma anche processuale penale).

La legge 3 agosto 1998 n. 269 recante "Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, dei turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù", nasce a seguito di due precedenti normativi cui esplicitamente si riferisce l'art. 1; si tratta della "Convenzione sui diritti dei fanciullo" ratificata ai sensi della L. 176/91 e la dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma dei 31/08/1996.  Tali riferimenti sono importanti sia perché rimandano la legislazione italiana alla normativa internazionale inquadrandola in un contesto più ampio, sia perché sottolineano ancora che "la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico psicologico spirituale morale e sociale, costituisce obiettivo primario perseguito dall'Italia' (art. 1 l. cit.).

 

Interessante è la sedes materiae in cui il legislatore ha voluto inserire la disciplina della novella, ossia ì "Delitti contro la libertà individuale" alla prima sezione del capo III, "Delitti contro la personalità individuale"; interessante perché riallaccia la disciplina della prostituzione minorile, della pornografia e del turismo sessuale in danno di minori, a quella della riduzione in schiavitù e dei reati ad essa collegati, considerando quei reati come nuove forme di riduzione in schiavitù.  Tutto ciò ci spinge a considerare separatamente le condotte di sfruttamento del minore ai fini criminosi previsti dalla legge e le condotte di violenza sessuale perpetrata in danno del minore sanzionate dagli artt. 609 bis e ss.

 

Due condotte diverse, ben definite, che certamente possono essere realizzate contestualmente, ma che in questo caso danno luogo ad una pluralità di reati; due condotte, eventualmente e non necessariamente collegate (il minore potrebbe al limite essere consenziente e, sopra i 14 anni, esprimere anche un consenso valido; nonostante ciò, per esempio, è configurabile il reato di induzione o di sfruttamento o di favoreggiamento della prostituzione rispondendo ex art. 600 bis C.P.).

 

 

2.    I reati previsti dalla legge 269/98

 

a) Reati connessi alla prostituzione minorile

 

art. 600-bis: «"Prostituzione Mínorile".  Chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni 18 ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire 30 milioni a 300 milioni.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato[i], chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa fra i 14 e i 16 anni in cambio di denaro o di altra utilità economica è punito con la reclusione da sei mesi a tre armi o con la multa non inferiore a lire 10 milioni.

La pena è ridotta di un terzo se colui che commette il fatto è persona minore di anni 18».

 

Il disposto dell'art. 600 bis incrimina le tre fattispecie di reato legate alla prostituzione già previste e incriminate dalla L. 75/98.  In sostanza l'articolo che novella il codice va a sostituire l'art. 4 della legge Merlin, che prevedeva come aggravante l'induzione, il favoreggiamento e/o lo sfruttamento della prostituzione, laddove il soggetto passivo fosse un minore. E’ una svolta nella politica criminale, in quanto non solo innalza i limiti edittati della pena, ma trasforma una circostanza aggravante (e come tale soggetta al giudizio di bilanciamento ex art. 69 C.P.), in reato autonomo realizzando una tutela più incisiva.

Così inquadrata la fattispecie tipica, è interessante valutare se e in quale misura il mezzo telematico, inteso in senso lato, possa divenire strumento per la realizzazione di uno dei reati di cui all'art. 600 bis. Trascurando le condotte di sfruttamento e di favoreggiamento che, per loro natura non tollerano realizzazioni attraverso strumenti mediatici, potrebbe a mio avviso essere di estremo interesse considerare la possibilità di realizzare il diritto induzione alla prostituzione attraverso la "navigazione" sulla rete di internet. Essendo infatti necessaria e sufficiente, per rispondere dei reato di induzione, una condotta tesa ad istigare o a persuadere taluno a prostituirsi, anche senza violenze, è astrattamente possibile realizzare tale condotta anche attraverso scambi di messaggi in rete.  Ed è possibile altresì che tale induzione sia finalizzata alla realizzazione di altri delitti (in particolare quelli inerenti la pornografia minorile). Sull'argomento sarà interessante seguire gli sviluppi della giurisprudenza, per ora è ipotesi scolastica.

 

b) Pornografia minorile

art. 600-ter: «"Pornografia Minorile".  Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di PRODURRE materiale pornografico è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni.

Alla stessa pena soggiace chi fa COMMERCIO del materiale pornografico di cui al primo comma.

Chiunque, fuori dalle ipotesi di cui al primo e secondo comma, CON QUALSIASI MEZZO, ANCHE PER VIA TELEMATICA, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cento milioni.

Chiunque, al dì fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, CONSAPEVOLMENTE cede ad altri, ANCHE A TITOLO GRATUITO, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire tre milioni a lire dieci milioni».

 

art. 600-quater: «"Detenzione di materiale pornografico".  Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 600 ter, CONSAPEVOLMENTE si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale di minori degli ami diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa non inferiore a lire tre milioni».

 

I due articoli dedicati alla pornografia minorile, come si può vedere, incriminano numerose fattispecie che meriterebbero un'ampia trattazione; ai fini del nostro lavoro sarà utile dare un quadro generale della disciplina, per poi sollevare alcuni problemi.

 

Al primo comma si parla di sfruttamento di minori al fine di realizzare esibizioni o produrre materiale pornografico.  Molto si è discusso e molto ancora si discute sul termine “produrre”: alcuni escludono dal comportamento incriminato al primo comma la condotta di chi produce tale materiale artigianalmente e per uso personale.  Una tale interpretazione[ii] tuttavia non può essere accolta anche perché renderebbe sostanzialmente non punibili anche la divulgazione, la cessione e lo stesso commercio di quel materiale artigianalmente prodotto, dacché i commi successivi incriminano sempre e solo le condotte suddette con riferimento al "materiale di cui al primo comma".  Senza contare che molto spesso, laddove la produzione avviene in modo "artigianale", fra sfruttatore e minore sfruttato esistono strette relazioni familiari o sociali in genere che rendono il fatto in sé ancor più grave, ancor più offensivo (si pensi per esempio alla disciplina delle aggravanti prevista all'art. 61 n. 11, C.P.).

 

Del resto la "produzione" non meglio qualificata e perciò ragionevolmente estesa alla produzione artigianale, non è che il dolo specifico dell'ipotesi criminale prevista al primo comma, non è che il fine a cui tende la condotta incriminata di SFRUTTAMENTO; questa condotta rappresenta per l'appunto l'evento e perfeziona il reato di per sé nel momento in cui si verifica con la finalità prevista dalla disposizione: la produzione deve essere voluta ma non è necessario che si realizzi effettivamente.

 

Il secondo comma incrimina al contrario il COMMERCIO del materiale pornografico con analoga sanzione edittale.  Cosa si intenda per far commercio, tuttavia, va rilevato contestualmente alla definizione di "cessione" del materiale pornografico che si riscontra al comma quarto: in definitiva, lasciando una più accurata distinzione alla giurisprudenza nei casi concreti, è plausibile che si intenda commercio nel senso di attività commerciale organizzata con                 riferimento all’impresa commerciale, laddove la cessione riguarda uno scambio anche verso corrispettivo e tuttavia a titolo individuale; una differenza che non è certo da poco se si considera che lo sbarramento al minimo della pena è per il commercio a 6 anni e per la cessione a 15 giorni (art. 23 C.P.). Detto ciò per l'analisi del comma 3' e dell'art. 600-quater si rinvia infra dove il discorso verrà affrontato con specifico riferimento alle tecnologie informatiche (cfr. § 3, "Anche per via telematica").

 

c) Turismo sessuale

art. 600-quinquies: «"Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile".  Chiunque organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno dei minori o comunque comprendenti tale attività è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire trenta a lire trecento milioni».

 

Articolo interessante e spaventoso.  Un minimo di sei anni se può al limite tollerarsi per chi organizza tali viaggi pare eccessivo per chi semplicemente li propaganda.  Tanto più eccessivo se si considera che tali viaggi possono avere anche altre finalità (turistiche, lavorative, ecc.) e comprendere come accessoria la finalità di fruizione della prostituzione minorile.  Un’incriminazione del resto incomprensibile nella sua gravità se paragonata a quella della divulgazione e pubblicizzazione di materiale pornografico (su cui infra, § 3) sbarrate nel minimo a un anno.  Del resto il dubbio viene anche nell'applicazione pratica: è punibile il tour operator che pubblicizza e vende un "pacchetto turistico" per un noto ci paradiso sessuale" in cui è possibile (e talora probabile) che l'acquirente fruisca dell'attività di prostituzione di minori?  Può essere imputato di dolo eventuale?

Interrogativi preoccupanti che tuttavia esulano dalla trattazione e che altrove troveranno (o è sperabile che trovino) soluzione.

 

 

3.    Anche per via telematica ...

 

a) Distribuzione, divulgazione e pubblicizzazione

 

Il 3° comma dell'art. 600 ter incrimina ben sette (ma in ipotesi potrebbero essere 12) condotte che possono essere intese stante la formulazione della disposizione, come altrettanti reati autonomi e indipendenti l'uno dall'altro.  Occorre innanzitutto fare il punto sul significato di questi tre termini.  Una proposta potrebbe essere la seguente:

 

·        DISTRIBUIRE: mettere a disposizione di un numero indefinibile di terzi il materiale pornografico;

·        DIVULGARE:         rendere noto, rendere pubblico il materiale pornografico;

·        PUBBLICIZZARE:         render noto che il materiale pornografico è reso noto o messo a disposizione, ossia informare i terzi della possibilità di fruirne, talora anche invitarli a fruirne.

 

Queste tre condotte possono realizzarsi, per cadere nelle previsioni dell'articolo in questione, sia avendo ad oggetto direttamente il materiale pornografico, sia avendo ad oggetto notizie o informazioni (che, in attesa di una convincente ratio che porti a sdoppiarle in due concetti diversi possono considerarsi un'endiadi) finalizzate o all'adescamento o allo sfruttamento[iii] e sottostanno ad una pena edittale compresa fra 1 e 5 anni con l'aggiunta della multa da 5 a 100 milioni.

 

E’ singolare dei resto ciò che viene rimarcato in questo comma, ossia che le condotte ivi incriminate si realizzano “con qualsiasi mezzo, anche per via telematica".  Singolare innanzitutto per la scelta di tecnica legislativa assolutamente reprensibile, perché inutile ("qualsiasi mezzo” include anche il mezzo informatico e telematico) e perché va a svilire gli altri mezzi, quasi che, se il reato non è commesso con mezzo telematico, sia per ciò solo,meno grave.  Singolare poi perché denota da una parte un diffuso timore nei confronti della "via telematica" e dall'altra una visione dei problema in un certo senso parziale, sicuramente riferita ad un particolare tipo di problemi che sono sollevati dalla "rete".  Fatta questa considerazione non ci pare tuttavia che si possa affermare, come tanti hanno fatto, che questa disposizione (e in generale tutta la legge) sia un tentativo di censura, un tentativo di "mettere il bavaglio" al mezzo telematico: l'impressione che si può ricavare è certamente di trovarsi di fronte ad una legge non “buona”, non "perfetta" (per quanto approvata all'unanimità), ma ciò non significa che tutti gli interpreti debbano esimersi dal migliorarla.  Se alla fine la legge sortirà l'effetto di generare una caccia alle streghe la colpa sarà certo dì un complesso dì disposizioni imperfette, malfatte, ma ancor più di quegli interpreti che laddove potevano, non le hanno migliorate, traducendole in norme coerenti.  Pertanto pare importante valutare la posizione di quei soggetti che operando in rete si espongono particolarmente alla disciplina prevista dalla legge: innanzitutto la posizione dell'internet provider, ossia di quei soggetto che fornisce a terzi l'accesso alla rete telematica oltre che ad una serie di servizi, news-groups, pagine Web, ecc. In particolare, con riguardo a questa figura sono stati sollevati numerosi problemi inerenti la responsabilità ci vile e penale cui, ad avviso di alcuni Autori e di certa giurisprudenza, va soggetta per gli illeciti civili e penali commessi in rete.  Tralasciando la materia civilistica occorre concentrarsi sulla questione penalistica.

Ci si chiede in sostanza se l'internet provider risponda penalmente dei reati commessi per mezzo della rete a cui dà accesso e in particolare se possa essere perseguito in base alla legge 269198 come "distributore" in quanto mette a disposizione di terzi siti contenenti materiale incriminato.

Le sentenze sulla materia sono poche e di indirizzo contrastante: è infatti accaduto che alcuni internet providers siano stati condannati per una diramazione commessa con il tramite della rete, mentre in altri casi (es.  Ord.  Trib.  Roma dei 4 luglio 1998) tale responsabilità è stata esclusa denegando il sequestro del server.  E parallelamente, malgrado non si abbiano sentenze in questo senso potrebbe anche affermarsi la responsabilità penale in quanto distributore di materiale prodotto da terzi per i propri utenti o prodotto e/o divulgato dai propri utenti per terzi: tutto ciò potrebbe avvenire poiché, in quanto dominus dei servizio, sarebbe altresì tenuto a vigilare affinché tramite l'accesso in rete da lui fornito gli utenti non commettano reati.  In fondo, il riferimento normativo cui si può ricondurre una tale interpretazione è quello della culpa in vigilando propria della nuova disciplina dei reati a mezzo stampa. Al di là della discutibile equiparazione dei provider al direttore responsabile di un giornale ciò che non convince in tale ricostruzione è il fatto che si trascuri a cuor leggero il problema dell'inesigibilità della condotta lecita.  Per meglio dire, anche tralasciando il fatto che non esiste alcun obbligo giuridico di controllo, ci si deve porre il problema se il provider possa materialmente esercitare un controllo sul materiale che tramite il proprio server viene immesso in rete.

E’ chiaro che tale verifica non è neppure ipotizzabile, sia perché i dati immessi possono essere in un numero elevatissimo, sia perché non è escluso che i dati stessi possano essere criptati.  Diverso è certamente il caso in cui sia il provider a immettere in rete del materiale illegale o a fornire servizi da lui approntati contenenti materiale illegale, ma in queste ipotesi sono configurabili anche altri reati, come la divulgazione o la pubblicizzazione.  In questo senso mi pare che laddove il comportamento alternativo sia inesigibile non possa essere configurabile in capo al provider alcuna responsabilità per fatto di terzi, pena la violazione dell'art. 27 Cost.

A conclusione si può dunque riassumere la posizione dei "dominus" del pacchetto di dati illeciti (ossia del materiale pornografico minorile) come segue:

Ø     se informa dell'esistenza del materiale è PUBBLICIZZATORE;

Ø     se immette il materiale in rete è DIVULGATORE;

Ø     se mostra il materiale nel proprio sito è DISTRIBUTORE.

 

E’ tuttavia evidente come nella pratica la condotta di divulgazione come nella pratica la condotta dì divulgazione e distribuzione tendano a differenziarsi poco.

Un'ultima notazione merita ancora un problema di interpretazione della norma in relazione alla divulgazione di notizie finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento: in fondo la finalizzazione è un concetto relativo sia al soggetto che fornisce le notizie, sia al soggetto che le richiede; se lo si interpretasse in senso oggettivo si giungerebbe al paradosso di poter condannare un qualunque scambio informativo inerente minori, anche l'informazione giornalistica che denuncia “siti pornografici”, salva l'esimente del diritto di cronaca.

 

b)      Detenzione di materiale pornografico coinvolgente minori

L'art. 600 quater incrimina la condotta di chi CONSAPEVOLMENTE si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante sfruttamento dei minori, al di fuori della ipotesi dell'art. 600 ter: detto in altri termini chi dispone di tale

materiale perché lo ha prodotto non risponde anche dei reato di detenzione.

Se localizzato dal punto di vista da noi prescelto il cenno alla detenzione solleva numerose problematiche dacché i termini "si procura" e "dispone» nel mondo di Internet acquistano un significato del tutto peculiare.  Infatti, chiunque acceda ad un sito in cui sia contenuto materiale incriminato assume, per ciò solo la veste di chi si procura - attraverso il collegamento - e dispone di tali dati illeciti.  Non solo; i browser, ossia i programmi che consentono la navigazione in internet di solito memorizzano automaticamente nel sistema dell'utente tutto il percorso di connessione da questi seguito, nonché tutto ciò che compare in video durante la navigazione: l'utente quindi si trova a ricevere e conservare nel suo sistema informatica dei dati illeciti magari anche senza averne conoscenza.  Per ovviare a tale inconveniente è pur vero che può eliminare tali funzioni, ma, anche ammesso che il browser consenta di escluderle (e ciò non sempre avviene), l'eliminazione potrebbe comportare altri svantaggi tecnici.

I problemi suesposti sono solo mitigati dal fatto che la norma richieda che la condotta sia CONSAPEVOLE. Cosa significa procurarsi o disporre consapevolmente di materiale incriminato?

Certamente non si vuole intendere il concetto di suitas, ossia di appartenenza psicologica, poiché è questo il sostrato necessario per ogni reato.  Né ovviamente si deve ritenere un'indicazione della necessarietà dei dolo dato che, non essendo prevista la forma colposa, è già pacifico che il reato conosca solo la realizzazione dolosa ex art. 42, 2° comma C.P. Dovrebbe pertanto concludersi che perché           la condotta sia consapevole  colui che si procura dovrebbe conoscere il contenuto dei dati che acquisisce: una posizione assolutamente ragionevole.  Se non che toccherebbe proprio all'utente dimostrare la propria inconsapevolezza, con tutti i problemi che ciò comporta laddove per esempio la detenzione dei dati sia scoperta nel corso di un'inchiesta su presunti reati commessi dall'utente in danno dei minori.

 

Tutto ciò dimostra che è necessaria una applicazione della norma ben ponderata per evitare il rischio, già da molti evidenziato, di creare dei mostri o di instaurare una caccia alle streghe fondata su un sostrato dì ignoranza dei problema; tanto più grave se si pensa che la legge non incrimina esplicitamente la "visita" in un sito che contiene materiale illegale, bensì l'acquisizione e il possesso delle immagini: ma nella misura in cui non c'è "visita" senza "acquisizione" nel senso prima esposto anche il semplice accesso diventa per lo meno insidioso per l'utente.

Per questi motivi sarebbe stata forse più consona al trattamento penale di queste condotte la previsione di un dolo specifico nella norma che incriminasse dunque non il fatto della detenzione (per quanto consapevole) in sé e per sé, bensì la detenzione finalizzava per ipotesi, alla diffusione o alla divulgazione, per un pieno rispetto dei valori costituzionali della libertà di pensiero e della libertà sessuale.  Ma sul problema ci intratterremo  più avanti.

 

 

 

4.  Tätershuld o responsabilità personale colpevole

 

Finora parlando dei reati previsti dalla I. 269/98 ci siamo soffermati sull'indagine testuale e sulle problematiche interpretative che solleva.  A questo punto il tentativo è quello di dare una definizione di alcuni termini che finora abbiamo utilizzato forse nella convinzione che non avessero bisogno di ulteriori specificazioni.

 

a) La pornografia minorile

 

Se finora abbiamo fatto riferimento alla "pornografia minorile" senza definirla è perché in genere tutti hanno un'idea vaga di cosa si intenda con tale termine; del resto se ora se ne tenta una definizione è per valutare in concreto cosa possa definirsi pornografia e cosa no.

 

A differenza di quanto si potrebbe pensare, infatti, la categoria della "pornografia", ben lungi dall'essere un concetto oggettivamente inteso, ha fortissime connotazioni soggettive, tali da spingere numerosi Autori ad accostarla al concetto di “pudore” che tanto è stato dibattuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

 

Il problema sta tutto nel fatto che la stessa raffigurazione può essere o non essere pornografica a seconda di chi la guarda.  Un esempio mi sembra illuminante: un padre scatta alcune fotografie al figlio di pochi anni mentre gioca sulla spiaggia senza costume.  Ovviamente nella foto in sé non c'è nulla di male e non c'è nulla di pornografico, ma se la stessa immagine giungesse nelle mani di un pedofilo forse allora acquisterebbe una valenza pornografica.  Un ragionamento di questo tipo è però di una pericolosità dirompente perché significa ritenere che la stessa condotta (es. la detenzione) integra gli estremi dei reato o meno a seconda del tipo d'autore con una emblematica applicazione pratica della più sviluppata Tätershuld-Theorie.  Per non parlare dei rischio che potrebbe correre quello stesso padre che crea un sito Web personale con le foto della famiglia al mare, o invia la foto tramite e-mail ad un parente lontano.

La via d'uscita da questa impasse potrebbe trovarsi dall'attenta lettura dell'art. 600 ter, 1° comma (anche se, come vedremo, suscita più problemi di quanti ne risolva): in sostanza si potrebbe dire che ìi materiale "pornografico” incriminato è solo quello prodotto mediante lo SFRUTTAMENTO di minori.

Soluzione certo ragionevole, che tuttavia sposta la questione sulla definizione di sfruttamento (che analizzeremo infra); per ora lasciamo il problema in sospeso e ammettiamo che questa interpretazione sia appagante: cosa accade allora se un individuo detiene materiale "pornografico" raffigurante minori?  La risposta è: dipende da come se lo è procurato.  Se per esempio ha scattato foto di minori su una spiaggia o ha “scaricato" da internet delle foto "di famiglia" nel senso sopra indicato potremo dire forse che siamo di fronte a materiale prodotto mediante lo sfruttamento di minori?  Forse in senso lato si potrebbe anche ammettere (es. sfruttamento dell'immagine), ma non dimentichiamo che lo sfruttamento cui si riferisce il codice penale dovrebbe intendersi in senso meno immateriale, vista la sedes materige, ossia dovrebbe intendersi come sfruttamento sessuale in senso stretto.

E’ dunque chiaro che il rischio di ricadere da una parte nell'affermazione di una colpa d'autore e dall'altra in una - almeno ipotetica - impunità è forte e non può essere liquidato semplicemente.

Senza contare che il concetto così sfuggente di pornografia potrebbe al limite urtare contro la libertà di espressione artistica: senza andare a scomodare forme d'arte come il cinema o come la pittura qualora si raffigurino minori in scene scabrose od osé, che dire della semplice pubblicità laddove si raffigurino minori anche in tenera età durante il cambio di un pannolino o sotto la doccia?

Sono esempi semplicistici, che tuttavia rendono l'idea dei problema che stiamo affrontando e dei rischi che comporta: il fatto è che, come notato da alcuni autori "omnia immunda immundis" ed è questo un problema serio con cui confrontarsi. Tutto insomma ritorna a concentrarsi sul fruitore delle immagini, sull'autore delle condotte: il quale tuttavia non deve perseguirsi in quanto ímmundus, bensì se e nella misura in cui la sua condotta sarà offensiva per il minore. Il pedofilo non può essere perseguito per la sua “anomalia" sessuale (ammesso e non concesso che si possano stabilire una volta per tutte regole ed eccezioni in tale campo), ma può e deve essere perseguito quando il suo comportamento "anomalo" si estrinseca in condotte materialmente offensive, ossia tutte quelle condotte riconducibili allo sfruttamento.

Questa è la dimensione in cui dunque il problema va inquadrato, dimensione che per quanto insoddisfacente per certi versi è il punto dì vista dei principi costituzionali che sanciscono la libertà e l'uguaglianza nonché la responsabilità penale personale e colpevole, l'unica realmente sostenibile.

 

b) Lo sfruttamento

 

Abbiamo poc'anzi lasciato in sospeso il problema dello sfruttamento.  Come sì è già detto non pare soddisfacente adottare una definizione dì sfruttamento troppo ampia fino a ricomprendervi lo sfruttamento dell'immagine ad esempio per la semplice, ma efficace ragione che la condotta perfettiva dei reato di cui all'art. 600 ter, comma 1, devono essere concettualmente assimilabili alla riduzione in schiavitù, ossia devono essere interpretate, come dall’intitolazione della legge “quali nuove forme di riduzione in schiavitù"; le polemiche sul punto sono state numerose: in particolare alcuni autori, fra cui Zeno Zencovich, hanno apertamente criticato la decisione di inserire questi reati con esplicito riferimento alla riduzione in schiavitù, in quanto potenzialmente atti a svilire il concetto stesso di schiavitù. Certamente una posizione condivisibile.  Tuttavia, anche a voler criticare la scelta di politica criminale compiuta dal Parlamento, resta il dato testuale della novella al codice penale che esplicitamente incrimina lo sfruttamento dei minori finalizzato alla produzione di materiale pornografico. Tenendo presente quanto detto in precedenza sub 4/a si potrebbe giungere ad affermare che i reati vertenti su detto materiale non incriminano in realtà questo in quanto tale, incriminano lo sfruttamento esercitato sul minore al fine di farlo prostituire, o di realizzare esibizioni o di commercializzarle. L'elemento di sfruttamento di tutti questi casi è imprescindibile e tuttavia pone problemi in relazione anche ad altre norme dei codice penale.

Ad esempio l'art. 609 quater che incrimina gli atti sessuali con un minorenne: la disciplina dell'articolo non prevede la perseguibilità degli atti sessuali compiuti da un maggiorenne con un minore ultraquattordicenne (eccezionalmente ultrasedicenne), lasciando dunque intendere che il consenso all'atto sessuale può essere validamente espresso già dal quattordicenne.  Ma questo consenso appare estraneo e totalmente irrilevante nel caso in cui il rapporto sia verso corrispettivo, nel qual caso il "cliente" sottostà ad una pena edittale che nel minimo prevede sei mesi di reclusione, nel caso in cui il minore non abbia compiuto gli anni sedici (con aggravamenti di pena sotto i quattordici anni).

Ciò che appare incomprensibile è tuttavia se e come opera il consenso nell'ipotesi dell'art. 600 ter. La norma non lo nomina e dunque in teoria dovrebbe ritenersi irrilevante; ma è plausibile che il legislatore ritenga rilevante il consenso del quattordicenne ad un atto sessuale e non quello di un sedicenne o di un diciassettenne ad un'esibizione, per quanto pornografica?  E inoltre, c'è sfruttamento se l'esibizione è retribuita?  Il problema mi pare aperto, anche perché la sua eventuale soluzione in senso negativo sarebbe gravida di conseguenze inficiando la non punibilità né del commercio, né della divulgazione, diffusione o pubblicizzazione, nonché della cessione del materiale prodotto (laddove però si dimostrasse che lo sfruttamento del minore al fine di produrre materiale pornografico sia condotta identica allo sfruttamento sessuale dei minori: identità che a mio avviso dovrebbe essere tutt'altro che pacifica).

Evidenziato questo aspetto, merita attenzione anche un altro punto: il materiale pornografico potrebbe essere prodotto in ipotesi anche senza sfruttare in alcun modo il minore, e non già perché in presenza di un "consenso" del soggetto passivo stesso, quanto più perché la persona fisica del minore non viene minimamente interessata. E’ l'ipotesi, tutt'altro che scolastica, che l'immagine pornografica sia il risultato di una "manipolazione" effettuata su una foto o un filmato assolutamente innocente raffigurante un minore: in fondo non occorrono neppure mezzi troppo sofisticati né troppo costosi, uno scanner e un apposito software possono essere più che sufficienti.  Come comportarci in questi casi?  Sostanzialmente si ha una produzione di materiale pornografico, raffigurante minori finalizzato magari al commercio o alla cessione, ma anche alla divulgazione e diffusione, ma che non risulterebbe punibile mancando l'indefettibile elemento dello sfruttamento del minore (accettando l'ipotesi che si parli sempre dello stesso tipo di sfruttamento).  E se non sono punibili le condotte dell'art. 600 ter, neppure lo è quella dei 600 quater mancando lo stesso requisito: accadrebbe così che, nel momento in cui viene accertata la detenzione, si dovrebbe risalire immediatamente all'origine del materiale per vedere se c'è o meno lo sfruttamento sessuale del minore raffigurato; con i problemi che si possono immaginare nel caso in cui l'acquisizione (volontaria e consapevole) avvenga per via telematica[iv]

 

5.      Conclusioni insoddisfacenti.

 

La trattazione suesposta ha cercato in primo luogo di stimolare il dibattito su punti specifici assai problematici nell'interpretazione della legge: giunti al termine sarebbe il caso di tirare le somme, di trarre delle conclusioni.  E ahimè saranno conclusioni insoddisfacenti.

Insoddisfacenti perché innanzitutto si rischia di dare della legge o un'interpretazione assolutamente rigida e inaccettabilmente punitiva, o un'interpretazione più corretta dal punto di vista giuridico, ma che non realizza (o non realizza completamente) l'intenzione del legislatore di bloccare la diffusione di materiale pornografico infantile, intenzione chiarissima nel momento in cui si incrimina la detenzione del materiale stesso.

E tuttavia questa seconda lettura, che comporta problemi enormi dal punto di vista applicativo e che potrebbe essere attaccata dall'indignazione dell'opinione pubblica, è l'unica possibile nel rispetto dei principi costituzionali.

Una lettura certamente garantista - ma in un diritto penale che vuoi essere "civile” guai a non esserlo - che vorrebbe, se non altro, stabilire dei confini precisi alla perseguibilità di determinate condotte.  Magari recuperando una differenza non meramente lessicale, quella fra pedofilia e pederastia nel senso più greco dei termini, che ci permette di distinguere l'affetto, l'amore in senso spirituale verso un minore (che in molte situazioni sarebbe più che necessario) dall'approccio più sessuale, più fisico nei confronti del minore, questo sì, entro certi limiti, deprecabile e perseguibile qualora si concreti nel reato di cui all'art. 609 quater o in una delle fattispecie dell'art. 600 ter; reintrodurre nel linguaggio legislativo e nel linguaggio corrente tale differenziazione semantica può essere un buon punto di partenza per costruire un diritto penale a tutela dei minori che non criminalizzi un modo di essere, un istinto naturale, bensì le condotte di reato realizzate dal non controllo di questo istinto.  Ma fino a che ciò non avvenga, tocca all'interprete analizzare con rigore la disposizione, darne una lettura problematica, al limite prospettare soluzioni; se non altro per limitarne i danni.  

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Aggiornato a giovedì 23 maggio 2002