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D.A.P.: Disturbo da attacchi di panico.

L'attacco di panico sembra essere una duplice condanna per il malato: da una parte l'ansia, la tachicardia, i sudori freddi, dall'altra la paura non fondata di non poter essere aiutati. Lo sconforto sta nel rendersi conto che l'unico modo per comunicare con gli altri è il malessere. O meglio, il rifiuto di agire. A prendere il treno, a salire sull'autobus, a fare la fila in banca, a viaggiare in auto. Un corteo di "no" che, al tempo stesso, respingono e attraggono pazienti ed amici, paziente e familiari. Di qui, l'esigenza sentita dal malato, dai parenti e dal medico di avere un sicuro sistema di comunicazione. Un atteggiamento capace di rassicurare senza assecondare le paure del paziente. Familiari ed amici devono imparare alcune regole base se vogliono davvero dare una mano al malato. Non sempre la reazione spontanea è quella giusta. Ecco perchè nascono queste pagine, che vuole aiutare chi, nelle emergenze come nella vita di tutti i giorni, soffre di attacchi di panico. Il disturbo da attacchi di panico (DAP) è una malattia caratterizzata dalla presenza, nel corso di un certo periodo di tempo, di numerosi episodi di ansia acuta, chiamata, appunto, PANICO. Per essere panico, l'ansia deve essere spontanea e inaspettata. Durante un periodo di tempo molto breve, abitualmente qualche minuto, ma anche fino a un ora come massimo, il paziente vive un'esperienza intensissima e traumatizzante di paura psicologica e fisica. Immaginiamo che stia riposando, oppure guidando l'auto o ancora cenando con gli amici: giunge senza preavviso un fortissimo e incontrollabile senso di paura, di prossimità di svenimento o addirittura morte. Questa sensazione psicologica è determinata da molti e dolorosi segni fisici. Questi sono il cuore che batte all'impazzata, il respiro che si fa affannoso, le mani e i piedi ghiacciati, la nausea, la sudorazione profusa, i tremori accentuati. Si è letteralmente paralizzati dalla certezza che la vita se ne stia andando. Un vero tormento che non accenna a diminuire e che lascia solo qualche pausa. Ma non finisce, non finisce mai. Il paziente cerca di scappare via, di lasciare l'ambiente in cui si trova, qualunque esso sia, senza badare ad altro che a cercare una via di fuga. Come un topo intrappolato in una gabbia. Vorrebbe poter comunicare a qualcuno quello che succede, ma la parola non esce e il pensiero non riesce a essere lucido. Tutto questo è difficile da raccontare, ma lascia un segno molto forte nella memoria e nell'esperienza. Abitualmente la persona sa riferire con esattezza il giorno e l'ora in cui si è manifestato il primo episodio come se avesse determinato l'inizio di una nuova fase della sua storia personale. Un'altra emozione fastidiosa è quella di non "sentire" il proprio corpo, la "depersonalizzazione". L'episodio acuto finalmente finisce e lascia un pò di tregua alla persona, scossa, impaurita ma soprattutto sconvolta. Come se fosse uscita VIVA da un incidente drammatico. Il primo attacco di panico, può essere seguito a brevissima distanza di tempo da uno successivo con le stesse caratteristiche, oppure ci può essere una pausa di giorni, settimane o mesi. Può anche non ripresentarsi più. La primissima esigenza del paziente è comunque quella di cercare aiuto, di sentirsi rassicurato da qualcuno. Il pronto soccorso di un ospedale, un medico o anche solo una farmacia. cerca quindi la rassicurazione e il conforto. Vorrebbe anche sentirsi dire di che cosa si è trattato, ricevere una diagnosi. Ma purtroppo ciò accade raramente, perchè per quanto la diagnosi non sia difficile per un espero, naturalmente dopo l'esclusione di eventuali cause organiche come un infarto cardiaco, difficile è per chi si sia raramente misurato con questa malattia. Normalmente il paziente riceve un ansiolitico che attenua gli effetti della paura ma non risolve il problema.