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ANORESSIA:
AMICA O NEMICA ?
Può
sembrare strano asserire che l'anoressia possa anche essere utile,
vista l'importanza delle sue conseguenze. Eppure anche la condizione di
malattia ha degli effetti positivi che gli studiosi definiscono come "vantaggi
secondari della malattia". Vediamo innanzitutto quali vantaggi può
portare con sé tale malattia:
PROLUNGARE L'ETÀ D'ORO
Abbiamo visto che in molti casi tale disturbo insorge in un periodo particolare
della vita, proprio quando avviene una maturazione fisica, sessuale, psicologica
e relazionale. Chi non è pronto a tutto questo può desiderare
un ritorno all'infanzia, quando c'erano meno responsabilità, meno
difficoltà e si aveva la guida, il sostegno e il conforto di una
persona di riferimento (madre o padre) la cui presenza si attenua con
la crescita. Rimanendo invece bambine, più fragili e vulnerabili,
si attira inevitabilmente l'attenzione delle figure parentali, che mantengono
e rinnovano la propria funzione di aiuto e di guida.
Ecco allora un primo vantaggio della malattia: prendere tempo ed
evitare il confronto con le amiche, il rapporto con l'altro sesso, le
decisioni, i conflitti interpersonali, le scelte professionali.
RICEVERE AFFETTO E AMORE
Se allarghiamo l'analisi al contesto familiare, l'anoressia attira significativamente
l'attenzione dei genitori. Capita infatti che dopo l'esordio della malattia
i genitori, magari prima distratti dai loro problemi, diventino all'improvviso
attenti alle esigenze della ragazza e convoglino tutte le loro cure sulla
figlia.
Non solo, ma anche i parenti stretti, magari prima disattenti, cominciano
a interessarsi al problema: vanno a trovarla più spesso, fanno
regali, le parlano come non hanno fatto mai.
DIMINUIRE I CONFLITTI FAMILIARI
Altro effetto considerevole è quello sulla relazione di coppia
tra i genitori. A volte l'anoressia impedisce che certi matrimoni si sfaldino,
favorendo l'avvicinamento tra i coniugi proprio perché non lascia
più spazio ai diverbi. Infatti pone un problema ben più
grave e rischioso che mette in gioco la vita della figlia.
Questo è molto gratificante per la ragazza, che può percepire
l'utilità di mantenere il suo disturbo e in un certo senso sacrificarsi
per il bene della famiglia.
In altri casi, in cui è in corso una separazione e la figlia accusa
per questo un duro contraccolpo, attraverso la malattia può impedire
l'evento. Difficilmente infatti una coppia si separa quando una figlia
è nel pieno dell'anoressia.
ANNULLARE LE "EMOZIONI NEGATIVE"
L'ansia e la tristezza sono un malessere intenso e profondo: ebbene, entrare
nell'anoressia significa spostare l'attenzione su qualcos'altro cosi intenso
da far dimenticare i problemi e le emozioni negative tanto difficili da
gestire.
Dimagrire e pensare in ogni momento al cibo, al corpo, è un potente
anestetico per soffocare le emozioni. Non appena però si tenta
di abbandonare la malattia, tali sgradevoli pensieri spesso riemergono,
magari con maggiore intensità, proprio perché prima sono
stati solo congelati, non risolti.
ATTIRARE L'ATTENZIONE DEGLI AMICI
Inizialmente dimagrire significa attirare l'attenzione e gli elogi degli
amici e dei conoscenti. Non mancano frasi tipo: "Come sei carina,
lo sai che stai bene così?", quando magari in precedenza si
veniva ignorate o poco consi^ derate. All'improvviso si scopre quindi
che perdere peso può favorire i contatti sociali. Ciò purtroppo
avviene solo nelle fasi iniziali della malattia, poi c'è il completo
isolamento.
Talvolta però continuare a essere ammalati aumenta l'interesse
e la curiosità delle amiche e dei colleghi di lavoro, ma si tratta
sempre di attenzioni transitorie, che si dissolvono con il perdurare della
malattia o dopo i primi momenti di entusiasmo per la guarigione. E dunque
meglio trovare altri modi di partecipare da protagonisti alla vita sociale.
ESPRIMERE SE STESSE
Può accadere che diventino anoressiche ragazze che vivono in famiglie
dove è difficile esternare le proprie idee e sostenere opinioni
contrarie alle regole familiari. In questi casi la malattia è un
mezzo per esprimere rabbia, opposizione, e affermare se stesse come individui
indipendenti e autonomi. Certo il metodo è sbagliato, ma la rabbia
viene espressa nel modo più drammatico e intenso: rifiutando il
cibo. Di fronte a ciò i genitori non hanno alcuna possibilità
di imporsi, anzi, devono assolutamente evitare di obbligare la figlia
a mangiare, e delegare piuttosto ad altri (nutrizionisti e specialisti
dell'alimentazione) il problema per non rischiare di produrre l'effetto
contrario.
MIGLIORARE LA VISIONE DI SE STESSE
Le ragazze malate hanno di sé un'immagine estremamente negativa,
ritenendosi totalmente incapaci di affrontare il mondo. Porsi allora l'obiettivo
ambizioso di controllare il proprio corpo attraverso una dieta restrittiva
è una cosa molto gratificante, che da un senso di potenza e di
forza: finalmente si sentono capaci di realizzare qualcosa in cui molti
hanno fallito (magari il padre o la zia sono in sovrappeso). Ecco perché
allora riuscire a saltare un pasto, riuscire a dimagrire di qualche etto
ha un potente effetto sull'autostima. Il guaio è che questo diventa
col tempo l'unico e assoluto mezzo di gratificazione.
I vantaggi sono dunque numerosi, anche se non si ha piena coscienza di
ciò, ma di fatto chi mantiene per anni questo disturbo evita molte
responsabilità, rimanda molti problemi: si pensi solo al fatto
di iniziare una relazione con un ragazzo, di formarsi una famiglia, di
trovare e mantenere un lavoro.
Le pazienti definite croniche, con 10 o addirittura 20 anni di anoressia,
diventano molto resistenti a ogni cambiamento e hanno molta paura del
"dopo", di che cosa rimane loro una volta abbandonata la malattia.
Purtroppo una vita dedicata a evitare i problemi non può essere
abbandonata facilmente, e per farlo occorrono delle motivazioni molto
forti, bisogna avere la speranza che la vita riservi qualcosa di sicuro
dopo l'anoressia, la quale pur essendo dolorosa da un'identità
e una certezza.
Sono da evitare pertanto discorsi del tipo: "Dai che ti trovi un
lavoro, un bei ragazzo e fai una vita felice". Per molti queste possono
apparire prospettive positive, ma chi è malato percepisce questo
come un viaggio astrale senza ritorno: infatti molte scelte comportano
decisioni da cui risulta a volte impossibile recedere, come quella di
avere un figlio.
ENTRARE NEL MITO
I quotidiani, le riviste, i servizi televisivi oggi parlano sempre più
del mistero dell'anoressia: si narra di belle ragazze, magari di buona
famiglia, che hanno raggiunto il successo (pensiamo a fotomodelle o ad
atlete) e che poi hanno "scelto" di divenire anoressiche. La
malattia ha acquisito cosi il fascino perverso e misterioso di malattia
di moda, a cui più di una ragazza, ignara del suo vero significato,
può aspirare per acquisire una propria identità personale.
È chiaro che non basta desiderare di essere anoressica per diventarlo
davvero, ma è comunque un gioco pericoloso, che ricorda
quello in voga qualche decennio fa, quando fare uso di spinelli era divenuto
un fenomeno di massa, spesso per imitazione e per simboleggiare una protesta
studentesca.
Chi riveste l'anoressia con un alone mitico deve infatti sapere che
viene il momento in cui la malattia non è più un'amica,
ma diventa piuttosto il nemico principale. Se solo per un'ora queste
ragazze potessero entrare nella testa di un'anoressica, si renderebbero
conto di quanta sofferenza, dolore, angoscia ci siano.
Dopo i primi tempi in cui si è al centro dell'attenzione:
- si osserva che le amiche di un tempo si allontanano sempre più
e iniziano anche ad avere una propria vita autonoma: si sposano, hanno
figli, lavorano;
-
i genitori prima preoccupati, attenti, disponibili, col passare degli
anni
diventano esasperati, aggressivi, insopportabili;
- la scuola e l'attività lavorativa vengono abbandonate. Diminuiscono
le forze fìsiche e le capacità cognitive per svolgere qualsiasi
attività.
ANORESSIA NEMICA MIA
Viene il giorno quindi in cui si rimane sempre più sole con la
propria sofferenza, e a questo punto sorge il sospetto che forse la causa
di tutto ciò è l'anoressia.
Purtroppo però, soprattutto se sono passati diversi anni dall'insorgenza,
si incontrano molte difficoltà, perché nel corso del tempo
si è diventate dipendenti da una lunga serie di automatismi. E
quando una ragazza richiede spontaneamente l'intervento di un medico o
di uno psicologo e desidera liberarsi dalla malattia, spera che esista
una formula magica per risolvere i suoi guai, ma sfortunatamente non è
cosi. Può dunque accadere che passi da un ricovero all'altro ottenendo
miglioramenti parziali e scivolate repentine, per ritrovarsi di nuovo
al punto di partenza. Al di là delle diverse forme di trattamento
e di strategie che si possono usare, ritengo che per avviare queste ragazze
verso la guarigione occorra un atto di responsabilizzazione. Sino a quando
sono i genitori a desiderare gli interventi specialistici, sino a quando
i ricoveri ospedalieri sono dettati soprattutto da circostanze esterne,
le cose non cambiano molto. Un ingrediente fondamentale per la risoluzione
del problema è la responsabilizzazione, cioè chiedersi in
prima persona: "Che cosa IO posso fare per combattere la mia malattia?".
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