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S. KIERKEGAARD: L'irriducibilità di un enigma
S. Kierkegaard, nel seguente brano ci ha lasciato una bellissima memoria poetica. Egli si attarda volutamente in un'assorta e malinconica intimità; una brusca contrapposizione di sentimenti, una lucida altalena di emozioni.
"Una mattina già al levarmi dal letto, mi sentii in uno stato insolito di benessere; quel senso di benessere, contrariamente a tutti i casi analoghi, continuò a crescere per tutta la mattina; all'una in punto avevo toccato il vertice più alto, e presentivo quel massimo che dà le vertigini e che non si trova registrato in nessun termometro del benessere, nemmeno in quello poetico.
Il corpo non aveva più il suo peso terrestre; mi pareva ormai di non avere più corpo affatto, appunto perchè ciascuna delle funzioni godeva il suo pieno soddisfacimento; ogni nervo si accordava alla perfezione con se stesso, e vibrava in armonia con l'intero sistema; ogni pulsazione nell'irrequietezza dell'organismo, non ricordava e non testimoniava se non la voluttà del momento. La mia andatura era leggera, non come volo di uccello che solca 1'aria e abbandona la terra, bensì come ondeggia la semente mossa dal vento, come si culla briaco di nostalgia il mare, come trascorrono trasognate le nubi. Il mio essere non era se non trasparenza, come il profondo meditare del lago, come il silenzio compiaciuto della notte, come la quiete monologante del meriggio. Ogni nota mi si componeva nell'anima in melodia. Ogni pensiero mi si prefiggeva con una gioia beata, la più pazza delle trovate non meno che la più ricca delle idee. Ogni impressione, io la presentivo prima che venisse; era dunque già desta nel mio intimo. Tutta l'esistenza era come dire, innamorata di me; vibrava in un solo concerto, gravido di destino con il mio essere; tutto in me era augurale, tutto misteriosamente trasfigurato nella mia microcosmica beatitudine; questa beatitudine trasfigurava a sua volta in sè ogni cosa, anche il disagio, anche la più fastidiosa delle osservazioni, la più repellente delle viste, il più fatale degli scontri. Come dicevo all'una in punto avevo toccato il vertice più alto, onde intravedevo il massimo raggiungibile; ed ecco all'improvviso qualcosa comincia a prudermi in un occhio. Che cosa fosse, un ciglio, una piuma, un pulviscolo, io non lo so; so questo solo: in quell'istante preciso, piombai nel baratro della disperazione". (38-S. Kierkegaard)
In S. Kierkegaard la malinconia apre ad una concezione paradossale dell'esistenza che non può essere interpretata nei termini del razionalismo scientifico. Impressioni di malinconia costellano tutto il suo diario: "La mia vita come tutto nella sfera a cui appartengo e per cui io lavoro è la sfera del paradosso; il positivo è riconoscibile dal negativo la mia vita è continua malinconia come una notte". ( 39-S. Kierkegaard )
La conoscenza umana, dice Kierkegaard, si dà tanto da fare per capire, ma se vuole capire se stessa deve semplicemente stabilire il paradosso: 'L' assurdo, il paradosso, è costruito in modo che la ragione da sola non può risolverlo e mostrare che non ha senso.
Esso è un segno, un enigma, un enigma di sintesi, di cui la ragione deve dire: è irriducibile, incomprensibile, ma non perciò un non senso". (40-S. Kierkegaard) La malinconia di questo filosofo ci appare come la notte paradossale della vita che può essere letta per mezzo di una conoscenza comprensiva e intuitiva che passa tanto attraverso l'affettività che l'intelletto.
Questo atteggiamento conoscitivo lo possiamo avvicinare al logos di Eraclito, come ne parla Mistura ( 41-Mistura):
- E' l'amico intimo che è in grado di svelare gli enigmi dell'uomo, che accede all'intelletto e all'esperienza.
- E' l'inconscio Freudiano che parla per bocca di un indovino o di un aforisma.
- E' il fanciullo che gioca e si rivolge incessante a tutte le cose intuendole e contemplandole. Ci riferiamo ad un luogo del conoscere che permette di accedere a una dimensione esistenziale, dove il razionale e l'irrazionale sono mirabilmente fusi: - la parola che racchiude il genio di Kierkegaard, le intuizioni illuminate e le allegorie espresse nel pensiero di Nietzsche, il verbo che si fa carne nella teologia cristiana. Il logos di Eraclito, la ragione come sostanza del mondo, l'esistenza ci riportano alla nascita, al venir fuori, all'emergere della vita nella ricerca del suo significato da parte dell'uomo.
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