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Quando
si parla di ANORESSIA bisogna tenere conto sia degli effetti della denutrizione
sia della maturazione fisica e psicologica che avviene nella. pubertà
e nell' adolescenza. È importante considerare con attenzione entrambi
questi aspetti, evitando di confonderli con le manifestazioni proprie
dell'anoressia.
Infatti una cosa sono gli effetti della denutrizione e del digiuno
e un'altra sono i sintomi propri dell'anoressia. E ancora, una
cosa sono i problemi psicologici che sono agli esordi e mantengono l'anoressia
e altra cosa sono gli ostacoli e le difficoltà che si incontrano
nel processo di maturazione psicologica nella pre-adolescenza e nell'adolescenza.
Ogni bravo medito o psicologo prima di decidere di trattare uno specifico
problema, dovrebbe chiedersi che cosa è naturale e fisiologiico
e che cosa è invece patologico e degno di essere sottoposto
a cura. Qualche esempio può servire a chiarire iI concetto. Se
un paziente presenta uno stato febbrile, non è detto che si debba
intervenire subito per ridurre la febbre: in molti casi è meglio
non dare alcun farmaco e aspettare che la risposta fisiologica dell'organismo
si esaursica da sola naturalmente.
Allo stesso modo se un adolescente presenta alcuni tratti caratteristici
della sua età, come per esempio rifiuto e opposizione alle regole
dettate dai genitori, fasi alterne di isolamento sociale e desiderio di
passare molte ore con i coetanei, soprattutto se queste rappresentano
una fase passeggera senza gravi conseguenze, è bene lasciare le
cose così come sono, per evitare di considerare patologico ciò
che è invece è un naturale processo di maturazione e di
costruzione lenta e graduale della propria personalità. Intervenire
in questi casi è produrrie un grave danno: si rischia di etichettare
come malato un comportamento utile e necessario, e di produrre un problema
dove non sussiste.
Nella sua normale pratica clinica uno psicologo trova spesso di fronte
a sé pazienti o genitori preoccupai per i comportamenti dei figli
che presentano problemi che possiamo considerare fisiologici e naturali,
per quanto possano apparire a volte strani. In questo caso l'intervento
mira sempllcement a fornireinformazioni corrette e a tentare di fare previsioni
accurate.
Immaginiamo
solo per un attimo che tipo di danno si creerebbe nel caso in cui venisse
considerato depresso chi, avendo subito la perdita di una persona
cara, manifestasse un comportamento di mestizia chiamato di "lutto".
Gli effetti di un simile equivoco sarebbero devastanti, e sarebbe la terapia
stessa a produrre uno stato patologico: si etichetterebbe come depressogeno
ciò che invece è una normale reazione di difesa dell'organismo,
certo simile, ma non uguale allo stato depressivo. Infatti chi subisce
una grave perdita è particolarmente triste, non riesce a vedere
alcuna via d'uscita, si isola, perde ogni interesse, ma non è un
depresso: dopo una fase più o meno lunga, all'incirca 6 mesi, tali
manifestazioni passano e si ritorna gradualmente alla normalità,
magari rafforzati dall'esperienza dolorosa.
Parimenti, nel trattamento dell'anoressia non bisogna curare tutto
quello che si vede, perché alcuni aspetti hanno una risoluzione
spontanea - come il ritorno del ciclo mestruale e il desiderio di stare
con gli altri dopo l'aumento di peso - altri aspetti invece vanno trattati
con maggiore precisione e specificità.
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