Come un bersaglio
Tra le cause che spingono a prendere di mira un collega e a colpirlo come fosse un bersaglio, vi sono:
1) la noia;
2) l'invidia;
3) la gelosia;
4)
la disorganizzazione lavorativa e la carenza di regole aziendali;
5) lo stress;
6) i taciti accordi aziendali finalizzati, per esempio, a ridurre le responsabilità di qualcuno o a escludere del tutto qualcun altro;
7) le strategie politiche legate a trasformazioni o a fusioni tra più aziende, che possono determinare problemi di esubero del personale.
Anche chi ha un carattere forte, che consente di "parare i colpi", a lungo andare può avvertire i contraccolpi dell'ostinata pressione psicologica " cominciare ad accusarne gli effetti negativi sulla salute". I disturbi psicosomatici sono, infatti, i compagni più fedeli delle vittime del mobbing.

Un'ostilità che cresce
Quando si parla di mobbing, non ci si riferisce nè a un'azione temporanea di disagio sul lavoro, nè a banali battibecchi tra colleghi, nè a impressioni personali di maltrattamento, ma a un conflitto che o si esprime attraverso piccoli e costanti contrasti fini a se stessi, o cresce con il tempo e nasconde un'iniezione negativa, cioè quella di sbarazzarsi del collega. L'ostilità si manifesta attraverso tecniche che logorano il mobbizzato e che consistono: nell'accerchiarlo, nel deriderlo, nell'intimorirlo, nello sminuirlo, nel sabotarlo, nel respingerlo, o nel negargli la possibilità di esprimere il proprio punto di vista.

A rischio
Anche se, secondo le statistiche, a essere più colpite sono le donne di età compresa tra i 35 e i 54 anni, in ufficio come in fabbrica, in realtà tutti possono subire angherie. In ogni caso, indipendentemente dal ruolo ricoperto, a subire le vessazioni maggiori sono: i più bravi, i più ambiziosi, i più innovativi, i più propositivi, gli omosessuali, gli immigrati. E' ancora più facile, però, vessare le categorie più deboli e, infatti, la maggior parte delle volte a fungere da capro espiatorio sono: o i disabili fisici, o i disabili mentali, o i meno "svegli".

E se è vittimismo?
Un quarto dei casi pervenuti presso il Centro per la prevenzione e la cura del disadattamento lavorativo di Milano è, però, "falso mobbing". Qualche volta, infatti, può accadere di trovarsi in un periodo di forte stress, dovuto per esempio a un lutto o a una separazione, ma il calo d'umore o il nervosismo generalizzato che ne consegue non possono essere considerati a tutti i costi gli effetti del mobbing. Qualcuno può addirittura aver scelto un mestiere che non ama e che affronta in maniera sbagliata. Dinanzi a condizioni simili oppure a causa di un disagio o di una frustrazione del tutto personale, non si può certo accusare l'azienda, pubblica o privata che sia.

TUTTI PER UNO
Chi ha vissuto o sta vivendo la sindrome del mobbing può vincere il disagio con l'aiuto di persone che, vivendo lo stesso problema, possono comprenderlo appieno. Con questo obiettivo sono nati i gruppi di auto-aiuto, che riescono a fornire:
- sostegno psicologico a chi sta subendo il terrorismo sul posto di lavoro;
- informazioni su come prevenire tutte le situazioni di disagio;
- un aiuto per analizzare i possibili atteggiamenti con cui poter trovare una soluzione;
- confronto con chi vive la medesima atmosfera di ostilità;
- sostegno morale grazie al quale rompere l'isolamento a cui i colleghi inevitabilmente spingono.
Il gruppo di auto- aiuto, coordinato da uno psicologo, si riunisce tutti i lunedì alle 18 presso la Clinica del lavoro di Milano . Per ulteriori informazioni è possibile rivolgersi al numero 02-57992591.