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ANORESSIA
E BULIMIA: UN MODO DI AFFRONTARE LA VITA
Può sembrare ridicolo pensare all'anoressia e alla bulimia come
a due modelli di condotta per affrontare la vita, ma il tormento e l'angoscia
che causano sia alle pazienti sia a coloro che le sono vicine lasciano
intuire che si tratti piuttosto di "strategie" per non fronteggiare
la vita. Scatenano terribili conseguenze psicologiche e fisiche. Chi soffre
dell'una o dell'altra condizione patologica si sente male con se stesso,
si preoccupa continuamente del cibo, del peso, della forma corporea, trascurando
tutto il resto, precludendosi una vita sociale, incrinando i rapporti
di amicizia a causa delle proprie preoccupazioni e minando anche l'attività
lavorativa e professionale. Fisicamente nella maggior parte dei casi non
si sente bene, è spesso stanca e debole, ha problemi gastrointestinali
e si sente quasi sempre a disagio. Un meccanismo davvero difficile da
assecondare!
Inoltre, le sue condizioni fisiche, l'atteggiamento antisociale e il suo
comportamento strano e ossessivo causano un'enorme ansia in coloro che
le stanno accanto. La famiglia e gli amici spesso rischiano d'impazzire
per lo stress di convivere con i suoi atteggiamenti strani e frustranti.
Nonostante tutto ciò, è estremamente difficile per la persona
affetta da tale patologia liberarsi da questa ossessione. Oggi la ricerca
suggerisce che i casi più gravi di anoressia e bulimia, di cui
viene fatta una diagnosi cllnica corretta, sono proprio quelli in cui
la malattia è destinata a protrarsi per molti anni e di conseguenza
anche quelli in cui la riabilitazione nutritiva e psicologica è
più difficile.
Eppure per la gente nulla potrebbe essere più semplice: per stare
bene il paziente non deve fare altro che "normalizzare" l'assunzione
di cibo! Il fatto è che, benché entrambe queste patologie
siano state oggetto di numerosi studi e vi sia un'ampia letteratura in
proposito, esiste ancora parecchia ignoranza al riguardo. Le persone che
ne soffrono non sono oggetto di comprensione e tolleranza. Spesso l'osservatore
esterno reagisce esibendo la sua inequivocabile ostilità. Per questi
motivi, quando il soggetto affetto da un disturbo dell'alimentazione chiede
aiuto agli amici, alla famiglia o al suo medico, si sentirà rivolgere
a fin di bene inviti dettati dal buon senso, come per esempio, "Perché
non la pianti una buona volta con questa tua dieta?" oppure un
ordine espresso con maggiore aggressività del tipo "Devi
smetterla!". Ma questo è esattamente il problema della
persona affetta da queste condizioni patologiche: ella non sa perché
non smette e non riesce a smettere. Perché?
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